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Marco Giusti per Dagospia
Secondo giorno del Festival. Mullerone incassa le buone critiche dei giornali maggiori sul suo film d'apertura, la supercazzola fandango "L'ultima ruota del carro" di Giovanni Veronesi, sorta di lettura da piddi romano di come abbiamo vissuto questi ultimi quarant'anni in versione macchiettistica ("poro Moro") e puo' dormire sogni tranquilli. Ma quello Schifano di Haber e questa Roma da barzelletta non sono il massimo.
Fortunatamente e' anche piu' bello di come ci aspettavamo l'attesissimo "Dallas Buyers Club" di Jean Marc Vallee con un Matthew McConaughay e un Jared Leto che gia' si preparano per l'Oscar. Non e' tanto un film sui malati dell'Aids quanto un film su come le grandi ditte farmaucetiche americane abbiano malamente bloccato qualsiasi medicina che non avessero potuto controllare per la cura dell'Aids.
Al punto che per allungarsi la vita molti degli stessi malati si siano riuniti in club, come il Dallas Buyers Club del titolo, dove pagando solo l'iscrizione potessero avere gratis le medicine per curare almeno i sintomi della malattia e quindi allungarsi la vita. Un caso nazionale e internazionale clamoroso di malasanita' e di corruzione che ha impedito nei primi anni 80 la vera ricerca medica sulla malattia.
Nel film, tratto da una storia vera, Matthew McConaughay, dimagrito in maniera impressionante di 35 chili, e' Woolford, un cowboy texano ultramacho e omofobo che si prende l'Aids da qualche drogatona e gli viene diagnosticato che ha solo trenta giorni di vita.
Non lo salvano le cure sperimentale che le ditte farmaucetiche cercano di imporre sul mercato con una serie di sperimentazioni omicide, lo AZT, ma il fuggire in Messico da un medico freakkettone alternativo che gli spiega come stanno le cose e che, anche se malato, ha la possibilita' almeno di allontanare di anni la morte con una serie di medicinali che curano i sintomi della malattia.
Cosi' non solo supera i trenta giorni che lo separano dalla fine, ma riesce a mettere in piedi un mercato, ovviamente boicottato dalla finanza e dalla polizia americana, per curare i malati terminali assieme a Raymond-Raymona, un grandioso Jared Leto, sorta di drag queen pazza di Marc Bolan e Boy George, magrissima e ammalatissima.
Ma sara' proprio l'amicizia di Ray a curare l'assurda omofobia da rozzo cowboy di Woolfod, al punto che il contagio, l'essere precipitato nella dimensione di un Rock Hudson "succhiacazzk", in realta' apre gli occhi al cowboy sul mondo, non solo sulla sua malattia.
L'aspetto piu' interessante del film, oltre alla strepitosa recitazione dei suoi protagonisti, c'e' anche una dottoressa buona interpretata da Jennifer Garner, o alla rivelazione della malasanita' alla Report, sta anche nella crescita di un paese attraverso il dolore, che mette a nudo le sue contraddizioni e le sue fobie. Grande film civile. Non era affatto male neanchr il film turco in concorso, "I Am Not Him" di Tayfun Pirselimoglu, coprodotto con Grecia, Francia e Germania.
Una specie di stilosa, fredda lezione sull'identita'. Il baffuto cinquantenne Nihat, interpretato da Ercan Kesal, uomo di pochissime parole e sguardo torvo, e' appena uscito di galera e lavora alla mensa di un ospedale. Li' incontra una piu' loquace ragazza, Ayse, la bellezza turca Maryam Zaree, che se lo porta a casa dicendogli che lei puo' cucinare per lui. Gia' sul divanetto, davanti alla tv, dopo che lei e' arrivata col te', lui se la fa senza dir nulla piuttosto sbrigativamente.
E' piu' o meno amore, lei cucina per lui e gli infila le ciabatte del marito che, tipetto violento, identico a lui ma senza baffi, che e' finito in carcere per truffa e ci dovra' star parecchio, visto che ha mandato all'altro mondo due che avevano solo offeso la non fedelissima moglie. Incurante del pericolo che sta affrontando scopandosi la donna di un marito cosi' violento e suscettibile, Nahit seguita a frequenterla, non dice una parola, mangia di gusto, scopa e la porta perfino al mare.
Proprio durante la gita al mare lei muore di colpo e lui, come risposta, si taglia i baffi e si modella come il marito in prigione di lei. Diventa un altro. Non solo. Trova poi una donna identica a Aysa, di professiore mignotta, ma con marito affogato in mare e violento. Decide di ripetere con lei il modello di rapporto che aveva con Aysa in una specie di giochi di specchi che annullano qualsiasi identita'. Bello, serio, un po' lento e misterioso, e' una specie di Antonioni turco che non ci e' molto chiaro, ma piacera' alla giuria.
Per il resto, il convegno sul futuro del cinema italiano (aridaje...) con annesso applauditissimo intervento del ministro Massimo Bray, ha scalzato dalla sala Studio la proiezione di "Le fatiche di Ercole". In fondo questo spostamento spiega tutto sul futuro del nostro cinema. Ma Bray e' molto piaciuto ai nostri cineasti.
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