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Francesca Giuliani per "la Repubblica - Edizione Roma"
Ora che arriva d'oltreconfine (e dall'altra parte dell'Oceano), la brutta figura è persino ingigantita: anche Hollywood reporter, temuta Bibbia statunitense dei Cinefili, ha speso parole di imbarazzato deploro per il Festival di Roma di Marco Müller. E anche
Le Monde solleva, con toni non proprio di elogio, un caso intorno all'identità del festival romano.
Lasciando da parte letture critiche, il settimanale Usa si sofferma piuttosto sull'aspetto più gestionale, politico e increscioso, dei finanziamenti ricevuti proprio da quei titoli risultati vincitori del Festival e realizzati con i fondi della Regione Lazio, istituzione che ha sostenuto con forza e fino alla fine, la nomina di Müller alla direzione artistica.
"I media italiani accusano di aver ingiustamente favorito i film realizzati con sostegno pubblico", titola Hollywood reporter nella sua ampia cronaca conclusiva del Festival, di cui si rimarcano il calo di pubblico, le poche star internazionali, il carattere tutto italiano (locale?) contrapposto a quello della Mostra veneziana che in settembre si guardò bene di premiare il favorito "Bella Addormentata" di Bellocchio.
Quattro i film al centro della questione: "E la chiamano estate" di Paolo Franchi, premiato per la regia insieme a Isabella Ferrari, migliore attrice; "Alì ha gli occhi azzurri" di Claudio Giovannesi, miglior opera prima; "Cosimo e Nicole" di Francesco Amato, vincitore della sezione Prospettive Italia; "Razzabastarda" di Alessandro Gassmann, menzione speciale della giuria, premiato sì ma realizzato senza sostegno regionale.
A conclusione l'autore ricorda come, da direttore della Mostra di Venezia, Müller sia stato contestato per le premiazioni per esempio di "Somewhere" di Sofia Coppola, prescelto da una giuria guidata da Quentin Tarantino, ex fidanzato della regista. Non sono per niente più tenere le parole con cui Le Monde, il quotidiano francese, dà un ritratto finale del Festival giudicando questa settima edizione come "un numero zero": «La sfida che si è prefissa il direttore artistico è notevole: conciliare le esigenze di un festival ancorato in una città in cui il cinema è ormai soltanto un divertimento che si consuma nelle multisala e quelle di un festival "di categoria A" che si trova ad essere giudicato sulla qualità artistica della programmazione e sul dinamismo del mercato che quest'anno mancava di tono. Müller ha più volte dato prova della sua capacità di eccellere in questo esercizio di equilibrismo. Ma Roma è un festival ibrido, di un genere nuovo. La scommessa più difficile per lui sarà di inventargli una identità ».
Una pioggia di critiche pesanti da parte degli osservatori stranieri che si incrociano a quelle dei testimoni locali, intorno a una kermesse realizzata con importante intervento di fondi pubblici, rimarcate in una nota anche da Paolo Foschi, consigliere regionale del Partito democratico.
MULLERMarco Muller marco muller all auditorium di roma
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