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L'ALTRO SERGIO DOPO LEONE - LA GRANDE CARRIERA DI CORBUCCI DIVENTA UNA LEZIONE DI CINEMA GRAZIE ALLA NARRAZIONE DEL SUO “DISCEPOLO” QUENTIN TARANTINO NEL DOCUMENTARIO-CONVERSAZIONE “DJANGO & DJANGO - SERGIO CORBUCCI UNCHAINED”, IN PROGRAMMA ALLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA - SECONDO TARANTINO, CORBUCCI ERA “IL SECONDO MIGLIOR REGISTA DI SPAGHETTI WESTERN DOPO LEONE”, TUTTI I SUOI FILM “SONO UN TRATTATO SUL FASCISMO CHE LUI HA VISSUTO DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE”...

Alberto Piccinini per “Il  Venerdì

il film su sergio corbucci

 

Gli spaghetti western di Sergio Corbucci, una dozzina e poco meno che mitici, dove il Cattivo guida spesso la storia e a volte la vince, sono stati un punto di riferimento costante per Quentin Tarantino.

 

L'universo narrativo di Django (1966) intrattiene un rapporto di sibillina cinefilia con Django Unchained (2012). Nello stesso Django sta la scena del taglio dell'orecchio, ripetuta ne Le Iene. La neve, la diligenza, i bounty killer di The Hateful Eight erano gli stessi attorno ai quali Corbucci aveva costruito Il grande silenzio con Trintignant e Klaus Kinski.

 

E in C'era una volta a... Hollywood il coprotagonista Rick Dalton/Leo Di Caprio, attore hollywoodiano in drastico calo di popolarità, accettava la proposta di tentare l'esperienza "spaghetti" di Nebraska Jim.

 

sergio corbucci 2

Film mai esistito, titolo parodiato da Navajo Joe (1966), regia di Sergio Corbucci. All'inizio del documentario-conversazione su Sergio Corbucci Django & Django - Sergio Corbucci Unchained, in programma alla Mostra del Cinema di Venezia, il regista americano immagina come andò quel primo incontro fiction tra Rick Dalton e il regista romano.

 

La cena in trattoria. Una sequenza di gaffe ingenerate dal solo nome: Sergio. Dalton scambia Corbucci per Leone, gli fa i complimenti per Clint Eastwood. Confessa che gli spaghetti western non li capisce proprio, ma giura lealtà e perizia di cowboy nel lavoro. Preso, per la sincerità e l’arroganza.

 

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Scopriremo poi grazie a Ruggero Deodato, storico assistente di Corbucci, che il rapporto col protagonista di Navajo Joe - un giovanissimo Burt Reynolds - non fu tanto diverso. Il risultato della sua performance direttamente proporzionale ai vaffanculo usati per tirarlo fuori ogni mattina dalla roulotte.

 

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«As-toni-shing», si esalta Quentin Tarantino con il suo inimitabile e fanciullesco entusiasmo. «Una performance fisica tra le più incredibili» nel film «più violento mai visto sugli schermi americani», prima del Mucchio Selvaggio.

 

Viva i cattivi

58 anni, camicia di jeans sopra una maglietta scura, il regista di C'era una volta a... Hollywood è nella sala di proiezione di casa sua a Los Angeles. Collegati via zoom con lui, fuori campo, gli autori Steve Della Casa e Luca Rea.

 

quentin tarantino

Steve, critico di lungo corso, conduttore di Hollywood Party per Radio3, fa parte di quella pattuglia di appassionati (Marco Giusti, la banda di Nocturno) che coltivano il cinema di genere italiano dalla fine degli anni 70.

 

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Più tarantiniano, per età e consuetudine col regista americano, Luca Rea, autore tv, è uno dei più bravi e coriacei ricercatori di immagini perdute che abbiamo in Italia. Nella sua conversazione il regista descrive i meccanismi narrativi di Corbucci, dominati dalla vendetta, dal cinismo, dal massacro sistematico dell'eroe, da un anti-americanismo nello spirito dei tempi. Sur-rea-listic, la qualità di quelle storie.

 

Pa-naà-che, ripete più volte, francesismo che indica l'aspetto ricercato di un personaggio. Tutto un gridare per stupire che è il segno di un'estetica e di un doppio scandalo: i film dello stesso Tarantino degli anni 90 e lo spaghetti western degli anni 60-70, uniti dalla medesima vorace cinefilia: fu la scoperta del cinema giapponese a fulminare un gruppo di trentenni critici/sceneggiatori/assistenti (Leone, Corbucci, Sollima, Tessari, Vivarelli, Di Leo...) e a gettarli in un'avventura mondiale.

 

sergio corbucci

Il regista americano tiene molto al cotè "nouvelle vague" e generazionale di questa storia italiana (meglio ancora, romana). Corbucci è «l'altro Sergio» rispetto a Leone. Anzi, «il secondo miglior regista di spaghetti western dopo Leone». Niente di male, «il posto non glielo toglierà nessuno».

 

Perfettamente a suo agio tra elenchi e classifiche («i 20 migliori spaghetti western»), Tarantino mostra in un attimo il rovescio di questo gioco: la scelta di campo, lo strappo politico. «Tutti i western di Corbucci» - dice - «sono un trattato sul fascismo che lui ha vissuto durante la seconda guerra mondiale».

 

Era nato nel 1926. Fece in tempo ad accogliere Hitler alla stazione Ostiense vestito da balilla in un coro di bambini. Forse strinse la mano al dittatore - come ricorda ridendo il regista - o forse in quel preciso istante ebbe un disastroso attacco di diarrea, secondo l'aneddoto più completo.

 

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«Tutto ciò che vuol dire sul fascismo Corbucci lo dice attraverso i suoi cattivi, metafora di nazisti, camicie nere, bande di assassini alla Manson», prosegue. Il "sottotesto". Te lo insegnano alla prima lezione di storia del cinema. Django&Django è il frutto della volontà di Nicoletta Ercole, già costumista per Ferreri e Vanzina oggi produttrice, strettamente legata alla famiglia Corbucci, di ricordare Sergio (morto di infarto nel '90 a 63 anni) e sua moglie Nori, portata via l'anno scorso dal Covid. Tarantino avrebbe voluto dedicare un volume intero a uno dei suoi registi preferiti di sempre. Quel libro mai scritto si accontenta di raccontarcelo.

 

Cinema e politica

nori e sergio corbucci

I ragazzi di allora, specie gli extraparlamentari, capivano perfettamente i film di Corbucci: il sottotesto, le metafore. I rivoluzionari schizzati di Tomas Milian. Quel Messico dell'anima che secondo il critico Serge Daney (primo a dedicare un vero saggio agli spaghetti western sui Cahiers nel 1969) era il simbolo di una "cinefilia operaia”».

 

È saltata fuori da casa del regista una pellicola 16 mm bianco e nero col marchio della tv tedesca Wdr: in un'intervista Corbucci parla de Il grande silenzio. Spiega che il film «si riferisce anche al Vietnam come al Terzo mondo. È un film sul fascismo, un film che combatte il fascismo». Aggiunse: «Credo che tutti debbano combattere il fascismo». Una dichiarazione che è del tutto inedita per esplicitezza anche da parte di un uomo di sinistra come lui.

 

sergio corbucci paola pitagora bersaglio mobile

E così il sottotesto diventa testo, come nota ancora Tarantino nella sua esaltata lezione a proposito di un altro film attraversato dal vento del '68: Gli Specialisti (con Johnny Hallyday). Qui il Cattivo è l'intera popolazione della solita piccola città di frontiera, rispettabile e avida, costretta da una banda di ambigui e drogati giovinastri a spogliarsi completamente in un clamoroso finale di fango, culi per aria, mazzette di denaro bruciate e odore di rivoluzione.