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Gemma Gaetani per “Libero Quotidiano”
Erica Jong ha annunciato lunedì su Facebook: «A Los Angeles per il film Paura di volare! Lo dirigerà Gabriele Muccino! Stephen Schiff lo sceneggerà!». La notizia è importante. Primo, per la realizzazione, finalmente e dopo 41 anni dall’uscita del libro, della versione cinematografica di uno dei romanzi più inossidabili della scrittura femminile.
Si traggono filmoidi anche dall’ultimo romanzettucolo scritto coi piedi da meteore di cui fra quattro decadi non esisterà neanche il codice Isbn, figurarsi il libro, o da qualsiasi inutile bestseller: è sacrosanto che un’opera narrativa fondamentale varchi la soglia dalla carta al film.
Secondo, per la scelta dei realizzatori, un onore per l’arte e per noi italiani. Stephen Schiff, premio Pulitzer di Vanity Fair e New Yorker è, soprattutto, lo sceneggiatore degli straperfetti film - sempre tratti da romanzi - Lolita, In fondo al cuore e Fino a prova contraria, nonché di Wall Street: il denaro non dorme mai e della serie tv The Americans. Infatti, in calce all’annuncio è caduta una pioggia di commenti entusiastici.A parte quelli di due italiane su Muccino, e qui arriviamo all’onore per il nostro Paese. Una scrive: «Troppo mainstream, prevedibile e noioso».
GABRIELE MUCCINO CON LA MOGLIE ANGELICA RUSSO FOTO ANDREA ARRIGA
L’altra esprime la dubbiosa «speranza che giri un buon film...». Si sa che nemo propheta in patria (sua). Gabriele può essere eventualmente stigmatizzato per le sue liti a mezzo social col fratello Silvio (eventualmente perché son questioni delicate che nessuno dovrebbe giudicare da fuori).
O - senza eventualmente - per la sua fiducia in Renzi, al quale twitta: «Avanti tutta!» (però poi twitta anche sagge riflessioni come: «Ero negli Usa durante la crisi nel 2007. Lì è passata. Ma il motore per uscirne sono stati gli individui, la coesione e gli incentivi», cioè una triade sconosciuta a Renzi). Tuttavia toccherebbe smetterla con la banalità di Muccino regista bamboccione.
Antonio Gramsci, un pelo-di mammut - più esperto di questioni artistiche rispetto alle due hater facebookiane, lo avrebbe amato. Bacchettando la scissione tra letteratura d’arte e letteratura popolare che tanto piace ancora agli snob, Gramsci scriveva che una letteratura popolare e insieme artistica, ovvero nazional-popolare, ci sarebbe stata quando «i sentimenti popolari saranno vissuti come propri dagli artisti».
Ciò che fa Muccino da sempre, in quella letteratura per immagini che è il cinema. Ha descritto con una profondità rara e maniacale i ventenni, i trentenni, i quarantenni in lotta e in armonia con l’esistenza e, parafrasando un suo titolo, come lui nessuno mai l’ha fatto, tra i registi oggi ancora quarantenni.Basta riguardarsene la filmografia senza paraocchi ideologici.
È emigrato in America, laddove il cinema è arte, tecnica e industria, e lì è ancora. Iniziò girando servizi cronachistici per la tv, fece nascere,con altri, la prima soap opera di Rai3 Un posto al sole. Ha girato spot, e video musicali. Se lui è mainstream, i Vanzina cosa sarebbero? «Gira film per ritrarre la vita, l’amore, le persone e l’eterna ricerca della felicità», recitano le info del suo profilo Twitter, dal quale ha definito la collaborazione con Erica Jong «una grande avventura». Gli diciamo in bocca al lupo e bravo, convinti che Gramsci non si rivolterebbe nella tomba, ma ci sorriderebbe.
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