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Marco Giusti per Dagospia
Tutti vogliono qualcosa di Richard Linklater
Ritornano gli anni ’80! Lo so, non se ne sono mai andati davvero. Ma per gli americani gli anni ’80 non sono Pippo Baudo e Amanda Lear, ma il cazzeggio totale dei campus universitari, il perdere tempo tra maschi pensando alle ragazze, al baseball, alle canne e alla birra. E un continuo gioco di seduzione, più tra i compagni di università dello stesso sesso che con le ragazze.
Richard Linklater torna, con questo suo buffo e sentito Tutti vogliono qualcosa, agli anni magici di un’America lontana dove l’unico interesse è l’agonismo maschile e una sciagurata idea di amicizia virile che ti lega a un gruppo. Linklater dice che è un film semi autobiografico e molto personale, una specie di sequel ideale di Dazed and Confused. Il protagonista, il texano Jake, il nuovo venuto Blake Jenner, arriva in un campus per giocare nella squadra dell’università a baseball.
Ovvio che per due anni farà poco e niente. Ma la cosa divertente è che Jake è anche un intellettuale e non trova niente di più piacevole che lasciarsi dietro tutto e buttarsi in questo gruppo di americani tipici degli anni ’80, buffi ragazzotti che sembrano usciti da Happy Days. Jake ha una storiella con una ragazza che studia teatro, Beverly, Zoey Deutch, ha un amico punk, ma non può fare a meno del gruppo. Tutte le sue avventure iniziano da quando arriva al campus e finiscono con la prima lezione di letteratura dopo una nottata che non ha passato a dormire.
Quello che sfugge a noi italiani, cresciuti con altri modelli negli anni ’70 e ’80, è l’idea della squadra di baseball dell’università come territorio libero sia dallo studio che dal doversi scegliere un futuro. I ragazzi del gruppo, interpretati da facce del tutto nuove per noi, come Tyler Hoechin, Wyatt Russell, Ryan Guzman, Zoey Dutch, Will Brittain, Glen Powell, vivono un tempo sospeso da tutto, soprattutto dalle scelte che cambieranno per sempre la loro vita.
I più bravi passeranno nelle squadre professioniste, i più vecchi non potranno più giocare, c’è un limite di età per entrare nella squadra, e grande è la figura del giocatore di 30 anni, Willoughby, che viene scoperto, ma intanto il gruppo si costruisce come un’entità a sé.
E’ come se Linklater, dopo averci dato un grande film sperimentale sulla costruzione della famiglia americana con Boyhood, decidesse ora di darci una versione nostalgica e cazzona degli anni della sua giovinezza. Se non vi aspettate il capolavoro, molto, molto piacevole. In sala dal 15 giugno.
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