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Guido Andruetto per “la Repubblica”
“La tracciabilità dei flussi di denaro e dei ricavi dei servizi di streaming musicale sulle piattaforme digitali, è il terreno su cui si gioca la partita più importante per il futuro dell’industria discografica nell’era di internet».
A dirlo, con un filo di pessimismo che traspare dal tono di voce meno vibrante del solito, è David Byrne. Il cofondatore dei Talking Heads, la band simbolo della new wave negli anni 70 ed 80, personaggio tra i più influenti del panorama musicale contemporaneo, produttore, saggista, regista e autore di colonne sonore ( L’ultimo imperatore di Bertolucci, This must be the place di Sorrentino) oggi si è alzato di buonora con tanti progetti in testa e alcune preoccupazioni che già aveva esternato nei giorni scorsi in un suo editoriale sul New York Times .
Al telefono dalla sua casa nel cuore di Midtown a New York, dopo una tazza di caffè, Byrne mostra una sorprendente lucidità di pensiero già di primo mattino: sta per partire per Londra, dove dal 17 al 30 agosto curerà la nuova edizione del festival Meltdown al Southbank Centre, ma non perde l’occasione per ribadire che «nel settore della musica in streaming non c’è chiarezza sulla ripartizione delle entrate e sulle modalità con cui vengono stabiliti gli importi da assegnare agli artisti».
Signor Byrne, lei ha evidenziato l’urgenza di aprire la “scatola nera” dell’industria musicale. Quali informazioni si aspetta di trovare?
«Il problema più grave oggi è la mancanza di trasparenza. Non ci sono dati condivisi, soprattutto con chi fa musica, e l’accesso alle informazioni è più che mai difficoltoso. Spesso le società di streaming musicale a pagamento e le etichette discografiche fanno ostruzionismo nei confronti di chi pone domande legittime sui diritti degli artisti e sulle percentuali che gli spettano.
Viviamo una fase di grandi potenzialità per il mercato discografico grazie al digitale, ma anche di estrema confusione. Abbiamo bisogno di informazioni sia dalle case discografiche, e in particolare dalle majors, sia dai servizi di streaming, su come vengono condivisi e distribuiti i guadagni generati dalle vendite di musica digitale».
Che cosa chiede concretamente?
«Metodi e transazioni più trasparenti. Un artista deve poter capire come e quanto viene pagato, e dove va il denaro. Il pubblico e gli artisti oggi sono lasciati fuori da questi accordi. Io per primo non so esattamente in che cosa consistono. Da una situazione più corretta ed equa tutti possono beneficiarne».
Qual è la sua opinione sulla musica in streaming?
«Per molte persone e per molti paesi questo è il futuro. Bisogna però migliorare il sistema e trovare delle formule che servano a far scoprire nuova musica agli ascoltatori, esattamente come funzionavano i consigli del venditore nei negozi di dischi, che non sono equiparabili agli algoritmi alla base dei suggerimenti in rete».
Ha approvato l’iniziativa di Taylor Swift contro lo streaming di Apple?
«Naturalmente, non posso che essere d’accordo con lei, ma in tutta onestà quello che è emerso è solo la punta dell’iceberg. Il vero nodo irrisolto non è solo quello degli introiti che spettano agli artisti nei primi tre mesi gratuiti di prova del servizio, ma soprattutto ciò che succede dopo e quanti soldi trattengono l’etichetta e la società di streaming. Taylor non è andata a fondo su questo, ma ha aperto una porta».
Quest’anno è il direttore artistico del Meltdown. Quale impronta ha voluto dare al festival?
«Ho avuto carta bianca, ma non un potere illimitato nelle scelte, nel senso che ho prestato molta attenzione a fare quadrare il bilancio, ho dovuto fare delle rinunce. Per esempio avrei voluto Vinicio Capossela con la sua banda, ma è troppo caro, sono in troppi sul palco! La mia linea è stata questa: vi faccio conoscere delle cose inusuali, non solo musicisti ma anche compagnie teatrali e di arti performative. Spazieremo perciò da Jonny Greenwood, che suonerà live con la London Contemporary Orchestra fino a Bianca Casady delle CocoRosie affiancata da The C.i.A e dal danzatore Biño Sauitzvy».
Per rappresentare l’Italia ha scelto Carmen Consoli.
«È una cantautrice talentuosa. Mi piacciono i suoi dischi Eva contro Eva del 2006 ed Elettra del 2009. Non conosco bene l’ultimo L’abitudine di tornare , ma mi è bastato risentire i vecchi lavori per decidermi che era ora di farla conoscere al pubblico inglese».
Alla Poetry Library, durante il festival, il pubblico avrà libero accesso a una collezione di cinquecento libri di musica che lei mette a disposizione. È l’ultima frontiera dello sharing?
«Eh sì, penso proprio di sì (ride ). Un giorno a casa mi sono guardato intorno. Gli scaffali erano pieni di libri di musica, dal saggio sulla musica coreana a quello sulla psicoacustica, l’elettronica, il pop e le nuove tecnologie. Ho pensato che sarebbe stato bello condividerli con altri. Così ogni visitatore potrà sfogliarli e anche portarseli via».
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