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“LA PARRUCCHIERA” DI NAPOLI – TRA BOLLYWOOD E IL PRIMO ALMODOVAR, IL FILM DI STEFANO INCERTI RACCONTA LA CITTA’ FUORI DAL CLICHE’ DEL CRIMINE – MADRI SINGLE, TRANS, UOMINI MESCHINI O SCONFITTI, COME L'ICONA DEL PRIMO TRASH TONY TAMMARO

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Conchita Sannino per “il Venerdì - la Repubblica”

 

«In una società multiculturale, in cui a volte dominano precarietà e paure, ho voluto puntare invece sulle risorse. E attraverso la storia di una giovanissima madre single, che reagisce alla crisi aprendo una sua piccola impresa tutta di donne, mi piaceva declinare diversamente anche la complessità di Napoli».

 

Stefano Incerti, autore sensibile e spesso spiazzante (da Il verificatore a Gorbaciof) con La Parrucchiera firma una commedia vitale e colorata che cita il primo Almodóvar e guarda a Bollywood. Senza dimenticare le contraddizioni del reale.

 

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Protagonista del film (prodotto da Rai Cinema e Sky dancers, con Mad Entertainment) è Rosa (Pina Turco, già volto di Gomorra La serie) che, molestata dal marito della coiffeuse dei quartieri alti (una Cristina Donadio brillantemente sopra le righe) si mette in gioco col nuovo locale aiutata delle amiche (Lucianna De Falco e la trans Stefania Zambrano) e dal suo eterno spasimante (Massimiliano Gallo). Intorno a loro solo uomini diversamente meschini o sconfitti, come l' icona del primo trash Tony Tammaro.

 

Incerti, lei è sempre stato attratto da ombre e atmosfere sospese. Perché stavolta è andato agli antipodi?

«Avevo in mente il tono di una certa commedia dal sapore europeo, attenta ai profili umani più modesti e "periferici". Il timbro pop, le tonalità nette, non cambiano la sostanza. Ancora una volta seguo persone che agiscono sotto pressione, donne che attraversano un periodo difficile, ma investono su loro stesse per superare gli ostacoli».

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Ne esce una Napoli raccontata in modo molto diverso dal solito.

«La mia è anche una reazione alla maniera in cui tanti fanno scivolare in un cliché abusato una città che resta, per fortuna, inafferrabile. Volevo sottrarla allo standard del male, del crimine, che rischia di diventare etichetta. Per questo ho cercato un tono più aperto alla speranza. Senza nascondere però, verso il finale, una nota più amara».

 

Tentando la chiave dei grandi maestri della commedia all' italiana, da Risi a Scola, che poi era un suo estimatore...

«Confronti impossibili. Però è vero che ho cercato una tensione verso un racconto in apparenza lieve, persino pop, ma in profondità attento ai cambiamenti e alle psicologie. Che non giudica ma usa il disincanto».

 

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Giocando con il trash e con il neomelodico la Napoli che circonda Rosa appare come un allegro calderone di diversità. È davvero così?

«La possibile integrazione è uno degli elementi del film, e a Napoli è già storia. A questo tessuto vitale e popolare appartiene anche un suono e un' atmosfera talvolta kitsch, che ho voluto tenere dentro, spero in delicato equilibrio».

 

Come cadono le barriere tra la città alta e quella bassa rappresentate dalle due parrucchiere?

«Non vi racconto il finale. Dico solo che volevo dare valore alla capacità di essere autentiche delle donne».

 

E può bastare uno shampoo?

«Simbolicamente sì. Per rimettersi in gioco nonostante la malinconia di fondo. Questa è una marcia in più che appartiene ai singoli, ma anche al dna dei napoletani». 

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