marina abramovic

MARINA DA SBARCO: "IO LA PRIMA DONNA A ENTRARE A PALAZZO STROZZI, A FIRENZE, MI CHIEDO: PERCHÉ CI SONO PIÙ ARTISTI UOMINI?" – LA VITA, LA PERFORMANCE, GLI ABUSI, LA ABRAMOVIC SI RACCONTA: "INCOMPRENSIONI, SCANDALI E CRITICHE CI SARANNO SEMPRE. MA NON IMPORTA. BISOGNA SOLO SEGUIRE IL PROPRIO INTUITO PER FARE ARTE" - E POI SPIEGA PERCHE’ IL TITOLO 'THE CLEANER' PER LA PRIMA GRANDE RETROSPETTIVA ITALIANA DEDICATA A LEI- VIDEO

 

Sara Boggio per Arte

marina abramovic arte

Pioniera della performance, oggi Marina Abramovic´ (Belgrado, Serbia, 1946) è un’icona nel mondo dell’arte e non solo. La sua ricerca – una pratica esistenziale in cui il processo creativo, attraverso la resistenza del corpo, è strumento di conoscenza e di trasformazione – continua a esplorare territori nuovi e ha la (rara) capacità di parlare a un pubblico sempre più ampio. Per raccontare carriera, e vita, dell’artista, Palazzo Strozzi a Firenze ospita The cleaner, retrospettiva che raccoglie un centinaio di opere e un fitto calendario di performance (il programma è su www.palazzostrozzi. org).

 

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Dopo Ai Weiwei, Bill Viola e la collaborazione tra Carsten HÖller e il neurobiologo Stefano Mancuso, lo storico palazzo prosegue così il suo dialogo con la contemporaneità. «L’obiettivo è creare dei ponti tra passato e presente», spiega il direttore Arturo Galansino. «Per questo abbiamo portato in Italia il format delle grandi mostre internazionali e vogliamo aprire il contemporaneo al grande pubblico. È una bella soddisfazione condurre questa operazione a Firenze, città tradizionalmente legata all’antico, e siamo molto orgogliosi dei progetti che gli artisti realizzano per noi». La risposta peraltro non manca. Marina Abramovic ´ speaks (conversazione tra l’artista e Galansino, il 22 settembre presso il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino) è sold out da mesi, i biglietti esauriti in meno di due giorni.

 

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Marina Abramovic´, che effetto fa vedersi in una retrospettiva che racconta tutta la sua vita?

«Quando si arriva a un’età come la mia è il momento giusto per guardare il passato: fare il punto su ciò che si è raccolto e capire la direzione per il futuro. Il titolo, The cleaner, si riferisce proprio all’intenzione di ripulire la memoria, le emozioni vissute, tutto ciò che è stato».

 

Firenze e Palazzo Strozzi sono luoghi carichi di storia, mentre la sua opera è tutta basata sul “qui e ora”. In che modo concilia passato e presente?

«Firenze ha il suo passato e io semplicemente porterò il mio, che del resto è molto legato all’Italia, dove ho presentato la prima mostra al di fuori del mio Paese, ho applicato per la prima volta il Metodo Abramovic´, ho vinto il Leone d’Oro…».

 

La retrospettiva include un ampio numero di performance. Come le ha scelte?

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«A occuparsi del programma è stata Lynsey Peisinger, che collabora con me, e con il Marina Abramovic´ Institute, da oltre sette anni. Ho alle spalle oltre 50 anni di lavoro, non posso essere presente ovunque, ed è giusto che la mia esperienza sia trasferita ai giovani artisti. È sempre una grande emozione vedere una mia performance interpretata da altri, soprattutto se sono donne: sembrano delle amazzoni, belle, forti, senza nessuna paura del pubblico».

 

Quindi l’esito è una sorpresa anche per lei.

«Ho sempre desiderato che il lavoro, una volta concluso, potesse essere vissuto anche da altri. Non importa se cambia rispetto all’originale: ogni artista porta la propria personalità ed è molto meglio così che un’immagine fissa in un libro. L’unica condizione richiesta è un alto livello di qualità: non tutti possono farlo, così come non tutti sanno suonare Beethoven al piano. Bisogna avere la necessaria preparazione ».

 

In che modo?

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«È stato scritto molto sul mio metodo ma, in sintesi, si tratta del workshop Cleaning the house. L’ultimo è stato fatto a fine agosto su un’isola greca, il precedente in Norvegia. È rivolto a piccoli gruppi. Non si mangia per 5 giorni, non si parla, si fa solo esercizio in circostanze di caldo torrido o freddo gelido, mai confortevoli. Lo scopo è sottoporre il corpo e la mente a condizioni estreme per affinare concentrazione e forza di volontà, indispensabili per la performance».

 

I workshop sono solo per artisti?

«No. Sono rivolti a tutti. Dopo questo tipo di esperienza, chiunque tu sia e qualunque cosa tu faccia, vedi la vita in modo diverso». Il suo lavoro è noto anche al di là del mondo dell’arte, tuttavia lei stessa ammette che spesso viene ancora frainteso.

 

 In che modo si può far arrivare il messaggio?

«Lo farà il tempo. C’è questa meravigliosa frase di John Cage: “Quando faccio il mio lavoro non sono compreso, ma quando vengo compreso devo spostarmi subito nel territorio dell’incomprensione”. Il lavoro deve contenere premonizione, portarti in luoghi in cui non sei mai stato… Incomprensioni, scandali e critiche ci saranno sempre. Ma non importa. Bisogna solo seguire il proprio intuito per fare arte».

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L’arte non ha genere, ma di fatto lei sarà la prima artista donna a entrare a Palazzo Strozzi…

«Nel 2020 sarò anche la prima donna a entrare alla Royal Academy di Londra. Sono molto felice di aprire la strada ad altre donne ma mi chiedo anche: perché ci sono più artisti uomini? La società italiana, da questo punto di vista, è emblematica. Negli anni ’70 non c’era una singola artista pubblicamente riconosciuta, a eccezione di Marisa Merz. Il problema delle donne è che vogliono tutto: l’amore, i bambini, la famiglia, l’arte. Ma non è possibile. Louise Bourgeois si è conquistata la sua posizione quando il marito è morto e i figli sono cresciuti. Perché dobbiamo aspettare così tanto? Pensiamo sempre alle colpe degli uomini, ma in realtà dobbiamo iniziare a riconoscere le nostre».

 

Che cosa pensa del movimento #MeToo?

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«Quando mi hanno chiesto se avessi mai subìto abusi ho risposto che se qualcuno ci avesse provato gli avrei tagliato le palle... O comunque non avrei aspettato quarant’ anni per dirlo. Le donne hanno un potere incredibile, eppure gli uomini ci fanno apparire ridicole, fragili e noi stiamo al gioco… ma perché? Non me lo spiego, non ne ho idea».

 

Oggi una parte importante della sua attività è dedicata a progetti scientifici. Che cosa le interessa della scienza?

«A parte il fatto che sono sempre stata affascinata da Nikola Tesla (fisico e inventore serbo-americano, ndr ), ciò che a me interessa è il legame tra scienza e spiritualità. Artisti e leader spirituali lavorano entrambi sull’intuizione, mentre gli scienziati creano l’apparato di nozioni necessario a dimostrare ciò che si coglie a livello intuitivo, attraverso la conoscenza spirituale o liquida: una forma di conoscenza universale, cui si accede senza la mediazione del pensiero logico».

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La paura ha una grande parte nelle sue opere, che potrebbero essere lette come tentativo di affrontarla. Perché?

«Perché abbiamo paura di tutto: della morte, del dolore, dell’amore. Avere paura significa non essere liberi. Eppure che cosa c’è di più importante della libertà? Siamo qui solo di passaggio. Dobbiamo affrontare la paura, superarla e andare oltre».

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Dragon head, la performance con i serpenti, è forse una delle più emblematiche da questo punto di vista. Come si prepara a sfide del genere?

«Non ti prepari, lo fai e basta! Se ti prepari, se ci pensi, non potresti mai farlo. Io non mi preparo mai: uso l’energia del pubblico che, sommata alla mia, mi consente di affrontare la sfida. È questo il trucco».

 

Un consiglio da Marina Abramovic´?

«Non abbiate paura di amare».

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