DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
ALESSANDRO GIULI per Libero Quotidiano
Essere Virginia Raggi. Ovvero vivere a propria insaputa, non far niente e farlo male. L' impressione è questa, desolata e infelicitante anche per il popolo pentastellato che l' ha eletta in massa sindaco della Capitale. E adesso lei, avulsa e incollerita, si costringe a uscire dalla procura di Piazzale Clodio da una porta laterale, piena di cattivi presentimenti, dopo essere stata ascoltata come persona informata sui fatti che riguardano la brutta storia germinata intorno allo stadio della Roma. «Andrò in procura come testimone per fare chiarezza in una vicenda che mi vede parte lesa. Ricordo e preciso che la procura ha già detto che non c' entro niente. Per favore non iniziamo con il solito fango», così aveva detto Virginia prima di raggiungere i magistrati; e non c' è ragione per crederla bugiarda.
Non è questo il punto. A occhio, potrebbe perfino finire con il Comune di Roma parte civile contro il suo consulente Italo Lanzalone, l' uomo forte delle relazioni nel centro storico di una città ormai perduta.
Il tema è un altro: sindaca Raggi, detto con affetto, perché lei non sa mai nulla di quel che accade nei suoi paraggi?
MISSIONE DIFFICILE L' ultimo episodio racconta qualcosa di esemplare. Il sindaco è negli studi di Porta a Porta, il miglior tribunale che si possa desiderare per parlare con tranquillità incoraggiati dal garbo naturale di Bruno Vespa. La missione di Virginia è tosta ma non impossibile: proclamarsi non pervenuta nella giostra del generone romano che - di là da ogni rilievo penale - trasforma con puntualità qualunque progetto immobiliare in un film di Alberto Sordi. Il sindaco fa la sua parte, con una punta di vittimismo femminile al limite dell' autolesionismo, «c' è un accanimento mediatico contro di me, forse perché sono donna», ma allora meglio sarebbe stato gorgheggiare un orgoglioso «sono una donna non sono una santa». E invece no, posto che «io non sono lo sfogatoio di Italia» e che «questa cosa deve finire», la linea difensiva è tutta in questa frase: «Io non c' entro».
Ecco il vero problema: lei non c' entra, è totalmente fuori dalla sostanza della realtà che dovrebbe governare, al punto tale che, mentre dichiarava la propria inesistenza, i suoi consiglieri comunali votavano convinti l' intitolazione di una strada romana a Giorgio Almirante, una battaglia di sacrosanta retrovia cara alla destra, il trionfo di una smagliante Giorgia Meloni. Risultato? Non appena il sindaco ha saputo, una volta in più, di governare Roma a sua insaputa, si è affrettata a impugnare la decisione minacciando fulmini antifascisti.
SGRETOLAMENTO È la storia che si ripete, è l' eterno ritorno dell' identico e tragicomico non-fare, non-esserci, non-sapere che sta condannando Roma allo sgretolamento (ieri è venuto giù un altro pezzo di Mura Aureliane) e i romani a un' autogestione selvaggia. Soltanto a febbraio, praticamente l' altroieri, il cielo di Roma sembrava ci stesse cadendo sulla testa a forza di pioggia e poi neve addirittura.
E Virginia dov' era, che cosa diceva? Stava in Messico, si faceva fotografare in bicicletta, turista per scelta a un congresso sul clima, in beffardo spregio alle previsioni meteorologiche. Fuori dal Paese. Letteralmente spaesata.E simile spaesamento il sindaco Raggi mostrò quando, un anno fa, si seppe che nel 2016 il dipendente comunale Salvatore Romeo l' aveva indicata come beneficiaria della sua assicurazione sulla vita da 30mila euro, salvo poi farsi promuovere di lì a poco al vertice della sua segreteria. Nessun reato, nessun peccato; ma sempre la stessa autopercezione sfocata: non sapevo e sempre la stessa domanda che risuona nel nostro cuore deluso: Virgì,'ndo stai; Virgì, 'ndo vivi? Dovrà spiegarlo il 21 giugno ai giudici che l' hanno rinviata a giudizio con l' accusa di abuso d' ufficio per la nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele, a capo del Dipartimento Turismo del Campidoglio.
Nomi che oggi dicono poco al comune mortale, ma la solita Virginia ha dovuto ammettere in tivù da Giovanni Floris che su certa gente ingaggiata a Roma ha commesso un «grave errore di valutazione» non ci aveva capito niente. Al che Floris, vox populi: «Bastava chiedere un po' in giro». Sta qui il segreto dell' insuccesso: non domandare in giro, rifiutarsi di auscultare la terra che si calpesta (con il rischio di precipitare in una buca) e di accompagnarsi alla gente anonima che sbuffa allibita o arrostita negli autobus di questa Capitale del medioriente. Dice: ma mica sarà tutta colpa di Virginia Raggi, se Roma è Roma. Figurarsi, da queste parti abbiamo ancora un conto aperto con il piano regolatore del sindaco Ernesto Nathan (1907-1913), ma almeno lui sapeva di esistere.
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