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Marco Giusti per Dagospia
Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese
“Ma che è… frocioooo!!!???” Con l’urlo disperato post-mucciniano di Anna Foglietta all’amica Kasja Smutniak, ma tenuto così alto da farlo capire perfettamente al marito Valerio Mastandrea, si materializza il terrore di ogni maschio più o meno etero in sala. Mai giocare coi cellulari, mai aprire quelli di mogli, mariti, figli, amici. Possono esserci foto imbarazzanti, segreti mai detti, rivelazioni inaspettate.
Veramente non sai mai cosa ti aspetta. Questa più che la morale è il consiglio che ci arriva da Perfetti sconosciuti, il nuovo film di Paolo Genovese, che lo ha scritto assieme a Filippo Bologna, Paolo Costella, Paolo Mammini, Rolando Ravello, e che riunisce come protagonisti la crème de la crème del cinema italiano attuale, alternando affermati attori di commedia, Marco Giallini, Edoardo Leo, Anna Foglietta ai paladini del cinema d’autore come Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Valerio Mastandrea e la stessa Kasja Smutniak, un po’ in bilico tra i due mondi. L’idea è particolarmente buona.
Riunire in un appartamento borghese tre coppie di trenta-quarantenni di varia estrazione sociale e un quasi single, Battiston. E farli giocare con la lettura o l’ascolto comune di tutto ciò che arriva dai loro telefonini. Ahi! Questo provoca una situazione veramente pericolosa sul tipo degli odiosi otto di Tarantino. Perché tutti o quasi abbiamo se non proprio dei segreti, almeno dei pensieri che è meglio non rivelare in pubblico.
A questo Mastandrea, sposato con la Foglietta, unisce, per coprirsi da un eventuale messaggino fotografico di un’amica, lo scambio di cellulare con Battiston che provocherà un vero inferno, mentre si svelano o si rivelano veri tradimenti multipli o più leggeri giochini sessuali da social. Stasera togliti le mutande…
Quel che viene fuori non è un ritratto della borghesia comunista anni ’70 che Ettore Scola aveva dipinto ne La terrazza, non ci sono più né partiti né ideologie, ahimè, al massimo qualche sgualcita sinistra in cachemire che mangia il venerdì sera da Perilli, né la visione mucciniana dei trenta-quarantenni di Roma Nord isterici ma pieni di vita di Muccino Senior. No.
Quel che viene fuori è una generazione solo apparentemente più tranquillizzata, che delega gran parte della propria vita e dei propri desideri non solo sessuali al mondo sommerso degli sms, dei uozzap, delle fotine e dei social. Una generazione che non ha più le palle per prendere delle vere decisioni e affrontare la vita di petto scontrandosi con il mondo e si chiude a riccio dentro un computer o un cellulare. Non vedendo così, o non volendo vedere, cosa davvero sta capitando fuori.
Non so quanto sia davvero riuscito il film di Genovese, ma certo nessuno aveva affrontato prima questo tema e dipinto questa nuova borghesia italiana senza classi e senza desideri, unita solo da una certa ritualità, la serata con gli amici, la partita. Ma non c’è davvero più molto da condividere.
Magari la sceneggiatura poteva essere più rifinita, ma Genovese riesce a far funzionare il suo bel cast anche oltre la pagina scritta, permettendo ai suoi attori di costruirsi delle proprie inedite funzionalità e complicità che non sono mai banali. Del resto sono tutti attori che si conoscono, si ritrovano, si caricano tra loro, al punto da impossessarsi anche dei loro ruoli. Rimane però una sensazione di freschezza nel film che non sempre queste commedie chiuse in un ambiente possiedono. In sala da giovedì 11 febbraio.
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