DAGOREPORT – NEL NOME DEL FIGLIUOLO: MELONI IMPONE IL GENERALE ALLA VICEDIREZIONE DELL’AISE.…
Marinella Venegoni per “la Stampa”
Non è cotto, Vasco, anzi. Non è cotto come dicono i suoi detrattori seduti sulla sponda del fiume con ormai la muffa addosso. Risorto dalla lunga malattia con percepibile allegria, il Vate di Zocca ha ripreso ieri sera da Bari con energia baldanzosa la strada dei tour negli stadi, luoghi scomodi che dal lontano 1989 sono la sua seconda casa.
In un gigantesco groviglio di ferri che si illuminano con giochi tecnologici da mirabolante caleidoscopio, elegantemente organizzati su un superpalco di metallo, l’artista ha messo su due ore e mezza di concerto alquanto metal (ora più aperto al rock sinfonico) che ripropongono canzoni come lui sopravvissute a mille battaglie, fra citazioni attuali o d’epoca (c’è eco di Pink Floyd, per esempio) di un genere coperto di gloria e riservato solo ai sognatori incalliti o a chi non vuole mollare mai.
Echeggia Shostakovich con la possenteZoya, e si piomba con virulenza su Sono innocente, ironico esame di coscienza che dà il titolo all’ultimo album. Certo, Vasco canta con energia divertita anche malinconie crepuscolari come «Io non voglio più vivere/solo per fare compagnia» (Quante volte) ma non gli manca la verve di sentimenti fanciulleschi che richiamano gli esordi ruspanti.
Spara otto brani nuovi - fra i quali spiccano la bellissima Dannate nuvole, la liberatoria L’uomo più semplice(la prima scritta dopo la fine della malattia) e il bislacco trattatello Manifesto futurista sull’assenza di un credo religioso. Tutte raccontano il loro bravo repertorio di inquietudini: e quanto siano esse ampiamente condivise è ben raccontato dalle rispettabili cifre dei biglietti venduti a Bari, 50 mila ieri e 30 mila stasera.
A cantare a squarciagola, sotto il palco, ragazzi e signori, bambini sul passeggino e nuova terza età (come lui del resto), con nessuna voglia di abbandonare il fanciullino che ruggisce dentro. Una carrellata sulla prima fila, in pole position dalle 8 del mattino, incontra solo volti arsi dal sole della giornata, fra i 20 e i 25. Maschi e femmine mai stanchi e saltellanti fino alla fine, ché saltare diventa quasi obbligatorio.
Le novità sono mescolate a classici comeDeviazioni in versione punk o Siamo soli. Bandite le bugie, in scena. Lo si deduce anche dal valzerone schitarrato Blues di una chitarra sola che «sta parlando di te che non riesci più / ad essere quello di prima / Ogni cosa ti sfugge e ti manca il respiro». E amen.
La novità è soprattutto l’interludio «unplugged» che spezza in due la serata, con pezzi poco ascoltati dal vivo. Nessun pericolo... per te, Luna per te, La noia, e persino la remota E... ne escono come approfonditi. Del resto in molti si aspettano un intero concerto unplugged, prima o poi.
La seconda parte del «Full Metal Vasco concert», come lo ha definito lui stesso alludendo contemporaneamente al palco, alla propria giacca e alle sonorità della serata, è stata un’infilata rassicurante di successi storici, sempre sorretti da una energica tessitura ritmica: Stupendo, C’è chi dice no, Vivere, Gli angeli che mancava da molto tempo in live.
Finalissimo, nell’ordine, con Sally, Siamo solo noi, Vita Spericolata, Albachiara. Concerto a tutta birra grazie non solo a un Vasco divertito e divertente, ma anche ai chitarristi Stef Burns e Vince Pastano, al basso pittoresco dell’ingioiellato Claudio Golinelli (detto «il Keith Richards de noantri»), all’indiavolato batterista Will Hunt degli Evanescence. Tastiere di Alberto Rocchetti, Frank Nemola alla tromba e cori, Andrea Innesto al sax e Clara Moroni detta «la Ferrari del rock» ai cori. Trionfo è dir poco.
VASCOVASCO A CASTELLANETAVasco RossiVasco RossiVASCO A CASTELLANETA
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