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Gianni Barbacetto per "il Fatto Quotidiano"
EXPO ha scoperto di essere come un treno ad alta velocità lanciato verso la meta (l'apertura dell'esposizione universale il 1 maggio 2015, tra 357 giorni), ma con molte incognite. Sapevamo già che è partito in forte ritardo e rischia di non arrivare in tempo a Rho.
Ma ora veniamo a sapere anche che alcuni passeggeri non hanno il biglietto e non hanno proprio intenzione di pagarlo. Uno è la Provincia di Milano, l'altro la Camera di commercio. Il "biglietto" per stare sul treno dell'Expo per loro costa 60 milioni, dunque il "controllore", Giuseppe Sala, lamenta che dalle entrate previste mancano 120 milioni.
Non proprio noccioline. La Provincia, in disarmo, i soldi non li ha e non li darà mai. Ci deve pensare il governo del futurista Renzi, se troverà i soldi (60 milioni della Provincia, 70 per potenziare i trasporti in vista dell'esposizione, più gli oltre 270 della sua quota). La Camera di commercio invece non può versare quel denaro in conto capitale, per infrastrutture che non c'entrano un tubo con la sua missione.
In cambio dovrebbe avere la promessa di ottenere, alla fine dell'evento, il Palazzo Italia (l'unico padiglione nazionale che non sarà abbattuto), che vorrebbe trasformare in Palazzo dell'Innovazione. Ma chi gliela può fare, questa promessa?
Un bel rebus. Anche perché sta venendo al pettine il vero nodo della faccenda: le aree. à il peccato originale dell'Expo, che si è deciso di far sorgere su quel terreno sghembo tra Milano e Rho chiuso tra l'autostrada per Torino e quella dei Laghi. Oltre un milione di metri quadri di aree agricole, che non valevano un euro, proprietà della Fondazione Fiera di Milano e del gruppo Cabassi.
Toccate dalla bacchetta magica agitata, allora, dal presidentissimo Roberto Formigoni, quelle aree sono diventate preziose e sono state pagate a caro prezzo (oltre 300 milioni) da Arexpo, la società che si è accollata la proprietà dei terreni per conto dei soci di Expo (governo, Comune, Regione, Provincia). Le banche hanno anticipato parte dei soldi, ma alla fine li vorranno indietro con gli interessi.
Dunque quei 300 e passa milioni devono essere trovati da qualche parte. Come? Facendo entro giugno una bella gara internazionale per trovare il privato che se la compra, l'area, per utilizzarla alla fine dell'Expo. Se uno ci spende più 300 milioni (questa è la base d'asta), poi non ci farà di certo un prato, o degli orti di piante aromatiche. Vorrà rientrare del suo investimento.
Ecco dunque il vero problema di Expo. "Nutrire il Pianeta, energia per la vita", dice lo slogan con cui Milano ha vinto la competizione per l'esposizione universale 2015 (strappando il successo a Smirne, unica concorrente, mica Parigi o Bruxelles - e ci sarà un motivo).
Dunque i volonterosi manager di Expo innalzeranno tutti i bei padiglioni nazionali, creeranno i meravigliosi cluster del riso, del cacao, del caffè e di tanto altro ancora. Ma poi, il 1 novembre 2015, dopo sei mesi di festa, smonteranno tutto per lasciare campo libero a chi costruirà migliaia di metri cubi di cemento.
"Nutrire i costruttori, energia per le banche". à il destino inesorabile di Expo, malgrado tutte le idee bellissime che potranno animare i sei mesi di festa. Resterà una parte a parco (e ci mancherebbe). Il Comune di Milano vorrebbe che qui sorgesse il nuovo stadio per il calcio e i grandi concerti. Ma queste sono speranze. La realtà è che l'Expo si confermerà la più grande operazione immobiliare degli ultimi decenni.
A meno che - ma è solo un incubo, o un sogno - il treno non si fermi prima del 1 maggio 2015, e che il controllore dichiari che così non si può andare avanti, visto che i passeggeri sono perfino saliti senza pagare il biglietto.
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