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Luca Pallanch per “la Verità”
Cercasi produttore per remake! Bruno Gaburro, simpaticissimo regista nato in provincia di Piacenza e cresciuto a Brescia, si è messo in testa di rifare il suo film Ecce Homo - I sopravvissuti girato nel lontano 1968, sostituendo alla devastazione provocata nell' umanità da un guerra atomica gli effetti del Covid. Un film che ha segnato la sua carriera: avrebbe dovuto aprirgli le porte del cinema d' autore, ma qualcosa non è andato per il verso giusto. Con l' ironia di chi nella sua vita professionale ne ha viste di tutti i colori, Gaburro, che avrebbe poi raggiunto il successo nei primi anni Novanta con il dittico Abbronzatissimi e Abronzatissimi 2 - Un anno dopo, rievoca la storia del suo comunque indimenticabile esordio.
Com' è nato Ecce Homo - I sopravvissuti?
«Mio fratello Giuseppe era un appassionato di fantascienza. Un giorno mi ha raccontato l' idea del film, di cui aveva scritto un soggetto di poche pagine e io l' ho sviluppato assieme all' amico Giacomo Gramegna. Avevo come agente Fausto Ferzetti - il fratello dell' attore Gabriele -, al quale ho dato il soggetto spiegandogli che volevo fare un film.
Grazie a lui ho incontrato Irene Papas, che ha accettato di farlo, ma anche con lei, all' epoca molto famosa, è stato difficile combinarlo perché tutti i produttori, leggendo il soggetto, volevano farne un western, allora in voga. La storia si prestava benissimo: avrebbe ricordato Il cavaliere della valle solitaria di George Stevens, dove il protagonista entra in una famiglia e la salva dai cattivi.
Nella mia storia due personaggi, un militare e uno scienziato, entrano in un nucleo familiare e lo devastano, quindi lo spunto iniziale era simile. Mi sono detto: "No, un western, non posso farlo" e ho desistito».
Poi cosa è successo?
«Alcuni giorno dopo, ero seduto sulla panchina a piazza delle Muse, a Roma, quando ho rivisto Irene Papas con un gruppo di amici e lei mi ha detto: "Ma allora il film non lo facciamo?". "No, non lo facciamo perché non abbiamo un produttore". E lei: "Dobbiamo organizzarlo noi". Da lì è rinato l' entusiasmo, siamo andati a casa mia e sul tavolo del salone abbiamo preparato il film.
Lei ha chiamato Philippe Leroy e Gabriele Tinti, che mi hanno dato appuntamento per leggere la sceneggiatura e gliel' ho dovuta portare la mattina dopo a Ostia, dove stavano prendendo il sole. La sera già avevano detto di sì. Poi Gabriele Ferzetti ha convinto Frank Wolff, l' interprete di Gaspare Pisciotta in Salvatore Giuliano di Rosi. L' abbiamo girato con 18 milioni, che ha messo interamente Irene Papas».
E il produttore Pierluigi Torri?
«Abbiamo girato in poco più di due settimane, ma alcuni giorni prima della fine delle riprese siamo rimasti senza soldi, allora Leroy è tornato a Roma e ha trovato Torri, al quale non è parso vero di versare un po' soldi per coprire le ultime spese e per l' edizione, in cambio dei diritti del film. Irene Papas era contraria. Leroy, che temeva i sequestri, è si ripresentato con i soldi cuciti all' interno dei pantaloni. Poi sono caduto anche nelle mani di Roberto Loyola, altro personaggio incredibile di quegli anni (sia Torri che Loyola hanno avuto problemi con la giustizia, ndr), che ha distribuito il film inventandosi sui manifesti la frase: "Censurato dalla distribuzione".
Una distribuzione censura un suo film?! Poi ha attaccato sopra: "Vietato ai minori di 18 anni", nel tentativo di fare soldi attirando spettatori speranzosi di vedere qualche donna nuda. In tutto il film, c' era solo la ripresa subacquea di Gabriele Tinti e di Irene Papas che portavano un tanga color pelle e non si vede niente».
Come avete fatto a girare Ecce Homo con così pochi soldi?
«Durante le riprese è uscito un articolo sul settimanale Lo Specchio dal titolo «Esperimento: il primo film autarchico». "Sono Philippe Leroy, Irene Papas, Frank Wolff: si sono messi in testa di fare un film con 18 milioni messi fuori di tasca loro - in realtà li ha messi tutti la Papas! - e così per risparmiare fanno di tutti: manovali, elettricisti, macchinisti, truccatori, parrucchieri.
L' intera troupe che gira in Sardegna è composta di solo sette persone che hanno rinunciato a lauti cachet pur di realizzare questa loro idea nella più concreta indipendenza". È stato definito il primo film autarchico, prima di Nanni Moretti».
Nei cinema è uscito?
«È uscito in tutta Italia, ma poi è stato sequestrato per vicende legate a Torri ed è sparito dalla circolazione. Sono convinto che senza il sequestro con il passaparola avrebbe avuto successo: visto ancor oggi, anche se non posso essere io a dirlo per non passare per presuntuoso, non annoia proprio, c' è una recitazione meravigliosa e un ritmo, questo sì, da western. Certo, si vede la miseria del film, ma doveva essere volutamente misero, non un' americanata con mostri di vario genere».
Voleva fare un film apocalittico o fantascientifico?
«L' idea era di mettere insieme quattro-cinque persone, dopo una guerra atomica, quando ormai non è rimasto più nulla, e mostrare che anche un' umanità così ridotta avrebbe finito con l' annientarsi. Noi esseri umani riusciamo a distruggere tutto e forse già abbiamo iniziato.
Recentemente in Internet ho trovato la lunga recensione di un francese: "Ecce Homo è un film così disperato e disperatamente bello, forse non è un capolavoro, ma se ne avvicina" e questo mi dà ancora più carica per il mio progetto di un remake».
La musica era di Ennio Morricone.
«Il montatore Renato Cinquini me lo ha presentato alla Fonoroma, preannunciandogli che stava montando un film innovativo. Morricone mi ha detto: "Mi lasci fare. Ho in mente qualcosa di originale". Nel libro-conversazione con Giuseppe Tornatore il compositore sosteneva che per sperimentare doveva avere un film giusto e che era impossibile farlo in un prodotto destinato a un pubblico vasto. Ecce Homo gli è parso perfetto per sperimentare».
All' epoca c' erano state recensioni positive?
«No, solo piccole recensioni. Lo ha notato però Marco Ferreri. Eravamo entrambi amici di Paolo Villaggio e un giorno l' ho incontrato a piazza Santiago, a Roma, e mi ha fatto i complimenti con il suo tipico modo di fare: "Lei è Gaburro, ehhh... ho visto il film: fuori tempo, fuori tempo!". Forse aveva ragione che era un film fuori tempo, anche se all' epoca non avevo capito perché me lo dicesse. A lui era piaciuto e a me questo bastava».
Era talmente fuori tempo che subito dopo Ferreri ha girato l' apocalittico Il seme dell' uomo. Quando lo ha visto, le è venuta un po' di rabbia?
«No, no, mi fa più rabbia quando continuano a dire che ho copiato Ferreri».
La sua idea è di rifare la stessa storia, però la causa sarebbe il Covid.
«Prima che capitasse questa tragedia del Covid, volevo rifare il film partendo ancora da una bomba atomica, un problema ancora di grande attualità. Durante il primo lockdown ho pensato: "Se un gruppo di persone rimane chiuso in uno stesso ambiente, cosa succederebbe...". Ho immaginato, come incipit, che una carovana del circo rimane impantanata in un fiume, proprio nel punto in cui si sono insediate quattro-cinque persone, scampate al virus. Ho iniziato a ragionarci sopra con lo sceneggiatore Dardano Sacchetti».
Dopo Ecce Homo cosa ha fatto?
«Non ho fatto più niente, solo un remake di un film di Matarazzo, I figli di nessuno, perché pensavano fossi un intellettuale. Ho provato a fare un film mio, Statale 45, ambientato nella Bassa Padana, e l' ho portato al produttore Edmondo Amati, che il weekend dopo mi ha chiamato. Io ero eccitato: "Bene, bene, ce l' ho fatta".
Sono andato da lui: aveva un ufficio enorme con la pelle di zebra alle sue spalle e la pelle di mucca a terra perché veniva da una famiglia di macellai. Il fratello Giovanni era proprietario di moltissime sale cinematografiche.
Mi ha detto, in romanaccio: "A Gabu', la sceneggiatura mi è piaciuta, l' ha letta anche mi moglie mentre annavamo a Santa Marinella, perché io me faccio legge' tutte le sceneggiature, poi me la so' finita io... bella, però nun è il film che voglio fa'". Sono piombato sulla seggiola stravolto. Questi produttori sembravano ignoranti, ma erano veramente geniali perché giudicavano il contenuto di un film con il metro dei dollari! Avevano un gran fiuto.
Ha poi aggiunto: "Vojo una commedia co' la stessa atmosfera e cor profumo de sesso. Ho sottomano un giovane attore, Michele Placido. Vojo fargli fa' il protagonista. Va' a casa e scrivi". Io sono andata a casa e ho pianto. Qui è subentrata la concretezza di mia moglie, Erika Blanc, che mi ha detto: "Mica ci possiamo permettere di scegliere in questo momento...". Mi sono messo a scrivere, ispirandomi a Teorema di Pasolini: un ragazzo va a trovare lo zio, si introduce nella sua famiglia e la distrugge. È così è nato Peccati in famiglia».
Un grande successo al botteghino.
«Ha incassato un miliardo e 400 milioni di lire ed era costato 250 milioni. E poi stato venduto in tutto il mondo. Mi mettevo in mezzo alla sala, sempre piena, e gioivo nel sentire le risate del pubblico. Mi sono imposto per avere il bravissimo Renzo Montagnani e ho lanciato Michele Placido, al primo ruolo da protagonista, dopo aver partecipato a Romanzo popolare di Monicelli.
Solo che ho dovuto dimenticare il cinema d' autore e sono entrato nel magico mondo della commedia, spesso erotica, dalla quale non sono più uscito. In Italia ti etichettano: se fai una commedia di successo, diventi a vita un regista di commedie. Ma ora voglio tornare a fare un film mio».
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