DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
1. QUELL'OSCURO WEB DEL DESIDERIO
Riccardo Staglianò per "Venerdì - la Repubblica"
Il sesso analogico, bei tempi. Quello fatto dal vivo (generalmente) da due persone nella stessa stanza rischia di diventare l'attività residuale di inguaribili nostalgici, nuovo discrimine antropologico tra «nativi digitali» e meno giovani. Almeno a giudicare da alcune evidenze della cultura popolare. L'ultima delle quali è il film Don Jon. In breve: il protagonista Joseph Gordon-Levitt si fidanza con Scarlett Johansson, con cui sbriga amplessi come fossero formalità dal momento che l'unica cosa a eccitarlo davvero è il porno su internet. La commedia, al di là dei meriti artistici, sembra aver illuminato una tragedia internazionale.
Riattizzando un dibattito su un «pericolo di dipendenza» che un'audizione parlamentare di quasi dieci anni fa aveva definito «peggiore dell'eroina» (Sam Brownback, il Giovanardi locale, aveva parlato delle «risultanze più disturbanti mai viste in Senato»). Questo prima del Big Bang dell'hard casareccio e gratuito di You-Porn e dei suoi fratelli. Prima di quella riffa di pseudo-incontri ravvicinati del terzo tipo attraverso lo schermo che è Chatroulette. E prima anche dell'epidemia di dickpicks, costate la carriera a un politico americano in ascesa, sulla cui intuibile traduzione glissiamo.
Ecco, se prima di tutto ciò eravamo già sulle soglie di Sodoma, dove siamo adesso? E più specificamente: questo profluvio di sesso virtuale che effetti avrà , o sta già avendo, su quello reale? Di certo il fenomeno è diffuso. Praticamente ubiquo. Stando a un sondaggio dell'università di East London su un campione di 16-20enni, il 97 per cento dei maschi e l'80 per cento delle femmine aveva guardato porno online. Chiedete in giro, guardatevi allo specchio, non mentite: siamo alla messa a verbale dell'ovvio. Sfuggevole invece è il limite tra aggiornamento 2.0 di ancestrali pulsioni e patologia.
In The Brain That Changes Itself lo psichiatra britannico Norman Doidge raccontava di suoi pazienti che, a forza di vedere porno, hanno difficoltà a eccitarsi con partner reali. Mentre in The Big Disconnect la psicologa Catherine Steiner-Adair descrive adolescenti americani sempre più aggressivi nei confronti delle ragazze. Per una mala educación sentimentale che deriverebbe dal porno online, spesso violento, sempre misogino.
Da questa saggistica compatibile con il senso comune si stacca Why Internet Porn Matters (Perché il porno su internet importa) un testo molto più teorico pubblicato dall'autorevole Stanford University Press. La sua autrice Margret Grebowicz insegna filosofia al Goucher College di Baltimora, venera Foucault e Baudrillard e, tra tutte le cose, ha in odio soprattutto le semplificazioni. Ci incontriamo nel suo appartamento di Brooklyn perché sarebbe «disagevole parlare di zoofilia e squirting in un bar».
La prima cosa che chiarisce è la natura schizofrenica del fenomeno, da una parte «totalmente privato dal momento che chiunque, comprese donne e bambini, può avervi accesso da casa propria senza più doversi preoccupare dello stigma di interagire con un edicolante o un bigliettaio» e dall'altra «impossibile da rendere davvero anonimo, nel senso che l'Fbi potrà sempre risalire a chi ha visto cosa, a differenza di quel che accadeva una volta».
La novità maggiore, per lei, deriva però dall'effetto social network. «Il porno su internet funziona un po' come Facebook» dice offrendo una bibita gassata al melograno «e noi ci rappresentiamo in maniera ossessiva, sia caricando filmati amatoriali o scegliendo dove navigare tra un'offerta infinita. Dobbiamo auto-crearci per esistere come parte di questa comunità . Ma le regole da segui re sono limitate alle categorie di visibilità , comunicabilità e trasparenza. Non c'è spazio per i silenzi, l'oscurità e la seduzione. Così il sesso viene messo in mostra sotto l'accecante sole del tardo capitalismo».
Un sentimento reificato. Compatibile con il porno, quindi illustrabile con foto o video che si possono scambiare. à possibile che questo cambiamento quantitativo, questa disponibilità illimitata e a costo zero - con il suo corollario dell'utilità marginale decrescente, per cui l'ennesimo boccone non è mai buono come il primo - non comportino cambiamenti nella vita vera? Grebowicz non lo esclude, ma per il momento non ci sono abbastanza studi per dimostrarlo. L'effetto «rivoluzionario » che concede è un altro: «Così come Google Maps cambia il modo in cui gli umani abitano lo spazio, il porno su internet cambia quello in cui abitano il sesso.
La questione filosofica non è tanto "come il porno influenza il sesso reale" ma piuttosto il sesso, in generale. Nell'accezione foucaltiana di una serie di idee e pratiche, prodotte discorsivamente, relative alla gestione sociale ». Ammette a fatica che certi modelli visti sul web possano provocare un effetto emulativo in camera da letto: «Potrebbe essere il caso dello squirting, l'eiaculazione femminile. à diventato un protagonista del porno online perché a differenza di un normale orgasmo, non si può fingere. E in una cultura che predilige il mostrabile all'indimostrabile magari ora più donne vorranno imparare come arrivarci». Anche la distinzione tra sesso analogico e digitale, reale e virtuale, con l'implicita superiorità del primo sul secondo, non la convince fino in fondo.
«In Chatroulette due persone, in tempo reale, hanno approcci di natura sessuale mediati da uno schermo. Come vogliamo definirlo? E ancora: se aveste una figlia adolescente, riterreste più pericoloso che apra la camicetta davanti a uno sconosciuto di un altro Paese, o che faccia sesso con un coetaneo dello stesso quartiere? Voglio solo dire che "normale" non è un attributo che si è mai sposato bene con "sesso"».
Nemmeno «post-strutturalista» con «realtà », se è per quello, e ciò spiega l'impossibilità per questa donna terribilmente intelligente di restare con i piedi per terra. Ma forse ha ragione lei, ed è un riflesso viziosamente giornalistico quello di pretendere risposte che entrino nella griglia di un titolo. «Viviamo in un'epoca in cui la sessualità (natura/cultura; matrimoni gay; diritti dei trans) è ai primi posti di una conversazione pubblica su cosa significhi essere un essere umano. In gioco c'è la relazione tra lo Stato, una certa fantasia di democrazia (il porno amatoriale è stato raccontato come una democratizzazione sullo stile di Wikipedia, io credo che lo sia solo in apparenza) e i cittadini come esseri sessuali. Dunque la domanda vera dovrebbe essere: come il porno su internet influenza tutto ciò?».
Domanda aperta e dalla risposta ovviamente più problematica di quella se la moltiplicazione del consumo online raffredderà quello offline. Internet ha la reputazione, talvolta esorbitante, di essere una specie di Terminator totale. Dopo aver ucciso gli agenti di viaggio, i cassieri delle banche e i fotografi professionali, ora sarebbe la volta del sesso. Può essere utile ricordare il commento della pornostar Nina Hartley, che non parla per sentito dire: «Guardare il porno per imparare a fare sesso è come guardare i film di Vin Diesel per imparare a guidare. Io sono pagata per fare certe performance, ma non è il tipo di sesso che faccio a casa».
Se uno se lo ricorda è salvo. E a quel punto fa sorridere la demonizzazione dell'upgrade tecnologico dell'autoerotismo. Vale sempre la vecchia massima di Woody Allen: «Non denigrate la masturbazione: è fare sesso con qualcuno che amate».
2. SCARLETT JOHANSSON: MA SE NON à UN'OSSESSIONE, CHE MALE C'�»
Federica Lamberti Zanardi per "il Venerdì - la Repubblica"
«Beh, è abbastanza scioccante scoprire che il tuo uomo dopo una notte di sesso con te, si alza dal letto e va a cercare video porno su internet. Ti chiedi: ma cosa mi manca? ». Sicuramente nulla, soprattutto se sei Scarlett Johansson. Eppure in Don Jon , debutto alla regia dell'attore americano Joseph Gordon-Levitt, Scarlett nei panni di Barbara deve fare i conti con una caduta della sua autostima quando scopre che il ragazzo di cui si è innamorata è un pornodipendente, uno che considera il sesso vero una minestra sciapa rispetto ai video erotici che in modo compulsivo cerca sul computer.
Il film presentato al Sundance e al Toronto Festival (ora nelle sale italiane) affronta con i toni della commedia un tema complesso e sofferto già toccato da Shame di Steve McQueen. La dipendenza compulsiva dal sesso web del ragazzone americano Jon, interpretato dallo stesso Gordon-Levitt, suscita nella sua fidanzata una reazione furiosa che non si cura dell'introspezione. Un atteggiamento che è abbastanza vicino alla severità che si legge negli occhi di Scarlett Johansson.
Se pensate di trovarvi davanti una specie di bambola sexy, scordatevelo. A 29 anni, 37 film alle spalle, molto impegno civile e politico, la Johansson, a tu per tu, assomiglia di più a una sana e rigorosa studentessa di Harvard che a un sex symbol. Solo la voce calda e un po' roca tradisce qualcosa di oscuro, di sensuale. Una voce che ha appena vinto al Festival di Roma il Marco Aurelio come miglior attrice per Her , il film di Spike Jonze dove Joaquin Phoenix si innamora del sistema operativo del computer.
Ancora una volta, un amore virtuale e appassionato. L'attrice non appare nel film, ma la sua interpretazione ha conquistato i giurati. E non solo. «Devo davvero essere molto sexy se basta la voce» sussurra. E non si scompone. Nemmeno quando le chiedi come si è sentita nelle scene di nudo di Under My Skin , thriller fantascientifico in concorso all'ultima Mostra del cinema di Venezia, è in imbarazzo. «Non ho nessun problema a mostrarmi nuda se la sceneggiatura lo richiede. Mi sento una persona libera e mi piace rischiare: anche nel lavoro» dice con un sorriso.
«Quando ho deciso di girare Don Jon i miei amici mi hanno chiesto se ero matta. Ma per me era una sfida. La protagonista, Barbara, è una ragazza dalla mentalità piuttosto schematica: cerca un uomo che corrisponda in tutto al suo ideale maschile. Un ideale che si è creata leggendo romanzetti rosa e guardando commedie romantiche. Non si rende conto che la sua è una visione falsa della realtà , nessun uomo è una sorta di principe azzurro senza difetti. Si innamora di Jon e cerca di cambiarlo, senza capire quali sono i suoi problemi, le sue insicurezze. Lo giudica e basta. à un errore che spesso noi donne facciamo. Siamo troppo rigide».
Le chiedo se pensa di essere diventata meno intransigente, con il tempo. « Sì, meno testarda. So sempre cosa voglio e come ottenerlo. Ma rispetto al passato sono diventata più riflessiva e ho imparato a giudicare meno. Pur essendo giovane ho la fortuna di lavorare da vent'anni e in questo tempo ho avuto la possibilità di approfondire la conoscenza dei miei limiti, delle mie possibilità . à stato un percorso costellato di vittorie e fallimenti, ma ho capito che bisogna sempre correre dei rischi. Non sai mai come va a finire se non tenti, se non rischi. Ho imparato a non avere più paura delle incognite e a sentirmi a mio agio nella mia pelle. Questo mi ha reso più sicura e più tollerante».
Ma che cosa farebbe se scoprisse che il suo fidanzato, quello vero, Romain Dauriac, ex giornalista francese ora a capo di un'agenzia creativa, guarda pornografia web? «Devo dire la verità ? à una questione di misura. Se fosse dipendente come il protagonista di Don Jon sarei sconvolta. Ma guardare i porno ogni tanto è una cosa normale che fanno tutti: uomini e donne. Per la coppia può anche essere un modo per divertirsi insieme ». Diretta e sincera. Nel 2011, quando finirono in rete due fotografie senza veli che aveva inviato all'attore Ryan Reynolds mentre erano sposati (si sono separati dopo due anni di matrimonio nel 2010), non si scompose più di tanto.
«Non trovo nulla di sbagliato nel mandare degli autoscatti al tuo uomo. Non stavo mica girando un porno. Per quanto nemmeno quest'ultima cosa sarebbe sbagliata » dichiarò senza troppo imbarazzo. Sempre sicura, senza troppi dubbi. Dà l'impressione di essere una persona che non si preoccupa delle opinioni degli altri, non si fa condizionare dai media e se ne infischia del gossip.
à così? «Non del tutto. à molto difficile vivere sotto lo sguardo degli altri, ma con il tempo ho imparato a far rispettare la mia privacy. Sono cresciuta in una famiglia di intellettuali e artisti che mi hanno insegnato a pensare con la mia testa. E soprattutto non cerco di piacere a tutti i costi costruendomi un'immagine esteriore patinata e finta. Chi mi vuole mi prende così come sono».
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