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Chiara Maffioletti per il "Corriere della Sera"
gianluca cofone con diletta leotta
«Da qualche tempo, quando la gente mi guarda per strada mi chiedo se lo faccia perché sono un nano o perché mi ha riconosciuto». Gianluca Cofone della sua ironia ha fatto un mestiere. Affetto dalla nascita da nanismo acondroplasico, oggi, che ha 28 anni, è un attore, uno youtuber e un «creatore di contenuti digitali» seguito da migliaia di persone sui social.
gianluca cofone con christian de sica
Lo scorso mese è stato nel cast di due film: Io sono Babbo Natale e Chi ha incastrato Babbo Natale. In entrambi aveva il ruolo di un elfo. «Che dire, per me sono state delle esperienze bellissime, non smetterò mai di ringraziare. Poi, certo, la speranza è che arrivino sempre più dei ruoli dove non ruoti tutto attorno agli stereotipi legati al mio aspetto».
Eppure, con quegli stereotipi ha giocato anche lei, no?
«Tutto è iniziato non pensando potesse diventare un lavoro: volevo pubblicare sul web dei video autoironici per tentare di togliere alcuni dei pregiudizi che ci sono sui nani. Qualcosa che non si fermasse solo all'estetica, ma puntasse sulla capacità di intrattenere, di far sorridere.
gianluca cofone con chiara ferragni
Nel tentativo di scardinare certi convincimenti in passato forse ho anche ceduto al trash, ma il messaggio è sempre stato uno e cioè che se ne può uscire, si può andare oltre, specie se qualcuno si prende la briga di darci una voce».
Chi lo ha fatto con lei?
«Siani mi ha dato per la prima volta un ruolo più completo. Non solo, quando stavamo per girare il film ho avuto il Covid: lui mi ha aspettato, mi chiedeva come stessi, si informava... mi ha dato una bella opportunità, che non mi aspettavo di poter avere».
Adesso le piacerebbe quindi sperimentare anche altri ruoli?
«Molto e penso sarebbe anche utile: è difficilissimo cancellare lo stereotipo che c'è su di noi. Ci è riuscito Peter Dinklage (protagonista del «Trono di Spade», ndr.), che ammiro davvero molto. Io ho solo la mia gavetta alle spalle, non ho scuole di recitazione e sono agli inizi, quindi cerco di vivere al meglio le opportunità che mi arrivano, non posso fare troppo lo schizzinoso. Ma spero di andare sempre un pochino oltre».
gianluca cofone con alessandro siani
Ha avvertito spesso il pregiudizio?
«Non posso dire di no. Specie nell'adolescenza mi è pesato. Ho sempre avuto molti amici e una bellissima famiglia alle spalle, senza di loro non sarebbe stato semplice. Arrivi a un certo punto dove ti rendi conto che, apparentemente, molte cose non le potrai fare.
Ero appassionato di calcio, per dire, ed ero anche bravino. Ma un giorno mi hanno detto che non sarei mai potuto diventare un calciatore. E così, il primo a non sostenermi ero diventato io, ragionando come tutte le persone che giudicano per l'apparenza».
Ne ricorda una su tutte?
«La mamma di una mia fidanzata che non riusciva proprio a digerire che la figlia volesse uscire con uno come me. Solo per il mio aspetto. Anche se cerchi di non darci peso sono cose che ti segnano. Come pesanti sono state anche le prime uscite in gruppo, con gli amici: ricordo i gruppetti di persone che mi fissavano, mi guardavano male... tutti momenti, però, che hanno formato il mio carattere: mi sono fatto le ossa».
Prima dei social che lavoro pensava di fare?
«Per uno come me quello ideale sarebbe l'impiegato, si direbbe. Ma no, non fa proprio per me. Mio padre vende auto e mi avrebbe voluto con lui, ma amo troppo il contatto con la gente, quindi ho fatto il cameriere, poi l'animatore... non credevo di poter fare anche l'artista invece ora portare avanti questo messaggio mi affascina. Mi piacerebbe anzi farlo in tv, per raggiungere il maggior numero di persone possibili».
Se Amadeus la chiamasse a Sanremo, per una sera sul palco?
«Eh sarebbe un sogno. Ho lavorato qualche anno fa per una radio web ed ero stato a Sanremo, intervistavo i cantanti. Certo, essere sul palco sarebbe bellissimo».
Ha recitato nell'ultimo film di Gigi Proietti.
gianluca cofone e cristina d avena
«Di lui ho un ricordo bellissimo. Ha avuto una parola gentile per ognuno di noi sul set, ci faceva domande, voleva conoscerci... poi vedere recitare lui e Marco Giallini era qualcosa di unico: sono bravissimi».
De Sica?
«È uno dei miei idoli e conoscerlo è stata un'emozione. Ancora adesso, sui social, ogni tanto scambiamo qualche battuta. Devo dire solo cose belle anche su Siani, ci ha fatto divertire ogni giorno sul set e su Diletta Leotta che non è solo molto bella ma anche una persona di cuore. Nelle incursioni che ho fatto in tv, poi, sono rimasto impressionato da Maria De Filippi per la sua grandissima umanità, la reputo patrimonio dell'Unesco, una vera icona».
Cosa le scrive il suo pubblico?
«Tanti che hanno la mia stessa malattia mi chiedono come faccia ad affrontarla così. Ma i miei vogliono essere proprio messaggi di forza e speranza. In tanti non si sanno accettare e mi spiace moltissimo. È bello però che attraverso i social - un luogo in cui l'apparenza e l'effimero regnano - sia riuscito a far capire a qualcuno che è possibile andare oltre l'immagine».
Come è stata la sua infanzia?
«Ho avuto la fortuna di vivere in una cittadina di provincia, Chieri, vicino Torino, dove quasi tutti sanno chi sono. Da bambino non mi sentivo diverso dagli altri: facevo tanti sport, mio fratello più grande mi coinvolgeva sempre, mi faceva giocare con i suoi amici... le cose sono cambiate un po' dopo, crescendo».
In che modo?
«Beh, dopo i primi approcci con la gente che ti guarda con occhi diversi: lì ho iniziato a capire che c'era qualcosa che non andava. E ancora adesso capitano situazioni che mi fanno male: se vado a fare la spesa con mia mamma, ad esempio, non posso aiutarla con i pacchi pesanti e mi dico "se non fossi così l'aiuterei". Per fortuna ho un carattere forte abbastanza per superare questi pensieri».
Ma chi questo carattere non ce l'ha?
«Non è facile. Anche per me ci sono colpi non semplici da digerire. Se ripenso alla mamma di quella mia fidanzata di un tempo il dolore è ancora piuttosto forte. Si dovrebbero compiere molti passi a livello di società se dei genitori sono ancora disposti a lottare contro una relazione non perché il "genero" tratti male la figlia ma per il suo aspetto. Preferendo magari un ragazzo belloccio ma con meno sentimenti.
Credo però che l'ignoranza è ben peggio della mia condizione. E aggiungo anche che una parte di me capisce che un genitore possa avere dei pensieri se la figlia decide di frequentare uno come me: pensi che la gente di colpo la giudichi. Però poi bisognerebbe fare un passo in più, andare oltre».
Come sono state le sue relazioni d'amore?
«Ne ho avute quattro, tutte nate da un rapporto di amicizia e non da un incontro fulmineo per strada: non ho le qualità necessarie perché accada, lo so. Capita però che mi conoscano e vedano che sono una brava persona, simpatico... e l'aspetto fisico passa in secondo piano, un po' come accade in tutte le relazioni, in fondo, dopo qualche tempo. E se non c'è sostanza...».
Inizialmente, sui social si era dato come nome «Nano cafone». Non le dà fastidio che la si identifichi con quella parola?
«Era il mio nome d'arte, in un certo senso. Un modo per farmi conoscere. Ora ho optato per il mio vero nome. Quanto alla parola "nano" io l'ho accettato: mi guardo allo specchio e so di esserlo. Certo, cambia tutto in base al tono con cui viene detto. Devo dire che se me lo hanno scritto in modo dispregiativo sui social, dal vivo non mi è mai successo, per fortuna».
La malattia è spesso un tabù tanto che quando diventa «popolare» si parla di spettacolarizzazione del dolore. Che ne pensa?
«Mi è stata fatta questa critica in passato, dicendomi che sfruttavo la mia disabilità. Ma non è sfruttamento del dolore, piuttosto è far capire che la realtà ha orizzonti più ampi. Certi temi sono ancora trattati con le pinze, ed è un peccato, a mio avviso.
Lo vedo anche quando parlo con certi autori cinematografici o televisivi... anni fa stavo per partecipare a un reality, avevano visto i miei video, il mio modo di fare intrattenimento... poi hanno cambiato idea: mi hanno fatto capire che non si sentivano pronti a mettere una figura come la mia all'interno del programma. Esistono ancora molti muri ma spero di abbatterne almeno qualcuno, con il mio esempio e anche scegliendo di non cedere più a strade più semplici».
Ad esempio?
«Non è facile trovare contesti in cui esprimermi per quello che sono. Da sempre sono il giullare del gruppo, faccio ridere tutti. Ma il più grande ostacolo è superare chi invece vorrebbe che io mi fermassi alla macchietta. Ancora oggi mi arrivano richieste di ogni genere.
Mi chiedono di partecipare a eventi privati in cui mi vorrebbero veder vestito in modi improbabili, per poi "portarmi in giro". Ovviamente rifiuto tutte queste proposte, comprese quelle osé che, tristemente, ci sono. Oggi ci faccio su due risate. Il mio scopo però è cercare di fare davvero l'artista, con progetti che me lo permettano».
Durante l'adolescenza per la prima volta ha pensato che non avrebbe potuto realizzare dei suoi sogni per via del suo aspetto. Oggi, quando pensa al futuro, è ancora così?
«Sarebbe ipocrita dire che non ho dei pensieri e dei dubbi sul mio domani. Da sempre uno dei miei desideri è quello di avere una bella famiglia e se ci penso oggi, la paura di non farcela c'è. Poi però scelgo di andare oltre: vorrei un figlio e se non potrò portarlo a lungo in braccio, vorrà dire che lo metterò su un passeggino.
Mi sono accorto che tutte le persone che per me contano - dai miei amici ai miei amori fino alla mia famiglia -, mi hanno sempre detto che per loro ero una persona normale. La mia altezza, a un certo punto, non era più un tema per loro. Con la famiglia che mi auguro di avere in futuro spero accada esattamente lo stesso».
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