DAVVERO “I AM GIORGIA” SI È SOBBARCATA 20 ORE DI VIAGGIO PER UNA CENA A MAR-A-LAGO, QUALCHE SMORFIA…
1. PAROLA D'ORDINE: DIMENTICARE SUOR CRISTINA
Paolo Giordano per www.ilgiornale.it
Ora però basta. Alla quarta edizione The Voice non può più permettersi il lusso di sbagliare nemmeno una virgola.
Sia chiaro, qui si parla di musica, non di risultati televisivi, di share e di tutte quelle variabili che fanno la differenza nel gradimento del pubblico con il telecomando o lo smartphone in mano. Si parla di pop, di musica leggera, ossia della ragione sociale di un talent show che altrove ha saputo creare tendenza o lanciare successi.
Invece qui in Italia non è ancora accaduto e, in tre edizioni, The Voice of Italy ha cambiato coach e giorni di messa in onda senza però trovare il nome giusto. Tanto per capirci, anche l'ultimo vincitore Fabio Curto non è riuscito (almeno finora) a trovare una quadra nel proprio orizzonte stilistico e commerciale.
Insomma, l'impressione è che, quantomeno nella sua edizione italiana che rappresenta anche l'unico talent musicale della Rai, The Voice sia ancora schiacciato sotto l'ombra lunga di Suor Cristina che ovviamente ricorderete tutti: vincitrice della seconda edizione, consacrata anche da Madonna dopo aver interpretato Like a virgin, titolare del quarto video più visto nel mondo su YouTube nel 2014. Sembrava la panacea e invece no. Sparita. Per ovvi motivi la sua carriera è tuttora ancorata a vincoli religiosi e alla mancanza di quel binomio essenziale, decisivo e spesso trascurato: per diventare popstar bisogna aver tanta «fame» e soprattutto un repertorio all'altezza.
La bella voce non basta o, quantomeno, non garantisce nulla più che una fugace attenzione. Insomma, ci vogliono le canzoni. E una strategia che sappia combinare le esigenze promozionali con le virtù compositive o interpretative. Sembra facile ma non lo è, anzi.
Perciò nel corso di The Voice, stavolta la nuova giuria, che con Pezzali, la Carrà, Emis Killa e Dolcenera sembra più trasversale delle ultime, dovrebbe indirizzare scelte e selezioni in questa direzione, individuando non solo il talento che cova sotto l'inevitabile inesperienza ma anche la sua capacità di resistere in prospettiva. Altrimenti le alternative sono i colpi di scena alla Suor Cristina oppure bravi interpreti senza futuro.
2. «ECCO, SONO TORNATA STAVOLTA SCOVERÒ UNA VERA "VOICE"»
Laura Rio per ''Il Giornale''
È tornata a The Voice perché vorrebbe avere la soddisfazione di scovare un talento vero. Le piacerebbe che dallo show che porta nel cuore uscisse finalmente un artista che possa sfondare nel mondo della musica. Perché, in effetti, nonostante il buon successo televisivo, finora The Voice non ha sfornato cantanti che stanno scalando le classifiche. Insomma, Raffaella Carrà fa sempre la differenza.
Torna come coach nel programma (che ricomincia mercoledì prossimo su Raidue), dopo averne saltato una stagione, con obiettivi precisi. E resta sempre la regina, nonostante al suo fianco, come selezionatori-coach ci siano tre fuoriclasse della musica italiana: Dolcenera, Max Pezzali ed Emis Killa. Una giuria completamente rinnovata, che rappresenta i diversi generi musicali, dal pop al rap, e che dovrebbe dare nuova linfa allo show arrivato alla quarta edizione.
Dunque, Raffaella, come si fa a scovare il giovane giusto e a lanciarlo nel difficilissimo mercato musicale?
«Bisogna prima di tutto scegliere un ragazzo che abbia una sua unicità. Non basta la voce, deve essere diverso da tutti quelli visti finora. E questo è il motivo per cui ho accettato di tornare, oltre al fatto che ci tengo molto al programma avendolo tenuto a battesimo insieme a Cocciante, Noemi e Pelù. Non mi interessa se ad essere lanciato sia un concorrente mio o di un' altra squadra».
Il fatto è che questi giovani una volta finito il programma restano un po' abbandonati a se stessi...
«Appunto. Una casa discografica come la Universal (partner del programma), dovrebbe fare grandi sforzi per lanciare il vincitore e anche il secondo classificato. Soprattutto bisogna trovargli un brano molto forte. La fortuna di un artista è fatta per il 50 per cento dal brano e per l' altro 50 da chi lo canta».
Ma lei sarebbe disposta a intervenire in prima persona per aiutarli?
«Non sono mai stata la manager di nessuno. Alcuni ragazzi restano in contatto con me, ma posso dare loro solo dei consigli. Il fatto è che dovrebbero avere delle persone solide accanto, soffro a vedere che in alcuni casi i manager che li seguono non vanno bene: mi piacerebbe che fossero indirizzati anche all' estero, verso il mondo latino».
Chiara dello Iacovo, uscita da The Voice è arrivata seconda tra le giovani proposte a Sanremo. Ma questo purtroppo non basta...
«Chiara mi è piaciuta: ha presenza scenica presenza, feeling con il pubblico e una voce molto personale. La Rai e Sanremo devono continuare a sostenere questi giovani».
Lei è un' istituzione del servizio pubblico, come le sembra la Rai che sta mettendo in piedi il dg Campo Dall' Orto?
«Conosco poco i nuovi direttori, ma penso che portare nuove energie non faccia male a un' azienda. Mi è piaciuto molto quando detto dal direttore generale tempo fa sul fatto che per un' azienda come la Rai non importa solo l' ascolto, ma anche la qualità. Accanto a show di successo come Ballando con le stelle, si possono tentare altre strade. Ci vuole coraggio, ma bisogna cominciare a pensare che gli anziani (la maggior parte del pubblico di Raiuno) non sono diffidenti verso le cose nuove. E dare il tempo al pubblico di affezionarsi ai nuovi programmi».
Si riferisce anche al suo talent dello scorso anno, Forte forte forte, che è stato chiuso in anticipo e non riproposto?
«Anche a quello. Non è fondamentale avere uno share altissimo, l' importante è lavorare sul cambio generazionale. Sono felice che perlomeno i sei finalisti del programma stiano lavorando e anche bene».
Lei ha molto a cuore il tema della adozioni (ha adottato diversi bambini a distanza). Cosa pensa della stepchild in discussione in Parlamento?
«Credo che l' amore sia la chiave di tutto e che una persona che può veramente aiutare un bambino e dargli affetto abbia tutto il diritto di tenerlo con sé, a prescindere dalle sue tendenze sessuali. E penso anche che sui singoli casi debbano continuare a decidere i giudici. Odio che i bambini rimangano in un orfanotrofio. Però sono contraria all' utero in affitto».
3. MAX PEZZALI: «LA TV MI SALVA DALLA NOIA»
Claudia Casiraghi per ''Libero Quotidiano''
La vita di Max Pezzali scorre lenta, serpeggiando tra la casa che da anni ne custodisce il talento e i tanti studi di registrazione che lo ospitano.
La routine pare la stessa da tempo, e momenti di grande ispirazione si alternano al dinamismo delle incisioni.
«Non sono mai stato uno rapido», ammette il cantante che più ha contribuito a definire il pop degli ultimi decenni. «Solitamente, ho una giornata ben scandita: scrivo, canto ed è finita lì. Con The Voice of Italy (la cui quarta edizione prende il via su RaiDue nella prima serata di mercoledì 24 febbraio, ndr), la musica è cambiata». E, al contempo, è arrivata quella rapidità d' esecuzione che Max dice non essergli mai appartenuta.
«È successo con le Blind Audition. Me ne stavo lì, insieme agli altri giudici (Raffaella Carrà, il rapper Emis Killa e Dolcenera), e pensavo: "Cavolo, devo farmi svelto. Proprio non posso permettermi di perdere i talenti migliori"», racconta Pezzali, che su RaiDue veste i panni, inediti, del coach chiamato a scegliere e poi coltivare le migliori voci del servizio pubblico.
Com' è stato approcciarsi ad un talent già rodato?
«Quando, per la prima volta, sono entrato negli studi Rai, sono stato assalito da una sensazione di immensa gratitudine. Non avrei mai pensato, varcandone la soglia, di trovare una macchina tanto articolata e capace di funzionare con la precisione di un orologio svizzero. Ragazzi, mi sono detto, questa è la Champions League della televisione italiana».
Nelle scorse edizioni, si è detto e ridetto che i talenti usciti da The Voice non producono successi. Piero Pelù, addirittura, accusò la Universal, casa discografica associata allo show, di tafazzismo...
«Io credo che, da una parte, i concorrenti di The Voice siano "condannati" ad avere una visibilità minore rispetto a quelli degli altri talent. La struttura del programma prevede più partecipanti e meno passaggi televisivi. Quindi, meno empatia con il pubblico. D' altra parte, mi vien da dire che The Voice somiglia agli Harlem Globetrotters. Quei ragazzi fanno dei tricks pazzeschi, eppure non giocano nell' Nba».
Con questo cosa vorrebbe dire?
«Che si può essere spettacolari anche senza andare a canestro nelle partite più importanti».
Lei e i suoi colleghi avete mai pensato di impegnarvi in prima persona come manager dei vostri talenti?
«Non credo proprio che sarei in grado di gestire la parte manageriale di una carriera musicale. Nella mia testa, non c' è spazio per i numeri. Con molta umiltà, però, penso di poter dare una mano condividendo la mia esperienza. Se nel relazionarmi con un giovane cantante riesco a fargli capire quali errori non commettere e quali rotture di palle risparmiarsi, posso ritenermi soddisfatto».
Cosa cerca nei concorrenti?
«Personalità. La tecnica vocale conta poco se un concorrente non è immediatamente riconoscibile per timbro e attitudine. Il mio concorrente ideale non dovrebbe preoccuparsi tanto di essere un bravo cantante, quanto di essere diverso da ciò che si sente in giro».
All' epoca, insieme a Mauro Repetto, si sarebbe mai presentato ai casting di un qualche talent?
«Gli 883, probabilmente, non avrebbero avuto molte possibilità su questo fronte, perché la loro forza consisteva nella somma di tanti micro-talenti, tra cui quello vocale. Credo, però, che i talent show siano tra le poche strade rimaste a chi oggi desidera emergere in un panorama musicale sempre più frammentato e privo di punti di riferimento».
Si dice che la musica sia finita, specie dal punto di vista autorale. Di testi forti ce ne sono sempre meno, e il pop è tutto «cuore e amore». Come rimediare?
«Si tende ad appiattirsi su temi di facile presa perché in un panorama musicale incerto si cerca di "limitare il rischio": ed è un peccato, perché i ragazzi hanno ancora bisogno che qualcuno racconti le loro storie, come dimostra l' enorme successo del rap, genere che fa del racconto di vita quotidiana il proprio canone narrativo principale. Anche io, da utente, vorrei sentire nelle canzoni più storie vere e vissute: cacchio, avete vent' anni, raccontatemi il vostro mondo!».
j ax the voicethe voice giudici
Max Pezzali «the voice of Italy» un po' lo è per davvero. Lei ha incantato intere generazioni con il racconto del suo mondo...
«Quel che ho sempre fatto e che continuo a fare è raccontare un microcosmo che mi è familiare. L' ho sempre fatto con grande semplicità, senza curarmi di complicazioni di linguaggio o contenuto. La mia fortuna è stata rivolgermi ad un pubblico che, in un modo o nell' altro, viveva esperienze quotidiane molto simili alle mie».
Nonostante l' enorme successo (17 dischi di diamante e 7 milioni di album venduti), lei è sempre stato lontano dai riflettori. Perché ha deciso di accettare il ruolo di coach a The Voice?
«Più che di un bisogno credo si sia trattato del desiderio di uscire per un istante dal tran tran del mio lavoro. Fa' l' album, occupati della promozione, fai il tour e poi un altro album... Quando mi è stata offerta la possibilità di fare qualcosa di diverso e di giocare con la musica, l' ho colta al volo».
suor cristina scucciaALBA PARIETTI COME SUOR CRISTINA suor cristina 3suor cristina e kylie minoguesuor cristina balla sul palcosuor cristina j axthe voice
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