SOTTO LA MOLE C’È UN MOLLINO – ALLA SCOPERTA DELLO SCRITTORE E GRANDE ARCHITETTO-DESIGNER NEL SEGNO DEL DOPPIO, DELL’EROS E DELL’OCCULTO

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Bruno Quaranta per "la Stampa"

Chi fu Carlo Mollino se non un avamposto dell'«assurdo» sotto la Mole, l'ago nel cielo concepito da un'anima non meno hors-catégorie, alias l'Antonelli? Via via disarcionando il buon senso, rovesciando i ligi tecnigrafi, onorando una divisa diagonale nella capitale dell'angolo retto. Di un'eccentricità che solo il supremo possesso della grammatica e della sintassi potrà, saprà, nutrire, liberare, incendiare.

Carlo Mollino: architetto; barone universitario (ma non si equivochi, barone di calviniana ascendenza, ergendosi sovra le «sabbie mobili»); designer; fotografo in per con Eros (le Polaroid); sportivo; letterato (come si manifesta negli scritti Frammenti fatti regime, a cura di Alessandra Ruffino), felicemente insensibile alla ragione sociale, crocianamente alfiere del rapporto intuizione-espressione.

Nato nel 1905, scomparso nel 1973, una parabola di stretta osservanza torinese, quindi «wagneriana», Wagner non a caso dominante nello spartito indigeno, sotto certi aspetti l'angolo «più moderno d'Italia», come spiegava Mila.

Come non riandare, seguendo, scrutando le orme del demiurgo Mollino (figlio d'arte, il padre Eugenio coautore dell'ospedale «Le Molinette») a Wagner tramite Proust, il Gran Francese di cui nell'officina subalpina Giacomo Debenedetti identificherà, svelerà il «tono»?

Mollino sugli sci, Mollino ideatore e al volante del bisiluro Damolnar, 24 Ore di Le Mans 1955, Mollino eco di Saint-Exupéry in verticale sul suo Bücher UTH... Ecco: Proust scosso dall'«abilità vulcanica» di Wagner, che consente alle frasi musicali «di lasciare più liberamente la terra, uccelli simili non al cigno di Lohengrin, ma a quell'aeroplano che a Balbec avevo visto convertire la propria energia in elevazione...».

L'enciclopedico Proust, che non riesce a veder finita la sua cattedrale. Da annoverare nel pantheon letterario di Mollino, esso stesso, il pantheon, opera aperta, che Alessandra Ruffino restaura con acribia ed eleganza, da Goethe a Roussel, da Conrad (la «sconclusione dell'antinarrativa molliniana pare una esatta traduzione di quel procedimento del frammento fatto regime che ispira la scrittura di Joseph Conrad») a, perché no?, Musil, ovvero «il senso della possibilità».

«Incompiuto» Mollino. Una vocazione, un'urgenza, che permea le prove Frammento dall'«Agonia degli Apollidi»1932 (un architetto scompare giovane, in sanatorio, lasciando una sposa regina),Vita di Oberon 1933 (con la Leica verso il simulacro di una dea), L'amante del Duca, 1933-1936, per «Il Selvaggio» di Maccari (un viale del tramonto in una villa rivolese).

A sé, le «divagazioni» Del drago da passeggio e Nuova astrologia (ne pubblichiamo un brano), apparso sotto pseudonimo - 1949 - in «La lettura del medico». È una difesa dell'arcano indubitabilmente nelle corde di un occultista come lo suo autore: «L'influsso degli astri sull'uomo, del "macrocosmo sul microcosmo", secondo l'antico aforisma dell'occultismo, è oggi una realtà scientifica documentata, di cui il pensiero moderno va prendendo atto».

Specialmente a suo agio a Torino Mollino, un célibataire con le diable au corps nella cuna dove Arpino ha concepito Un'anima persa, Mario Calandri leggeva e rileggeva Giro di vite, Mario Soldati traeva ispirazione perStorie di spettri. Interpretando mirabilmente il doppio, per esempio oscillando fra architettura e belle lettere come non sfuggì a Carlo Levi (preziosa sottolineatura ritrovata da Alessandra Ruffino): un'architettura che «tende, piuttosto che alla effusione lirica, al romanzo, alla creazione cioè e alla descrizione di personaggi».

En plein air e sui fogli inchiostrati per «un cliente fantasma, pieno di deferenza e di rispetto per la nostra misteriosa professione». L'architetto Mollino che - restiamo a Torino - «firmò» il Teatro Regio, la Società Ippica (demolita, delittuoso atto politico, nel 1960), gli uffici Einaudi, la Camera di Commercio, la farmacia Boniscontro, qui magari incontrando nelle ore piccole in cerca di un cachet Mario Soldati, insieme imbastendo un racconto notturno, ovviamente hoffmanniano, ovviamente discorrendo di donne, in carne ed ossa e «vestite di nulla», la morte, «la più allegra delle chiromanti», come la raffigurò, in un suo verso, Franco Antonicelli. Come rammenta L'amante del Duca: «Non so che cosa mi abbia avvertito della sua presenza...posso essermi voltato così: grand'angolo cauto, rotazione lenta, era lì! e finale di scatto, terrorizzato...».

 

 

 

 

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