IL CINEMA DEI GIUSTI - FILM FRAGILE NEL SOGGETTO, MA SOLIDO NELLA COSTRUZIONE, "IO E TE" NON PUÒ E NON VUOLE ESSERE UN CAPOLAVORO, MA DIMOSTRA L’INTATTA CAPACITÀ DI MESSA IN SCENA DI BERNARDO BERTOLUCCI, CHE NEGLI SPAZI ANGUSTI E NEI RAPPORTI INCESTUOSI DÀ SEMPRE IL SUO MASSIMO RILEGGENDO I SUOI VECCHI TEMI E I SUOI VECCHI PROTAGONISTI, DA "PRIMA DELLA RIVOLUZIONE" A "ULTIMO TANGO A PARIGI"….

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Marco Giusti per Dagospia

Trionfano da giorni pure in versione gigante sugli autobus e i tram cittadini i terribili brufoli del protagonista del nuovo film di Bernardo Bertolucci. Erano anni che non si vedeva un simile trionfo di acne giovanile sui cartelloni stradali e al cinema. Come erano anni che non si sentiva "Space Oddity" cantata in italiano da David Bowie con i testi di Mogol.

Ma brufoli e Bowie non possono che farci estremo piacere, quindi non sottovalutiamo questo "Io e te" che segna il ritorno al cinema di Bertolucci, presentato fuori concorso a Cannes, tratto dal romanzo di successo di Niccolò Ammaniti e interpretato dall'inedito Jacopo Olmo Antinori e dall'altrettanto inedita Tea Falco. In fondo, è quasi tutto quel che rimane del cinema italiano.

Un'opera lieve, girata con grande intelligenza e senza alcuna pretenziosità da un Bertolucci che si serve del racconto di Ammaniti (migliorandolo nel diverso finale col permesso dell'autore, che firma la sceneggiatura) per rileggere i suoi vecchi temi e i suoi vecchi protagonisti, da "Prima della rivoluzione" a "Ultimo tango a Parigi".

Ma anche per provare a se stesso e alla sua piccola famiglia di fedeli amici e collaboratori (Fiorella Amico, Metka, Veronica Lazar, Jacopo Quadri, Fabio Cianchetti) che riesce ancora a costruire e a dirigere perfettamente un film, a muoversi negli spazi chiusi alla "Dreamers" e alla "Ultimo tango" inventandosi ancora dal nulla le sue star come fosse un anziano George Cukor e anche grandi sequenze musicali e liberatorie, come il ballo dei due ragazzi che cantano il pezzo di Bowie.

Bertolucci civetta da subito con la sua malattia e con le paternità, visto che lo psicanalista del ragazzino protagonista è paraplegico come lui, ma anche psicanalista come il vero padre di Ammaniti, esponendoci da subito la sua doppia condizione, di malato e di padre-regista sia dei due protagonisti che del più giovane Ammaniti, proseguendo poi in una storia di chiusura forzata (o volantaria, chi può dirlo?) dove due fratelli si incontrano, si ritrovano, si amano, forse crescono.

Fermarsi sullo scatto del giovane Lorenzo finalmente sorridente, immortalato come in una fotografia, sembra un gesto di ottimismo, rispetto alla fine del libro, dopo due ore di buio e di chiusura dal mondo che non sono però un chiudersi alla vita. Film fragile nel soggetto, ma solido nella costruzione, "Io e te" non può e non vuole essere un capolavoro, ma dimostra l'intatta capacità di messa in scena del suo autore, che negli spazi angusti e nei rapporti incestuosi dà sempre il suo massimo. Infedele e fedelissimo, come "Il conformista", alla sua origine e letteraria e assieme così personale e autobiografico.

Più tenero e allegro di molti dei suoi ultimi film, non tutti così riusciti, ruba ai suoi attori-non-attori un po' della loro giovinezza per rigenerarsi con nuovi sguardi. Meglio, comunque, averlo presentato fuori concorso a Cannes, fuori dai confronti con nuovi e vecchi maestri, da Garrone a Haneke, e lontano dagli sguardi del barbuto presidente (ma anche un po' preside) della giuria Nanni Moretti.

Meglio non prendere lezioni e voti da nessuno. Per dimostrare una nuova giovinezza basta l'acne del protagonista. Scordavo, oltre a Bowie, si sentono anche i Cure, i Red Chili Hot Peppers e la stessa "Space Oddity" anche in inglese.

 

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