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Marco Giusti per Dagospia
Buone notizie da Cannes. Quasi un capolavoro, ma non poteva che essere cosi', "Inside Out" di Pete Docter della Pixar, che vedremo da noi a Natale, presentato fuori concorso. E davvero ottimo "La loi du marche'" di Stephan Brize' con Vincent Lindon, entrambi accolti con applausi calorosi dal pubblico.
"Inside Out" e' un complesso tentativo, piu' vicino a certi cartoon sperimentali anni 50 della UPA ("Gerald MacBoing Boing") o al mondo visivo e narrativo del Dr Seuss, che alla classicita' della Disney, di dar vita al funzionamento dei nostri sentimenti nel nostro interno.
L'inside vede all'opera la Gioia, la Tristezza, la Paura, la Collera, come fossero veri personaggi di un team che ci guida all'esterno, l'out, nella nostra vita. Cosi' la piccola Riley, cresciuta nel Minnesota che a 12 anni viene portata a San Francisco, subisce un trauma che i suoi sentimenti riusciranno con molte difficolta' a attutire.
Tutto il film e' costruito su questo gioco della squadra interna che riuscira' a far funzionare il fuori, cioe' la piccola Riley. Film complesso e affascinante, forse non adatto ai piccolissimi, riprende il discorso sulle nostre paure e le nostre sensazioni profonde iniziato da Docter in "Monsters and Co." e ripreso nel meraviglioso "Up", che e' forse una delle punte maggiori della Pixar e dell'animazione moderna.
Gioia e Tristezza viaggeranno nel mondo dell'immaginazione col buffo elefante amico immaginario di Riley e scivoleranno nel suo subconscio incontrato il grosso pagliaccio Django, incubo delle feste di compleanno. Ovviamente "Inside Out" e' una festa per i vecchi cinephiles gia' molto provati dai film del festival. La costruzione esterna e' sul realistico piu' tipico della Pixar, mentre l'inside e' legato al mondo di Seuss, ma molto addolcito e rotondeggiante. L'elefante blu e' ovviamente una delle carte vincenti del film.
La crisi e la coscienza della classe operaia che vincono su coppie disastrate, registi in crisi e famiglie distrutte, sono invece le armi segrete del secondo film francese in concorso, "La loi du marche'" di Stephane Brize' con un Vincent Lindon, operaio in esubero che cerca di campare con 500 euro al mese e trova lavoro in un supermercato iperclassista dove non c'e' spazio per la pieta', e' molto buono, contemporaneo (finalmente!), e non ha quei meccanismi precisissimi, ma ormai risaputi dei Dardenne.
La tecnica e' piuttosto da piccolo documentario santoriano, con il nostro protagonista ripreso da vicino sul lavoro, durante i colloqui via skype, in mezzo alla famiglia, mentre balla con la moglie, mentre discute con gli altri operai. Ha pure un figlio handicappato che vuole studiare biologia. E' il ritratto di una piccolissima borghesia, con casa quasi finita da acquistare col mutuo ("la venda", gli dice la bancaria bastarda), la casa vacanza precostruita, che doveva formare l'ossatura della societa' francese che la crisi e la politica dei governi Sarzoky e Hollande hanno distrutto.
Al punto che Lindon finisce appunto a fare il guardiano, il poliziotto, all'interno di un supermercato dove sono tutti, ma proprio tutti, colpiti dalla crisi. I vecchi che rubano e non possono pagare il "sovrappiu'" nascosto in tasca, le cassiere che fanno la cresta sui punti delle offerte. Vincent Lindon, anche produttore assieme alla nuova Arte di Olivier Pere, responsabile anche di "Arabian Nights" di Miguel Gomes, e' da premio come miglior protagonista maschile.
Bravissimo, fa il minimo, ma nella sua rassegnazione, che alla fine esplodera', ovvio, c'e' la tristezza di un paese e di tutta la vecchia Europa, ma anche la capacita' di una presa di coscienza morale che ci farebbe bene a tutti.
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