DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Valeria Di Corrado per "Il Tempo"
Per aver affidato a un giornalista mansioni inferiori a quelle previste dal contratto, i vertici di viale Mazzini rischiano di essere condannati a risarcire, in totale, 310 mila euro. Ieri si è svolto il processo che vede imputati davanti alla sezione giurisdizionale della Corte dei conti del Lazio gli ex direttori generali della Rai Agostino Saccà, Flavio Cattaneo, Alfredo Meocci e Claudio Cappon, e i direttori delle Risorse umane Gianfranco Comanducci e Maurizio Braccialarghe, accusati di aver provocato alle casse dell'azienda un danno erariale. La vicenda trae le mosse dalla causa di lavoro che l'ex vice direttore del giornale radio, Sandro Testi, ha intentato alla Rai.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza passata in giudicato, aveva infatti condannato la società a risarcire 170 mila euro al giornalista, per averlo "demansionato" per un periodo di quasi cinque anni: da novembre 2002 ad aprile 2007. Considerato che viale Mazzini, oltre alla somma liquidata a Testi, ha dovuto sostenere le spese legali nei tre gradi di giudizio, sborsando quasi 140 mila euro, il sostituto procuratore contabile Sergio Patti ha chiesto la condanna dei sei dirigenti a ripagare all'azienda entrambe le voci di spesa, per un totale di 310 mila euro.
Nello specifico: 155 mila euro ai quattro ex direttori generali e i restanti 155 mila euro ai due ex direttori delle Risorse umane. Il pm ha «ritenuto di condividere pienamente - si legge nell'atto di citazione - le considerazioni svolte nella sentenza della Corte di appello di Roma», da cui «emerge chiaramente la responsabilità della Rai spa per il demansionamento».
«Non può negarsi la sussistenza di un danno alla professionalità - spiega infatti la sentenza dei giudici civili di secondo grado - considerati: la durata del demansionamento; l'entità dello stesso in rapporto alle qualificate mansioni precedentemente svolte di vicedirettore e di vicedirettore vicario della testata Gr; la preclusa possibilità di svolgere compiti di direttore giornalistico e di condirettore presso una qualificata struttura; il comportamento aziendale che prima ha attribuito una data qualifica e specifiche mansioni, al fine di evitare un contenzioso, e poi si è sottratta a tale impegno, lasciando inattivo il dipendente nonostante l'ordine del giudice».
«Io ho fatto tutto quello che potevo, dando a Testi degli incarichi importanti - ha spiegato Agostino Saccà al nostro giornale - In un caso lui ha rifiutato l'incarico di vicedirettore generale di Tele San Marino, una televisione importante. La Rai ha 1.600 giornalisti, non è che il direttore generale arriva poi ad occuparsi di tutto, può anche ignorare alcuni casi. Io in questo caso non lo ignoravo, tant'è che mi sono messo in moto per reinserirlo. Una vicenda che tra l'altro, per quanto mi riguarda, è vecchia di 13 anni e la mia contestazione è limitato comunque solo a pochi mesi».
«Se la sentenza ha riconosciuto a Testi un risarcimento vuol dire che ha subito senz'altro un torto per il demansionamento subito - ha concluso Saccà - ma non certo dall'allora pro-tempore direttore generale, che ha fatto di tutto per rendergli in qualche modo giustizia, per quello che potevo. E se fossi rimasto ancora direttore generale, me ne sarei occupato meglio. Invece la vicenda è andata avanti per anni». Per corroborare la sua tesi, il pm ha fatto riferimento anche alla giurisprudenza della Corte dei conti in materia, citando, in particolare, una sentenza del 13 dicembre 2011 della sezione Lazio.
Sentenza con la quale il direttore generale pro-tempore Mauro Masi era stato condannato a risarcire alla Rai 100 mila euro per l'anticipata risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con Angela Buttiglione e Marcello Del Bosco. I due giornalisti, infatti erano stati sollevati, rispettivamente, dall'incarico di direttore della testata giornalistica regionale e di direttore della direzione radio dal cda della Rai tra agosto e ottobre 2009.
Secondo i giudici contabili, infatti, «il "risparmio" che scaturirebbe dalla soluzione transattiva raggiunta con i due dirigenti è solo apparente» E la colpa di Masi è stata quella di «non aver compiuto alcun tentativo di ricollocazione dei due dirigenti in altri settori aziendali, ricollocazione che entrambi i dirigenti sollecitavano».
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