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“LA PRIMA GUERRA MONDIALE? FUCILAZIONI INUTILI E DECIMAZIONI SPAVENTOSE” - MUSSOLINI, CHE NELLA "GRANDE GUERRA" RIMASE ANCHE FERITO VICINO GORIZIA, NON FARÀ TESORO DELL’ESPERIENZA AL FRONTE, SU CUI ALL’INIZIO ERA STATO ANCHE CRITICO: “SONO ORGOGLIOSO DI AVERE ARROSSATO COL MIO SANGUE LA STRADA DI TRIESTE!” – LA DISFATTA DI CAPORETTO PROVOCO’, INFATTI, UN IRRIGIDIMENTO NAZIONALISTA DI MUSSOLINI CHE ANNI DOPO AVREBBE PORTATO IL PAESE A SCHIANTARSI CON ALTRE AVVENTURE BELLICHE…
Estratto dell’articolo di Antonio Carioti per corriere.it
Siamo in piena Prima guerra mondiale, verso le ore 13 del 23 febbraio 1917, otto mesi prima della disfatta di Caporetto. A quota 144 nei pressi di Doberdò, a sud di Gorizia, alcuni militari italiani dell’11° reggimento bersaglieri si addestrano all’uso di un lanciabombe, un cannoncino Ansen, effettuando tiri di aggiustamento. Tutto sembra procedere regolarmente quando d’un tratto un proiettile scoppia all’interno dell’arma, provocando un diluvio di schegge.
L’incidente è grave, cinque bersaglieri perdono la vita. Tra i feriti c’è un caporalmaggiore che nella vita civile fa il giornalista e al fronte tiene un Diario di guerra pubblicato a puntate sul quotidiano di cui è direttore, «Il Popolo d’Italia». È Benito Mussolini, raggiunto da numerose schegge alla faccia, «alla regione anteriore sottoascellare destra» e a entrambe le gambe.
(...)
Come ha scritto Mimmo Franzinelli, dal Diario di guerra si direbbe «che Mussolini veda la vita militare attraverso lenti color rosa». Sostiene di trovarsi a suo agio, descrive una truppa che fa volenterosamente il proprio dovere. Nella corrispondenza privata il quadro è meno idilliaco, affiorano difficoltà e disagio. Diversi anni dopo, nelle sue conversazioni con Yvonne de Begnac, il Duce rievocherà l’esperienza del fronte e ammetterà l’«estraneità del contadino-soldato alle supreme idealità della guerra». Parlerà «di fucilazioni inutili, di decimazioni spaventose». E tuttavia precipiterà il Paese in altre avventure belliche.
Dopo l’incidente, Mussolini è ricoverato in un ospedale da campo. Il 1° marzo 1917 viene raggiunto da un redattore del «Popolo d’Italia», al quale, nonostante i dolori e la febbre alta, rilascia una dichiarazione quanto mai battagliera: «Dite chiaro e forte che per il trionfo degli ideali di giustizia che guidano gli eserciti della Quadruplice avrei accettato, senza rimpianti, anche un più duro destino. Dite che sono orgoglioso di avere arrossato col mio sangue, nell’adempimento del mio più rischioso dovere, la strada di Trieste!».
(...) Il 24 ottobre 1917, le armate tedesche e austro-ungariche sfondano il fronte italiano a Caporetto, nell’alto Isonzo, costringendo le nostre truppe a ritirarsi fino al Piave.
Per Mussolini la disfatta di quei giorni è un colpo doloroso. Alla sorella Edvige confida che preferirebbe morire piuttosto che assistere al disfacimento della nazione. Ma la sua reazione, dopo la prima fase di sgomento, è un irrigidimento nazionalista e oltranzista. «Il Popolo d’Italia» si spinge sempre più destra, bolla la rivoluzione russa come un colpo di mano ispirato dai tedeschi, indica i combattenti come l’unica possibile classe dirigente per l’avvenire dell’Italia. Rincuora poi Mussolini la strenua resistenza offerta dai nostri militari sul Piave.
Infine il 1° agosto 1918 segna una svolta assai significativa sotto il profilo simbolico. Nella testata del «Popolo d’Italia» il sottotitolo «Quotidiano socialista» scompare. Al suo posto è collocata la scritta «Quotidiano dei combattenti e dei produttori». Mussolini è ormai distante anni luce dalle posizioni di un tempo. Non crede più alla lotta di classe, bensì alla contesa tra i popoli per il predominio geopolitico. Confida nella vitalità del capitalismo. «Nel periodo più rivoluzionario della storia del mondo – scrive il futuro Duce – il socialismo non costruisce nulla, è di una passività, di una sterilità spaventosa». Al termine della guerra, individuerà proprio nei suoi ex compagni il nemico da battere.
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