
DAGOREPORT - GIORGIA, T’HANNO RIMASTO SOLA! – PERSINO IL CANCELLIERE TEDESCO, FRIEDRICH MERZ, DI…
“LA MIA POLEMICA CON LE CANTANTI CHE MOSTRANO IL CULO E CON ELODIE? NON SAPEVO CHI FOSSE. POI MIA MOGLIE MI HA MOSTRATO UNA SUA FOTO. È UNA BELLA DONNA” – QUEL VECCHIO TRIVELLONE DI GINO PAOLI APRE IL BAULE DEI RICORDI IN UNA INTERVISTA CON ALDO CAZZULLO – “IL CIELO IN UNA STANZA”? ERA LA STANZA DI UN BORDELLO. EBBI UN AMORETTO CON UNA PUTTANA. E IL MOMENTO IN CUI SUONA L’ARMONICA È QUELLO DELL’ORGASMO” - LO SPARO AL CUORE (“AVEVO TUTTO, IL SUCCESSO, LE DONNE, E NON SENTIVO PIÙ NULLA. VOLEVO VEDERE COSA C’ERA DALL’ALTRA PARTE”), LA MORTE DEL FIGLIO GIOVANNI CHE “NON HO ANCORA SUPERATO” E IL SEGRETO PER ARRIVARE A 90 ANNI IN FORMA: "CON LO STILE DI VITA PIÙ MALSANO POSSIBILE, FUMANDO PER DECENNI DUE PACCHETTI DI SIGARETTE E BEVENDO UNA BOTTIGLIA DI WHISKY AL GIORNO. IL MIO MEDICO MI VUOLE RIGARE LA MACCHINA” – VIDEO
Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera - Estratti
Gino Paoli va per i novantuno. Sua suocera Leda, che ha due anni più di lui ed è di Modena, ha preparato le tagliatelle. A tavola ci sono la moglie, Paola, e la figlia che Gino ha avuto da Stefania Sandrelli, Amanda. Padre e figlia hanno gli stessi occhi.
«Tutte le volte che andavo da Maurizio Costanzo — racconta lei —, scoppiava a ridere. Poi diceva: “Non ti offendere Amanda, ma quando ti guardo mi sembra di vedere Gino Paoli con la parrucca”». «Costanzo era un uomo intelligentissimo — ricorda lui —. Dopo lo scandalo della P2, era finito in una piccola radio romana. Mi invitò. Andai, perché è nel momento della disgrazia che si rivelano gli amici. Non l’ha mai dimenticato. Da allora Maurizio per me c’è sempre stato».
Il discorso cade sui grandi attori che Paoli ha conosciuto: Ugo Tognazzi, Walter Chiari, Dario Fo. Tutti accomunati dal fatto di essere andati a Salò. Perché? «Perché erano idealisti. Il fascismo è stato anche un ideale. Come lo è stato l’anarchia. Non possiamo accanirci contro vent’anni di storia italiana; perché Mussolini è nella storia italiana. Il Duce era capace, furbo: sapeva che gli italiani amavano identificarsi con gli eroi. Tutti eroi; o tutti cantautori».
Gino Paoli, lei è un capostipite. Il primo cantautore italiano.
«No. Il primo è stato Domenico Modugno. Vecchio frac ha aperto la strada a un certo tipo di canzone. Prima c’erano i papaveri e le papere. Lui dimostrò che la canzone poteva raccontare una storia».
Dove si erano conosciuti i suoi genitori?
«Al circolo ufficiali di Monfalcone. Papà comandava i sommergibili, e poi le navi. Quando vide Pippo, il ricognitore inglese, fotografare il porto di Taranto, spostò la Littorio nel mare interno, e la salvò dal terribile bombardamento del novembre 1940. Era convinto che una parte della Marina, compreso qualche ammiraglio, fosse in collegamento con gli inglesi. Alla fine della guerra, una parte della famiglia di mia madre finì nelle foibe».
Lei però è un uomo di sinistra.
«Consapevole delle pagine nere della Resistenza. Quando i partigiani aprirono le carceri, uscirono anche i criminali. Ci furono vendette private e delitti. A Genova, la mia maestra fu additata come collaborazionista: le raparono i capelli, la portarono in giro con il cappio al collo, poi le spararono in testa e la gettarono nel laghetto di Villa Doria».
(…)
Nonno Gino arrivò con l’ascia. Quelli, spaventatissimi, chiarirono che non volevano fare del male a nessuno: avevano visto i peperoncini appesi a essiccare, e avrebbero gradito qualcosa per insaporire il rancio. Avevano di tutto, ma solo in scatola».
PAOLI E CHIARI - MEME BY SHILIPOTI
Gli americani portarono il jazz.
«Poi cominciai ad ascoltare i francesi: Brel, Brassens. A differenza che in Italia, in Francia la canzone è l’espressione musicale per eccellenza, da Villon agli chansonniers, dai trovatori alle canzoni di protesta contro la guerra d’Algeria: come Les déserteurs di Marcel Mouloudji, che il generale De Gaulle avrebbe volentieri fatto impiccare».
La sua prima canzone di successo è del 1959: La gatta. È esistita davvero?
«Certo. Si chiamava Ciacola. Era furbissima. Siccome si sporgeva dalla finestra vicino al mare, una volta cadde di sotto, e si ferì a una zampa. Guarì subito, ma quando combinava i suoi disastri e mi accadeva di rimproverarla, Ciacola faceva gli occhioni e sollevava la zampa a mezz’aria, come se fosse ancora ferita. Irresistibile».
E lei divenne un cantautore.
«A dire il vero facevo il pittore. I quadri che vede alle pareti sono quasi tutti miei. Per campare ho fatto un po’ ogni mestiere: facchino, scaricatore, grafico. Nel luglio 1960 ero con i ragazzi dalle magliette a strisce».
La rivolta di Genova contro il congresso del Msi, gli scontri tra i camalli e la Celere, la caduta del governo Tambroni.
«La città insorse quando si seppe che stava tornando Basile, l’uomo di Salò che aveva preparato le liste dei deportati in Germania. Sul giornale uscì una foto in cui avevo sotto il braccio la testa di un poliziotto. Dovetti fuggire per evitare l’ira di mio padre».
Il 1960 è l’anno del Cielo in una stanza. Una canzone che ha 65 anni e pare scritta ieri.
Davvero era la stanza di un bordello?
«Sì. Ebbi un amoretto con una puttana...».
Guardi che la criticheranno.
«Se voleva intervistare un artista politicamente corretto, doveva andare da qualcun altro».
Racconti.
«Insomma, mi ero innamorato. Capita».
Come si chiamava?
«Non lo so. Non me lo ricordo. Ricordo che era molto carina. Mi piaceva proprio tanto, e io piacevo a lei. Andai in quella stanza due, tre, quattro volte. Fino a quando non finii i soldi. Dovevo inventarmi qualcosa per rivederla».
Cosa?
«Rubai i libri a mio padre. Una vecchia enciclopedia, che rivendetti. Per fortuna non se ne accorse. Con il ricavato ripresi a frequentare la mia amata. Fino all’esaurimento delle possibilità. Così le dissi: questa è l’ultima volta che ci vediamo».
E lei?
«Mi rispose: “Ma no! Vieni lo stesso!”. Così andavo a prenderla al mattino, quando non lavorava. E giravamo come due fidanzati. Alla fine arrivò il momento della decisione».
Quale decisione?
«Lei doveva lasciare Genova. Le puttane non erano fisse in un posto; dopo un mese, a volte solo quindici giorni, partivano. Era una rotazione continua: bolognesi, napoletane, siciliane, baresi... Lei mi chiese di seguirla: “Vieni via con me”. Io ci pensai seriamente.
Ebbi grossi dubbi. Poi prevalse il senso del dovere: “Mi dispiace tantissimo, ma debbo dirti di no”. Non l’ho mai rivista».
Quindi quella prostituta non ha mai saputo di aver ispirato Il cielo in una stanza?
«Non l’ha mai saputo».
Gli «alberi infiniti» sono un’eco di Leopardi?
«Chi? No, per me il poeta più importante è Caproni».
La stanza era davvero viola?
«Sì. Nei bordelli di lusso le pareti e i soffitti erano coperti di specchi. In quelli più popolari erano dipinti di viola o altri colori impossibili».
Ma nel 1960 i bordelli erano già chiusi.
«Avevamo iniziato a frequentarli giovanissimi, falsificando la data di nascita. Spesso si marinava la scuola e si andava al casino, di solito al Castagna, a chiacchierare con le puttane per la disperazione delle madame — quasi tutte venete, non si è mai capito perché —, che ci cacciavano. Così noi, per rabbonirle, andavamo a comprare un cabaret di paste, e tornavamo».
Poi venne la legge Merlin.
«E noi affezionati facemmo la Via Crucis nei bordelli di Genova. Li girammo tutti e ventitré, offrendo fiori e champagne. Loro ci regalarono le insegne con la lista e il costo delle prestazioni».
Non crede sia stato giusto restituire dignità alle prostitute?
«Ma quale dignità. Le si è sbattute per strada, in condizioni sanitarie molto peggiori, e per avere sicurezza si sono dovute affidare agli sfruttatori».
Il momento in cui suona l’armonica è quello culminante dell’amore, vero?
«Certo. È l’orgasmo».
Quali strumenti suonava lei all’epoca?
«Chitarra e pianoforte. In realtà, non sapevo suonare né la chitarra, né il pianoforte (interviene Amanda Sandrelli: “Papà cosa dici, il pianoforte lo suoni benissimo!”. “Forse sì, ma ho imparato dopo”)».
(…)
Il cielo in una stanza fu un successo immediato, immagino.
«Macché. La canzone fu rifiutata da tutti. L’avevo affidata a Giulio Rapetti, il figlio del capo delle Edizioni Ricordi».
Mogol.
«Lui. Gli devo moltissimo. Girò tutti gli studi dei discografici. Non la volle nessuno. In effetti era una canzone strana, innovativa. Niente strofe rimate, bridge, ritornello. Ma io non scrivevo seguendo le regole; scrivevo come piaceva a me. La svolta arrivò quando la incise Mina».
Lei, Paoli, c’era?
«No. Me lo raccontò Tony De Vita, l’arrangiatore: “Gino, è successa una cosa pazzesca.
Mina ha cantato la tua canzone, accompagnata dai violinisti della Scala, e quando ha finito è scoppiata in un pianto dirotto, con i musicisti che la acclamavano levando l’archetto”.
Non si era mai vista una cosa del genere in sala di registrazione».
Era nata la canzone d’autore italiana.
Poi Mina partì per una tournée in Giappone. Quando tornò, Il cielo in una stanza cantato da lei aveva già venduto due milioni di copie. Nel frattempo era nata mia figlia Amanda».
Se il boom comincia nel 1958 con Volare, finisce o comunque si incrina quando nel 1963 lei scrive Sapore di sale.
«Sì, quella canzone è la prima crepa nell’Italia felice degli anni 60. Sentivo che non sarebbe durata».
Dove la scrisse?
«In Sicilia. Avevo una serata a Capo d’Orlando, organizzata da due pazzi siciliani che vennero a prendermi all’aeroporto con due Ferrari, e insistettero molto perché mi fermassi. Risposi che mi sarebbe piaciuto ma non potevo, avevo già una serie di impegni. “Ai suoi impegni pensiamo noi!”. Ci pensarono loro. Mi feci raggiungere dalla mia moglie di allora, e rimasi 15 o 20 giorni in Sicilia».
AMANDA SANDRELLI GINO PAOLI STEFANIA SANDRELLI 1
«I giorni che passano pigri...».
«Giorni bellissimi, la pancia al sole, il motoscafo Riva per le gite all’Eolie. Ma poi venne il momento di tornare a Genova».
Molti anni dopo Il cielo in una stanza, Fabrizio De André ha scritto canzoni ispirate alle prostitute di Genova.
«De André scrisse una o due canzoni proprio belle, come La canzone dell’amore perduto. Poi si innamorò di Brassens, e si dedicò a tradurlo».
Un anno e mezzo fa, lei disse al Corriere: «Un tempo avevamo Mina e la Vanoni, adesso emergono le cantanti che mostrano il culo».
Non fece nessun nome, ma ne nacque un putiferio.
«Ricordo».
Elodie si offese. Il suo amico Antonio Ricci di Striscia le mandò sotto casa Dario Ballantini, travestito da Gino Paoli, a cantare una sua canzone politicamente scorretta, «Parigi con le gambe aperte». Vogliamo chiarire che non ce l’aveva con Elodie?
«Certo. Parlavo in generale, pensando non solo all’Italia. Giuro che non sapevo chi fosse Elodie. Poi mia moglie mi ha mostrato una sua foto. È una bella donna».
Come si arriva a novant’anni in forma come lei?
«Con lo stile di vita più malsano possibile, fumando per decenni due pacchetti di sigarette e bevendo una bottiglia di whisky al giorno. L’ho detto a un convegno di gerontologi, studiosi della vecchiaia, e ho avuto dieci minuti di applausi. Il mio medico mi vuole rigare la macchina».
ascensore di castelletto a genova
Perché?
«Gli esami del sangue sono perfetti».
Ha paura della morte?
«Della mia, no. Ho paura della morte delle persone che amo».
Lei ha perso un figlio, Giovanni.
«Un dolore che non ho ancora superato. Mi pesa molto parlarne. Un’ingiustizia atroce: deve morire prima il padre del figlio, dovevo morire prima io di Giovanni. L’ho detto al prete che ha celebrato il funerale: Dio dov’è? Come può permettere che un padre debba seppellire un figlio?».
Dov’è Dio?
«Il sacerdote mi ha risposto che Dio è nel sentimento che provo. Dio esiste anche per suscitare la nostra rabbia, il nostro dolore, la nostra reazione. Credo che sia davvero così. Così con Dio ci parlo».
Cosa gli dice?
«Gli chiedo perché si è portato via quasi tutti i miei amici, tante persone care. E lui mi risponde: “Se ci pensi bene, lo capisci”. Dio preferisce circondarsi di persone buone e intelligenti, anziché di figli di puttana. Mi chiedo però cosa ci faccio ancora io qui».
GINO PAOLI CON LA MOGLIE PAOLA -FOTO DI MASSIMO SESTINI
Come immagina l’aldilà?
«Me lo chiedo dalla notte dell’11 luglio 1963».
Quando si sparò al cuore.
«Avevo tutto, il successo, le donne, e non sentivo più nulla. Volevo vedere cosa c’era dall’altra parte».
Cosa ci sarà dall’altra parte?
«Ho due teorie. A volte penso di ritrovarmi da solo, al buio, in mezzo al nulla, come uno stupido. Altre volte penso che l’aldilà sia un posto meraviglioso, pieno di luce e di musica, dove ci ritroveremo tutti».
ascensore di castelletto a genova
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