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Alessandra Muglia per il "Corriere della Sera"
Teste di cuoio britanniche, soldati e negoziatori americani, squadre specializzate francesi: dopo le condanne e lo sdegno, arrivano le prime concrete offerte di aiuto alla Nigeria per ritrovare le oltre 200 studentesse prelevate da scuola dai Boko Haram, gli estremisti islamici che hanno fatto della lotta all'istruzione, soprattutto femminile, la loro missione.
Sono stupite e soddisfatte le donne nigeriane che con la loro coraggiosa mobilitazione su Twitter e nelle piazze sono riuscite a portare il dramma del Paese all'attenzione del mondo, denunciando la latitanza/inerzia delle istituzioni locali («non ci chiediamo: le troveranno? Piuttosto: le stanno cercando?») e invocando l'aiuto della comunità internazionale.
Sotto l'hashtag #BringBackourGirls si sono ritrovate sconosciute casalinghe nigeriane e Hillary Clinton, hanno fatto sentire la propria voce Shirin Ebadi («Chi si oppone all'istruzione nega l'Islam»), Malala e Angelina Jolie («incredibile crudeltà »). Le proteste si sono diffuse dalla capitale Abuja a Lagos, da Londra a Washington.
Così il dramma delle ragazze rapite ha reso evidente che i Boko Haram non sono un problema soltanto nigeriano: per via del loro raggio d'azione esteso ai Paesi confinanti e per i probabili legami con altri gruppi jihadisti africani come gli Shebab somali e Al Qaeda nel Maghreb.
Gli Stati Uniti sono stati i primi a offrire il proprio sostegno. Lunedì hanno annunciato l'invio di un pool di esperti, anche militari (una decina), che si occuperanno di coordinare la comunicazione, la logistica, la raccolta di informazioni (operazioni di cui c'è un gran bisogno vista la confusione nel Paese). L'appello lanciato dal presidente Obama è stato raccolto ieri dalla Gran Bretagna che si è detta pronta a fornire un sostegno di intelligence e uomini delle forze speciali.
Per la Francia, il ministro degli Esteri Fabius ha prospettato l'invio di una «squadra specializzata dotata di tutti i mezzi a nostra disposizione». Un'offerta di aiuto è arrivata anche dal premier cinese Li Keqiang ieri ad Abuja per il World Economic Forum africano, un palcoscenico che avrebbe dovuto dare lustro alla prima economia africana per attirare investitori e che invece risulta offuscato dall'emergenza terrorismo: «La cooperazione cinese potrebbe estendersi alla lotta al terrorismo», ha annunciato.
Ma ritrovare le ragazze resta un compito arduo anche con i rinforzi in arrivo. Perché sono passate ormai tre settimane da quando nello stato nordorientale del Borno le studentesse, la notte prima degli esami, sono state indotte con l'inganno dai terroristi spacciatisi per soldati a uscire da scuola e a salire a bordo di camion spariti nella foresta Sambisa, al confine con il Camerun.
Si è perso tempo prezioso: soltanto ieri le autorità hanno annunciato una ricompensa di 300 mila dollari per chi fornisce informazioni. Ma ormai, come fa notare più di un osservatore locale, è probabile che i terroristi per non dare all'occhio si siano divisi in piccoli gruppi, ognuno con poche ragazze al seguito, sparsi nei 60 mila chilometri quadrati della boscaglia. I Boko Haram useranno probabilmente le loro «prede» come scudi umani, così da scongiurare bombardamenti. In attesa di venderle come schiave o mogli in Ciad e Camerun, come hanno minacciano nel video choc diffuso lunedì scorso.
La tratta delle donne nel Borno, intanto, non si ferma: lunedì notte altre 11 ragazze sono state rapite dai jihadisti. E ieri si è appreso il bilancio delle vittime dell'attacco sferrato sempre nel Borno al villaggio di Gamboru Ngal, devastato lunedì con un rastrellamento casa per casa: 300 morti. Una strage. L'ennesima.
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