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Chiara Maffioletti per il “Corriere della Sera”
Ci sono i cantanti. E poi ci sono i cantanti che diventano la voce di una generazione.
Quelli di cui parte una canzone e, se hai una certa età, ti ritrovi matematicamente a cantarla. Max Pezzali è l' incarnazione di questo teorema, vedi alla voce anni Novanta. Il 10 luglio suonerà a San Siro e il primo a non aspettarselo era lui. «Questa vicenda mi ha colto impreparato. Sono sotto choc».
In che senso?
«Accarezzavo questo sogno ma senza crederci. San Siro per me rappresenta il punto di arrivo: prima pensavo che i tempi non fossero maturi, poi che non lo fossero più».
Poi, cosa è successo?
«Che mi han detto: ci proviamo? E ancora non ci credevo. È partita la prevendita e sono stato scioccato. Un' adesione di massa impensabile».
Non si rendeva conto di avere questo seguito?
«Eh, 30 anni sembrano volati. Non hai sempre un riscontro immediato, ma ora realizzo che qualcosa di buono con le canzoni l' ho fatto.Tendo a minimizzare. Mia madre ha origini contadine e mi ha insegnato quando c' è un' annata buona che magari quella dopo viene la carestia».
La sua cautela c' entra poi col fatto che un certo pop non era considerato nobile?
«Senza dubbio. Sono cresciuto con l' idea della costruzione canzone, il ritornello che deve tirare dentro. Anche quando era considerato deteriore, non di serie A. Oggi le carte si sono rimescolate. Prima c' era del pregiudizio».
E come lo ha vissuto?
«Ho accettato le critiche, spesso capendole. Ma la conclusione era sempre che quella era la mia natura. Non saprei fare diversamente. Comunque si giudichi quello che faccio, è autentico».
Perché c' è questa ondata di nostalgia per gli anni '90?
«Per giudicare un periodo musicale bisogna sempre aspettare. C' era un consumo meno compulsivo: una hit era una hit anche per sei mesi».
Le è capitato spesso, no?
«Sì. Mi fa piacere quando oggi giovani artisti si avvicinano a me con un rispetto immenso che contraccambio. Chi inizia a fare musica adesso deve avere capacità amplificate rispetto alla mia epoca. Ma loro avvertono che quelle canzoni, magari poco raffinate o scintillanti, erano vere».
Eppure credeva che fosse troppo tardi per San Siro.
«È il punto più alto di una carriera: lo devi raggiungere nel momento di maggiore contemporaneità. Per riempirlo devi convincere tanta gente: è più facile lo faccia un artista all' apice di uno esploso 25 anni fa. Invece...».
Alcuni momenti decisivi della sua carriera?
«Uno legato ad Hanno ucciso l' uomo ragno: con Mauro Repetto avevamo scritto la musica ma il testo non veniva. Dopo giorni ci siamo detti basta: ci sono canzoni destinate a non nascere. E siamo usciti a mangiare un panino piccante, pancetta e tabasco. Per me è stato quel panino, ore dopo, a portarmi al testo. Serviva uno choc emotivo per uscire dall' ovvio, me l' ha dato il tabasco.Mi ero detto: o è la peggiore canzone mai scritta o è lei.Senza il peso della digestione non sarebbe venuta».
Repetto sarà a San Siro?
«Vorrei tanto. Da giorni non riesco a non pensare a noi, 30 anni fa. La prima volta siamo andati a San Siro assieme: nel '90, per il Mondiale. Eravamo due studenti squattrinati in cerca di una identità: ritrovarsi lì 30 anni dopo sarebbe il coronamento di u
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