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Leonardo Varasano per http://www.giornaledellumbria.it/blog/limportante-funzione-del-giornalismo-ieri-e-oggi
''Ne ammazza piu? la penna'' - VERCESI
Leggere - ha sostenuto Pietrangelo Buttafuoco in un brillante intervento al Circolo dei lettori di Perugia lo scorso 27 novembre - è diventato «l’atto rivoluzionario per eccellenza». Accostarsi a libri e giornali, ha incalzato lo scrittore catanese, è ormai una prerogativa di pochi eletti, è la qualità - purtroppo sempre più rara - di donne e uomini ancora capaci a «mantenere la concentrazione per più di tre minuti».
Perorando la causa di una campagna «lettorale», Buttafuoco si è poi soffermato sui limiti, sui pregi e sulla indispensabile funzione civile del giornalismo. La stampa, ha sostenuto, non disdegna le menzogne, non di rado «apparecchia la realtà» e tenta di governare l’opinione pubblica a seconda delle convenienze, ma è stata e resta ancora oggi un’importante «fucina di politica», di una politica intesa nell’accezione più ampia del termine, con le sue meschinità e la sua nobiltà.
Quanto sostenuto da Buttafuoco trova conferma nel ruolo, fondamentale, svolto dal giornalismo nella nostra storia nazionale. Come emerge bene da un significativo volume di Pier Luigi Vercesi - “Ne ammazza più la penna. Storie d’Italia vissute nelle redazioni dei giornali” -, la stampa ha infatti inciso - eccome se ha inciso! - nelle vicende e nelle sorti della Penisola. Storia del giornalismo e storia italiana sono, a ben vedere, innervate l’una all’altra.
Ferruccio De Bortoli con Mariotti e Vercesi e Fernanda Roggero - Copyright Pizzi
Nel libro di Vercesi, appena uscito per i tipi di Sellerio, vengono passate in rassegna notizie, fatti e aneddoti relativi alla stampa in Italia dalla caduta di Napoleone agli anni Sessanta del Novecento. In un’alternanza di stagioni grandiose e terribili, si avvicendano figure di giornalisti molto differenti fra loro: dall’eroe all’avventuriero; dal patriota al traditore - con casi intermedi, come quello di Ugo Foscolo, che prima dell’esilio si lascia reclutare dagli austriaci per alimentare la propaganda dell’impero -; dall’idealista al corrotto.
Dopo la spedizione dei Mille - sostenuta e accompagnata da molti cronisti, a partire da Giulio Cesare Abba e Alexandre Dumas -, la quotidianità italiana viene narrata attraverso pagine coraggiose o servili, entusiasmanti o deprimenti. Narrando scandali (come quello della Banca Romana, un terremoto politico paragonabile a Tangentopoli, «un cataclisma che finì nel nulla»), storie torbide (come la morte di Eva Cattermole, motivo di «duelli all’ultimo pettegolezzo sulle colonne dei giornali») e vicende inquietanti (come una tenebrosa seduta spiritica di Gabriele D’Annunzio), la stampa italiana cresce in maniera significativa: attorno alla fine dell’Ottocento, solo a Napoli si contavano una cinquantina di quotidiani.
Incline, a seconda dei casi e del momento storico, a destare o a narcotizzare l’opinione pubblica, il giornalismo italiano prese “buchi” clamorosi - la notizia della battaglia di Magenta del 4 giugno 1859 giunse a Torino, via Parigi, la sera del giorno successivo -; si prostrò al potere - non pochi giornalisti erano a libro paga di Giolitti, mentre il quotidiano La Stampa era il megafono della politica dello statista di Dronero -; partorì la caricatura di due diversi tipi umani, destinati ad incarnare il “carattere” nazionale: da un lato Pinocchio, dall’altro lato Gian Burrasca.
Il primo è innanzitutto un ingenuo, un sempliciotto vittima dell’autorità - giudici, carabinieri, fate turchine e grilli parlanti -, un burattino che mente ma se ne pente. Il secondo, ideato da Luigi Bertelli - redattore del Giornalino della domenica -, è un bugiardo patologico e un aspirante rivoluzionario, un individuo gaglioffo e virile. È un nichilista e un estremista. È un nemico dell’autorità e crede di avere sempre ragione, come Lenin o come il «caporedattore d’Italia» Benito Mussolini, dittatore con «fedina giornalistica».
Il giornalismo italiano narrato da Vercesi ha inciso sui costumi e sulla politica, ha alimentato la contesa tra interventisti e neutralisti, ha infiammato le piazze, ha compiuto giravolte e trasformismi, ha individuato e contribuito a plasmare differenti modelli umani. E quello di oggi? È un giornalismo molto diverso, costretto a dividersi tra carta e digitale, obbligato a convivere con una molteplicità di media, chiamato a fare i conti con la crisi e con un pubblico che ha difficoltà a «mantenere la concentrazione per più di tre minuti».
Ma la missione resta la stessa, allora come oggi: fornire un’informazione corretta e di qualità; allenare lo spirito critico - riserva aurea di ogni sana democrazia -; educare la Nazione, come scriveva l’economista Luigi Einaudi, dando colore e sapore ad una professione nobile.
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