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Gabriele Pantucci per "la Repubblica"
«Dio mio, i miei libri hanno fatto di lei una leggenda e la sua sola intenzione con questo semiacquoso ritratto è di rendermi una nullità . Ecco perché spedì il libro direttamente a New York». Sono le righe più pacate - quelle conclusive - della lettera furiosa che Francis Scott Fitzgerald indirizzò il 14 marzo 1932 alla dottoressa Mildred Squires della clinica psichiatrica dell'ospedale della Johns Hopkins University di Baltimora. Squires aveva in cura Zelda, la moglie di Fitzgerald, che stava combattendo il suo stato depressivo.
Era stata dimessa soltanto cinque mesi prima dalla clinica Prangins sul Lago di Ginevra, dopo un soggiorno di sedici mesi. Fitzgerald reagì come morso da un animale, dopo la lettura del romanzo quasi autobiografico che la moglie aveva scritto in sei settimane nella clinica di Baltimora. Vi si riconoscevano sia lei che lui.
L'opera in questione è Save Me the Waltz che torna alla ribalta, mentre l'America è in preda a una vera e propria Zelda- mania. Quattro sono i romanzi che la vedono protagonista: ciascuno dedicato a un aspetto diverso della vita. Z, appena tradotto in Italia da Frassinelli, è nato dallo studio che Therese Ann Fowler ha condotto sulle lettere di Zelda.
Beautiful Fools di R. Clifton Spargo, pubblicato da Overlook, ha ricostruito il disastroso viaggio a Cuba del 1939 con cui i coniugi Fitzgerald tentarono di ricostruire la loro unione. In Call Me Zeldadi Erika Robuck, uscito da Penguin, leggiamo dei giorni nella clinica di Baltimora quando lei scrisse Save Me the Waltz.
Mentre è disponibile da domani la versione Kindle di The Collected Writings, che riunisce gli scritti di Zelda stessa, in ottobre arriva il libro che offre l'immagine meno conosciuta:
Guests on Earth di Lee Smith (Shannon Ravenel editore), sul periodo trascorso nella clinica mentale del North Carolina, dove Zelda morì durante l'incendio del 1948. L'opera riporta alla luce la conversazione - conosciuta solo da pochi studiosi - tra Zelda e il marito, alla presenza del dottor Thomas Rennie e di uno stenografo. L'intransigenza di Scott Fitzgerald nell'impedirle di esprimersi scrivendo risulta un'incontestabile realtà .
Lo scrittore era furioso con la moglie e con la psichiatra, che avrebbe incoraggiato Zelda a scrivere come terapia per curare la schizofrenia. Nella storia di Alabama - figlia d'un giudice del sud, proprio come Zelda - raccontata in Save Me the Waltz, c'erano situazioni che avevano vissuto insieme: dalla spaziosa stanza numero 21 del Biltmore Hotel di New York alle acque azzurre del Mediterraneo presso St-Raphael.
Questi momenti appartenevano a lui, accusava lo scrittore. Li aveva generati scegliendo quei luoghi e saldando i conti per andarci. Zelda non aveva il diritto di plagiarli: erano destinati al romanzo su cui lui lavorava da sette anni: da quando aveva finito
Il grande Gatsby, completato in meno di due anni.
Ufficialmente il nuovo romanzo contava 17 falsi inizi. Secondo la versione plausibile di Fitzgerald, era stato incominciato 100 volte. Un blocco dello scrittore trentaseienne? In parte: non aveva più la capacità di scrivere un racconto come quando nel gennaio del 1920 attaccava alle 8 del mattino per finire alle 7 di sera The Camel's Back; una short story pagata 600 dollari (circa 10mila di oggi) con cui aveva comprato l'orologio da polso col bracciale di platino: il primo regalo per Zelda, allora sua fidanzata. L'alcolismo manifestato sin dagli anni universitari a Princeton aveva lasciato i suoi solchi. Forse ne scherzava: bevo per dimenticare di bere.
O forse no: come scrisse Gore Vidal, non mostrò mai senso dell'umorismo. L'alcol aveva creato dipendenza, rallentato le sue capacità creative e l'avrebbe stroncato a soli 44 anni. Ma è anche vero che per vivere in quei sette anni aveva avuto bisogno di un reddito che coprisse pure le costosissime degenze di sua moglie nelle cliniche private. Quando occorrevano i soldi per vivere, al romanzo si sostituivano i racconti pagati benissimo dal
Saturday Evening Post.
Alla sfuriata di Fitzgerald con la psichiatra, Zelda rispose sottomessa spiegando di aver inviato il dattiloscritto direttamente all'editor Maxwell Perkins per non distrarre il marito dalla scrittura: «Scott, ti amo più di qualsiasi cosa al mondo e mi sento una miserabile per averti offeso... per favore amami - la vita è tanto confusa, ma io ti amo».
Fitzgerald riottenne il dattiloscritto, si trasferì da Montgomery in albergo a Baltimora ed estorse a Zelda - all'inizio riluttante - tutte le modifiche che considerò necessarie. Un mese dopo, Maxwell Perkins ricevette la nuova versione col titolo Save Methe Waltz, che Zelda aveva trovato in un catalogo di dischi.
Uscì nell'ottobre del 1932: vendette 1.500 copie, fu sminuito o ignorato dai critici, che lo considerarono il tentativo di una moglie intrigante di assicurarsi un passaggio gratuito sulla coda della celebrità del marito. Ben diversa fu la reazione britannica quando il libro fu pubblicato nel 1953, cinque anni dopo la morte di Zelda, e il Times Literary Supplement definì la sua prosa "potente e memorabile". Il romanzo di lui venne pubblicato nel 1934 come Tenera è la notte.
Oggi Save Me the Waltz è considerato come complementare a quest'opera di Fitzgerald. La prosa lirica dell'autore trova un commento spesso ironico in quella inaspettata di lei. Spesso lui si appropriò di espressioni della moglie, riprese dal diario o semplicemente pronunciate a voce. Come: «Spero sarà una stupidina: la miglior cosa che una ragazza possa essere è una meravigliosa stupidina », che troviamo nel Grande Gatsby, ma che lei disse quando vide per la prima volta sua figlia.
In sintonia con l'immagine di flapper, cioè di maschietta impertinente con cui suo marito l'aveva presentata a New York nel 1920, facendone una celebrità accanto a lui. Per molti anni l'immagine di Fitzgerald fu quella di un genio vincolato a un vampiro che lo obbligò a un tenore di vita irragionevole e per cui sacrificò il meglio del suo genio letterario. Ora l'immagine si è capovolta. Il femminismo ha messo a fuoco l'immagine di lei, docile vittima del patriarcato e dell'imperiosità di un coniuge che le impedì di scrivere su qualsiasi tema interessasse a lui.
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