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LA GOMORRA DEI GIUSTI: “E ANCHE ‘GOMORRA 2’ È FINITA. ANCORA UNA VOLTA POSSIAMO DICHIARARE CHE QUESTO DI SOLLIMA-CUPELLINI-COMENCINI-GIOVANNESI È IL MIGLIOR FILM ITALIANO DELL’ANNO, LA NOSTRA SERIE MIGLIORE IN ASSOLUTO”

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Marco Giusti per Dagospia

 

“La fine del giorno è tutta qui”. E anche Gomorra 2 è finita. Ancora una volta possiamo dichiarare che questo di Sollima-Cupellini-Comencini-Giovannesi è il miglior film italiano dell’anno, la nostra serie migliore in assoluto e, soprattutto, penso che rappresenti per i napoletani lo scudetto che il Napoli non è riuscito a vincere contro la Juve. Non era facile coprire i due anni di distanza da Gomorra 1.

 

Perché in questi due anni abbiamo visto tante parodie della serie, abbiamo riletto tutte le battute e i tic dei suoi personaggi, che alla fine diventava faticoso, nelle prime puntate, rientrare nella dimensione teatrale e serissima, da tragedia greca, delle triangolazione tra i personaggi, tra tradimenti, giuramenti di fedeltà, affinità ,“Tu sei come me”, e, soprattutto rapporti tra padri e figli, “Adesso ci facciamo due spaghetti co ’a pummarola” - “Papà, non c’è qualcos’altro?” – “Tu mangi quello che ti dich’io!”.

 

GOMORRAGOMORRA

Da un momento all’altro, nelle prime puntate aspettavamo la frase a effetto da Jackals o il dialogo faccia a faccia da Fiorello, come se Gomorra fosse una fabbrica di emozioni comiche e parodistiche. Al punto che a molti tutto questo napoletano esibito, sorta di ricucitura violenta con il suo pubblico, di ritorno all’ordine gomorristico credo abbia pure dato fastidio.

Nicola Marino - figlio di Gaetano Marino detto Mckay -  recita nella serie GomorraNicola Marino - figlio di Gaetano Marino detto Mckay - recita nella serie Gomorra

 

E, invece, la grandezza di Gomorra 1 e 2 sta anche in questo riprendersi drammaticamente e teatralmente la scena imponendo una serie di attori meravigliosi, già visti nella prima serie e altri, totalmente nuovi, della seconda serie che ci riportano pesantemente alla violenza, alla purezza del cinema. In qualche modo l’aver spostato, nelle prime due puntate, l’azione in Sudamerica e in Germania, ha come messo in scena lo stesso nostro spaesamento di fronte al ritorno di Don Pietro, Ciro e Genny con la loro pesantezza drammatica.

 

marco d amore maria pia calzonemarco d amore maria pia calzone

Per poi ricompattarlo platealmente nel ritorno a casa di Don Pietro non solo a Napoli, ma nella scenografia giusta e perfetta di Gomorra, cioè Scampia e Secondigliano, che funzionano come unica quinta possibile dell’azione dei nostri personaggi. Poco è più teatrale di Gomorra, come se Sollima e soci fossero ancora dalle parti del sogno dell’avventuroso italiano nato con La corona di ferro di Blasetti a Cinecittà. Ma proprio questa incredibile messa in scena a più mani, e con stili diversi, perché ognuno dei quattro registi ne ha uno ben preciso, ci riporta intatto il sogno del nostro avventuroso popolare e della sua costruzione teatrale.

CRISTINA DONADIO GOMORRACRISTINA DONADIO GOMORRA

 

Che ha bisogno di incredibili scenografie, magari naturali come l’Almeria, di villaggi costruiti da Carlo Simi, o della scenografia ormai teatralizzata delle Vele di Scampia. E’ lì che si dovranno muovere i nostri personaggi per poter riprendere davvero la loro consistenza e riportarci all’essenza delle loro storie. 

 

Come ai tempi degli spaghetti western di Sergio Leone – Sergio Corbucci – Sergio Sollima, dove è la messa in scena, la scenografia, la musica, la fotografia dei nostri grandi artigiani a far muovere perfettamente i protagonisti, buoni-brutti-cattivi che siano, sullo schermo. E, allora, le donne di Francesca Comencini, i figli ribelli di Stefano Sollima, le riprese con la camera a spalla di Giovannesi e i grandi totali architettonici di Cupellini finiscono per confluire in un’unica grande visione di cinema popolare.

Cristiana Dell AnnaCristiana Dell Anna

 

Che è quello che mancava al nostro cinema, chiuso nella cupezza del realismo a tutti i costi e nella dipendenza, davvero assurda, dei pochi nomi che i produttori ancora pensano facciano botteghino, e che invece ritrova in serie come questa e in pochi altri titoli delle ultime stagioni la sua vera strada e una galleria di attori mai visti e meravigliosi come se Napoli, il suo teatro, perfino le sue serie come Un posto al sole fossero un serbatoio inesauribile di voci e volti.

 

Dopo Marco D’Amore, Fortunato Cerlino, Salvatore Esposito e Maria Pia Calzone, arrivano Cristina Donadio-Scianel con la sua incredibile scena di quando canta col vibratore d’oro un pezzo neomelodico, Marco Palvetti-Salvatore Conte, come boss innamorato del trans, Cristiana Dell’Anna-Patrizia con la sua bella faccia di donna che non si piega e tutta una sfilata di piccoli grandi attori mai visti, ‘O Track, O’ Mulatto, Zingarello, il cattivissimo Malammore.

 

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Ma dove erano? Perché il cinema italiano non li ha scoperti prima? Gomorra fa bene al nostro cinema, fa bene a Stefano Sollima, che è finalmente il grande autore popolare di cinema d’azione di cui avevamo bisogno, fa bene a Francesca Comencini, che fa esplodere i suoi personaggi femminili dentro un contesto violento come non sempre era riuscita a fare nei suoi film, fa bene a registi più giovani come Claudio Cupellini e Claudio Giovannesi che ritrovano dentro Gomorra le loro strade per un cinema autoriale senza perdere nulla della loro freschezza.

 

Che il grande tema di Gomorra 2 fosse il rapporto fra padri e figli l’avevamo capito subito, come avevamo capito che doveva arrivare il momento della resa dei conti tra vecchi e giovani. “Le cose sono cambiate”. “No, accà nun cagna gnente”. Esattamente come in Faccia a faccia di Sollima padre. In fondo anche lo staccarsi da ombre di genitori così importanti, penso sia a Sollima Junior che a Comencini Junior, penso che non sia stato facile.

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E è un po’ la parabola di tutto il nostro cinema, sia quello d’autore sia quello più popolare. Liberarsi dell’ombra dei padri, non fare a vita la “controfigura del fantasma”. Non fare più “quello che ti dich’io”. Gomorra 2 ci riporta all’ordine, ci ripulisce da qualsiasi tentazione parodistica, e ci mostra comunque una strada che potrebbe essere la scelta giusta per il nostro cinema e per crescere. Finalmente.

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