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Estratto del libro “Una Vita” di Massimo Fini
[…] Nurejev è stato molto amato, dalle donne, ma, oserei dire, soprattutto dagli uomini. Perché, ammettiamolo, consentiva a quel poco o quel tanto di omosessualità che è in ciascuno di noi di manifestarsi senza compromettersi troppo. Era così bello, così affascinante, così singolare, così campione, che ammirarlo, amarlo, adorarlo era lecito anche a un uomo. Nurejev non è stato solo il Dio della Danza.
È stato il Dio della Bellezza. È stato il Dio della Giovinezza. Per questo ci fece male al cuore vederlo ripreso, nell’autunno del 1993, in una delle sue ultime apparizioni pubbliche, una celebrazione in suo onore, a Parigi, accasciato su una sedia, inerte.
Non c’era più nulla, nemmeno nello sguardo, dell’affascinante, orgoglioso, prepotente ragazzo che era stato. E io preferisco ricordarlo in quella sera di fine estate del 1973 alla Scala, quando ballò solo, sprezzante verso il mondo intero, a cominciare dal pubblico adorante, compreso solo della propria arte e un tale, interpretando ciò che in quel momento tutti sentivamo, gridò: «Dio!». Carlo era molto gettonato.
Era uno di quei casi, abbastanza rari, di uomini, a tutti gli effetti, cui piacciono gli uomini o, per essere più precisi, i ragazzi, pederasti nell’accezione greca del termine. Il problema degli omosessuali, femmine in corpo di maschio, è che cercano degli uomini ma trovano quasi sempre delle ‘checche’ come loro. Questo spiega il loro vorticoso cambiar di partner, alla ricerca inesausta dell’uomo.
Se lo trovano si creano delle coppie stabili, spesso molto più stabili di quelle etero. Ma è raro. L’altro problema degli omosex è la giovinezza che per loro dura pochissimo, fino a trent’anni. Dopo si passa dalla parte dei predati a quella dei predatori e ciò significa che si è diventati ‘vecchi’. Inoltre se la vecchiaia è un passaggio difficilissimo per tutti, lo è in particolare per gli omosessuali. Per due motivi sostanzialmente. L’omosessualità ha una sua bellezza estetica quando si è giovani. In secondo luogo l’omosessuale da vecchio, non essendosi formato una famiglia, è più solo.
Qualche anno fa incontrai Aldo Busi in un bar di Porta Pia che mi piace frequentare. Lo stimo molto, credo che sia uno dei pochi scrittori italiani del dopoguerra (Vita standard di un venditore di collant) anche se non, come sostiene lui con le sue solite iperboli, «il più grande del Novecento».
Scorsi nei suoi occhi qualcosa di disperato. Che non era solo la consapevolezza di non aver più niente di significativo da scrivere, come mi confidò, ma era la solitudine. Quella peraltro che lui stesso descrive, con intuito premonitore, in un libro giovanile, Seminario sulla gioventù.
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