DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
Luca Pallanch per la Verità
Salviamo Isabella Biagini! Dalle fiamme che hanno distrutto il suo appartamento alla vigilia dello sfratto, rischiando di bruciarla viva? No, dai salotti televisivi, dalla tv del dolore, dai benpensanti, dagli scoop, dalle foto impietose, dai tweet, dai coccodrilli e dagli squali. Risparmiateci l' ennesima storia maledetta, dalle stelle alle stalle, con annessi e connessi, amori e tradimenti. I pruriginosi confronti tra la prorompente bellezza di un tempo e la maschera di sofferenza di questi giorni.
La pienezza e il vuoto. Lasciateci, intatto, il ricordo del suo talento, la simpatia travolgente di chi sapeva ironizzare delle proprie curve da Playboy. Se le non avesse avute, avrebbe potuto essere una nuova Anna Magnani, ancor più romana dell' originale, un alter ego cinematografico di Gabriella Ferri, gloria locale di una Roma sparita. «Grazie alla vita che mi ha dato tanto. Mi ha dato il sorriso e mi ha dato il pianto», cantava Gabriella. E allora lasciamo a Concetta, in arte Isabella, il diritto di piangere in silenzio.
Ricordiamo piuttosto il suo sorriso, rivedendo i film della sua lunga quanto fragile filmografia, nella quale immancabilmente più importante era il regista e più piccola era la sua parte (esordì confusa tra Le amiche di Antonioni). Il destino di chi non è mai stato compresa fino in fondo, se non dai mestieranti e dagli irregolari.
Già allora si permetteva il lusso di sprecarlo, il suo talento, tra infermieri e ginecologi della mutua, cameriere e villeggianti. Ma era in buona compagnia: con Alighiero Noschese ed Enrico Montesano in Io non vedo, tu non parli, lui non sente di Mario Camerini; Il terrore con gli occhi storti di Steno; Boccaccio di Bruno Corbucci; con Pippo Franco, Oreste Lionello e Bombolo in Tutti a squola e Ciao marziano di Pier Francesco Pingitore.
Eppure la si ricorda soprattutto per Mazzabubù... quante corne stanno quaggiù? di Mariano Laurenti. Potenza del titolo. Non aveva Isabella, neppure nel fiore degli anni, la procace bellezza giovanile per fare da protagonista nella commedia sexy, non era Gloria Guida o Barbara Bouchet, non era una starlette. Si prestava per il suo fisico a ruoli di moglie o di amante, ma era insuperabile quando faceva la svampita, come solo in quegli anni Maria Grazia Buccella (altra dimenticata, per fortuna). Giocava Isabella, e allora lasciamola giocare ancora.
E se proprio vogliamo aiutarla, conferiamole i benefici della legge Bacchelli. Nessun dubbio nel suo caso sulla «chiara fama» (dell' attuale lista dei beneficiari - diramata dalla presidenza del Consiglio proprio il giorno dopo il rogo nell' abitazione della Biagini - i personaggi noti si contano sulle dita di una mano) e pregiudizi la commissione chiamata a valutare i casi, formata dalla biologa Emilia Chiancone, dal linguista Tullio De Mauro e dall' editore Gian Arturo Ferrari, non ne ha, se è vero che quest' ultimo ha dichiarato: «Non siamo bacchettoni chiamati a tutelare la pubblica moralità o a esprimere giudizi. Io e i miei compagni siamo di vedute liberali e se una cicalona ha i requisiti, state certi che votiamo a favore». E in tutta questa storia l' immagine della cicala è la più pertinente.
Ma quando la formica dice alla cicala: «Cosa hai fatto durante l' estate, mentre noi faticavamo per prepararci all' inverno?», la cicala risponde: «Io? Cantavo e riempivo del mio canto cielo e terra!». Allora, lasciamola cantare Isabella Biagini. «Pe' fa' la vita meno amara».
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