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Marco Giusti per Dagospia
La ragazza del treno di Tate Taylor
Poche storie. Se avete letto il libro vi piacerà. Soprattutto, se siete donne e avete letto il libro vi piacerà. I mariti è meglio che rimangano a casa a seguire le partite di calcio. Non è un film per loro. Non a caso i tre personaggi principali forti del film, quattro con la poliziotta, sono tutte femmine. Rapida edizione di lusso cinematografica del best seller dell’inglese Paula Hawkins, questo La ragazza del treno diretto dal Tate Taylor del patinato The Help, e scritto dalla Erin Cressida Wilson di Secretary e di Fur, sposta l’azione da Londra e dintorni a New York e dintorni.
Ma la sostanza non cambia. Rachel, interpretata da una sospirosa e appassionata Emily Blunt con gli occhioni sempre aperti e umidi (un po’ troppo, no?), è una divorziata tradita e triste che affoga nell’alcool i suoi problemi e ogni mattina, dal finestrino del treno che la porta in città, segue la vita di due coppie ossessivamente. Una coppia è formata dalla giovane e bellissima Megan Hipwell, interpretata dall’emergente Haley Bennett, sposata con un aitante e un po’ coatto Scott, cioè Luke Evans.
L’altra coppia è quella formata dal suo ex-marito Tom, Justin Theroux, e dalla sua nuova donna, Anna Boyd, cioè la notevole Rebecca Ferguson già vista nell’ultimo Mission Impossible, ma qui più dimessa e meno aitante. Tom e Anna hanno avuto pure un figlioletto. Ma Rachel non ci sta a vederli felici, e soffre, e beve, e ri-soffre, e ri-beve, ronzando vicino alla loro casa. Vede invece in Megan e Scott un amore puro e forte che le piace.
Ma, come tutte le lettrici del romanzo sapranno, il giorno che vede Megan baciare un uomo che non è il marito, potrebbe essere il suo psicanalista, il dottor Kermal, cioè Edgar Ramirez, scoprirà anche che è l’ultimo giorno di vita della ragazza. Perché Megan scomparirà per essere poi ritrovata morta nel bosco vicino alla sua casa. Qui si apre il giallo, certo, ma intanto, grazie alla costruzione complessa del romanzo, che il film segue piuttosto bene, veniamo a sapere altre cose.
Che Megan ha dei problemi di dipendenza dal sesso, che ha una mezza storia col suo psicanalista o vorrebbe averla, che ha fatto la baby sitter a casa di Tom e Anna e poi se ne è andata. Veniamo a sapere anche che Rachel non è solo alcolizzata, ma che ha perso il lavoro da un anno e non si capisce cosa vada a fare tutti i giorni a New York se non lavora. E sappiamo che ha dei buchi di memoria, che non ricorda bene cosa le sia successo proprio il giorno che è morta Megan e è poi ritornata a casa piena di lividi.
La sergente Riley, Allison Janney, indaga. E Rachel cerca di aiutare Scott, l’uomo di Megan, a capirci qualcosa. Tate Taylor e la sua direttrice della fotografia, Charlotte Bruus Christensen, insistono troppo sui primi piani della piagnucolosa Emily Blunt, fanno un gran lavoro di immagine su Haley Bennett e un po’ meno su Rebecca Ferguson.
Ma le ragazze sono belle e tengono su un film che non ha grande identità e che è costruito davvero solo come illustrazione di lusso del romanzo con tanto di musica di danny Elfman. I maschi sono generalmente belli e ambigui e la morale è che l’alcool non cura il dolore delle corna. Così così, ma le signore dei Parioli non aspettano altro che di vederlo. Budget da 45 milioni di dollari e incassi internazionali di 122 milioni. In sala.
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