INCHINO AL KING - ESCE IN ITALIA L’ULTIMO ROMANZO DI STEPHEN KING, “REVIVAL”: UN LIBRO CHE MESCOLA INCUBI, DROGA E ROCK’N’ROLL - “IL PARADISO? NON MI FREGA NULLA DELL’ARPA, VOGLIO ASCOLTARE JERRY LEE LEWIS”

STEPHEN KING - REVIVALSTEPHEN KING - REVIVAL

Carlo Verdelli per “la Repubblica”

 

Forse è l’ora di prendere di peso Stephen King, con tutto il suo metro e novanta di altezza e quel sorriso sottile come una lama, e trasportarlo tra i grandi della letteratura moderna. Non tanto per l’abnorme quantità di copie vendute, 400 o 500 milioni fa poca differenza; non tanto per la vastità geografica del suo impero, ormai arrivato a 44 Paesi.

 

E neppure per la bulimica, inarrestabile e apparentemente inestinguibile vena creativa che l’ha portato, in 40 anni, da Carrie in avanti, a licenziare qualcosa come 75 tra romanzi e raccolte di racconti (quasi due l’anno), più 17 sceneggiature, più un musical, senza sommare i 54 film che hanno tratto dal suo sterminato e spaventevole giardino registi come Kubrick, Cronenberg, Brian De Palma.

 

Altro che Christine : la vera macchina infernale è lui, che tra angeli e demoni ha scelto molto presto i secondi e ci ha costruito sopra un’epopea di angosce e strazi che va molto al di là dell’etichetta di “maestro dell’horror” nella quale è stato pigramente ingabbiato. Come ha sbrigativamente puntualizzato lui stesso in una potente intervista a Rolling Stone, «i veri scrittori abbattono le barriere. Raymond Chandler l’ha fatto col poliziesco, io con le storie che spaventano le persone».

 

Stephen King ha ricevuto trenta no per Carrie Stephen King ha ricevuto trenta no per Carrie

Poi si concede qualche lusso: stronca Hemingway («fa schifo»), va in deliquio per Bruce Springsteen («fantastico dal vivo, adoro Nebraska»), dà una personale ritoccata all’idea del paradiso («non me ne frega niente dell’arpa, io voglio ascoltare Jerry Lee Lewis»). Ma il colpo di grancassa è una riflessione sul Maligno: «Più passano gli anni, più mi convinco che il demonio non esiste. Siamo noi, il demonio».

 

Lui, sicuramente, almeno sulla carta. Se non fate parte del miliardo e più di umani che già si sono variamente imbattuti nella mostruosa nursery creata e di continuo alimentata da questo indiavolato americano del Maine, ormai prossimo ai 67 anni, ex alcolista, ex cocainomane accanito («intorno ai 30 anni, me la facevo sempre: Misery è un libro sulla cocaina, Annie Wilkes, la protagonista, è la cocaina»), capace di lavorare ancora ogni giorno dalle 8 alle 12 festivi compresi, ecco, se vi siete persi tutto questo potete agganciarvi all’ultimo vagone, Revival, che Sperling & Kupfer manda in libreria oggi.

 

I FILM DI STEPHEN KING I FILM DI STEPHEN KING

Basteranno queste 467 pagine, partorite in 9 mesi e mezzo, sette ore di lettura godendosi lampi, saette e squinternate rock band, per farsi un’idea di chi è Stephen King e del perché così tanta gente in così tante parti del mondo prova per lui una specie di dipendenza.

 

Innanzitutto, se si comincia, non si smette fino all’ultima parola, Madre, in maiuscolo. In mezzo c’è una storia americana che dura 60 anni, da Lyndon Johnson a Barack Obama, raccontata in prima persona come nel Miglio verde ma questa volta da un bambino, Jamie, che all’inizio gioca coi soldatini su una montagnetta di sabbia su nel nord, terra di bovari, e che alla fine, ormai vecchio, vaga da sopravvissuto tra i giardini di un ospedale psichiatrico delle Hawaii.

 

stephen king stephen king

A cambiargli la traiettoria della vita, che prevedeva chitarra, rock e droga, un reverendo metodista, Charles Jacobs, con gli occhi di un blu accecante e una passione che poi diventerà ossessione e quindi perdizione per i poteri insondati e terrificanti dell’elettricità. Si comincia con una statuetta di Gesù a pile che cammina sulle acque del laghetto di un plastico, scivolando su rotaie mimetizzate, e si chiude sfidando una tempesta di fulmini e le leggi eterne della morte, con un viaggio ben oltre i termini della nostra notte dove chi ci ha lasciato marcia nudo sotto stelle ululanti, allineato in colonne interminabili, spronato a non fermarsi da spietate formiche guardiane.

 

«Voglio sapere che cosa l’universo ha in serbo per noi, che cosa ci aspetta al di là della porta», è la provocazione allucinata che il pastore di anime Jacobs, ormai sfigurato dagli ictus e prosciugato dalla follia, lancia al cielo dalla cima di un monte, calamita di un finimondo. A suo modo verrà accontentato.

 

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Bambini sull’orlo di qualche baratro, America del profondo nord, i tre capitoli iniziali che si caricano come una molla di tensioni e spasmi che troveranno sfogo solo nel finale: King, insomma, al massimo del controllo della parola e dell’azione, capace di raccontare nei dettagli un atroce incidente stradale con il distacco di un anatomista e insieme di instillare inaspettate bordate d’ansia nella descrizione di una canonica bianca con le serrande nere.

 

Revival, titolo che insinua ma non spiega, può significare molte cose: resurrezione, riscoperta musicale di qualcosa del passato, vecchi spettacoli da imbonitori sotto i tendoni, o ancora una corrente religiosa che propone il ritorno alle origini come via di salvezza.

 

Scelga chi legge la soluzione all’enigma, sapendo però che a innescarlo c’è una memorabile “predica terribile” dove l’anima nera della storia, il prete, getta il panico nella devota comunità di Harlow trafiggendo al cuore la fede in dio: «Come se la vita fosse una barzelletta e il paradiso il posto in cui ce ne viene raccontato il finale. E noi esclameremo: ah, adesso ho capito! Ecco la grande ricompensa».

 

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Per l’ormai ex reverendo Jacobs, il principio di un’altra esistenza. Per tanti personaggi che lo incontreranno, la fine della propria. Dirà lo stesso King del suo Revival : «E’ un romanzo cattivo, oscuro, non voglio pensarci più». Il ghigno del gatto che punta il topo, cioè noi.

 

Magari è tutta colpa di Bambi, il primo film che ha visto. «Un horror, con quel cucciolo di daino intrappolato nella foresta: ero terrorizzato e insieme divertito». Oppure, a spingerlo oltre, sempre più oltre, è stato il signor Donald Edwin King, impiegato alla Electrolux, che un bel giorno esce a farsi una passeggiata e non torna più indietro, né dalla moglie Nellie né dal loro figlio Stephen, che ha solo 2 anni ma porterà a vita la cicatrice di quella fuga inspiegata.

 

Ma anche in questa storia c’è un lieto fine, accompagnato come si conviene dall’ombra di una minaccia. La parte lieta e lieve riguarda il privato e si chiama Tabitha, la donna che King ha sposato a 24 anni, con la quale ha fatto tre figli, e a cui riserva, 43 anni dopo, queste righe in chiusa di Revival: «Tabitha, ti amo alla follia». L’ombra si allunga invece sull’altra vita, quella professionale, di incubatore di incubi. Quando vedi un bambino di dieci anni, a volto scoperto, lo sguardo fiero, che punta una pistola (e sparerà) in faccia a un nemico dell’Is, senti che persino il diavolo dentro Stephen King sta invecchiando.