VIDEO-FLASH! - L’ARRIVO DI CECILIA SALA NELLA SUA CASA A ROMA. IN AUTO INSIEME AL COMPAGNO, DANIELE…
Massimo Gramellini per il Corriere della Sera
I libri di Aldo Cazzullo sono piuttosto letti perché sono scritti piuttosto bene. Si tende spesso a sorvolare su questo aspetto essenziale.
Esistono autori che scrivono in modo algido e oscuro per la loro combriccola di iniziati. Non arrivano al pubblico perché non ne sono capaci o perché lo disprezzano (forse non ne sono capaci perché lo disprezzano). Cazzullo invece ama i lettori, e si sente. Li ama in quel suo modo generoso e bulimico di affrontare la vita, che lo porta a fare mille cose tutte insieme, agitato dal sospetto che le altre novecentonovantanove siano decisamente più interessanti di quella che sta facendo in questo momento.
La raccolta di interviste apparse negli anni su «La Stampa», «Corriere della Sera» e «Sette», ora in libreria, è un' autobiografia mascherata. L' intervista, come Cazzullo spiega nella prefazione, rimane un genere balordo, difficilissimo. L' intervistatore deve scomparire per mettere al centro della scena l' intervistato. E poiché l' ego di un intervistatore che si rispetti è sempre piuttosto sviluppato, non vi sfuggirà l' entità dell' impresa. Di più: l' intervistatore è una specie di Socrate, chiamato a estrarre dall' altro quello che l' altro non vorrebbe mai dirgli e che spesso ignora persino di ricordare. Però non può permettersi né il tempo né l' insolenza del filosofo ateniese. Ha bisogno di trovare rapidamente una chiave di accesso per penetrare la corazza dell' intervistato.
Per indurlo a fidarsi e, fidandosi, ad aprirsi.
Quelli che criticano gli intervistatori per la qualità troppo morbida delle loro domande non hanno evidentemente mai fatto un' intervista. Le interviste non sono interrogatori giudiziari, ma sedute psicoanalitiche. Una domanda troppo cruda provoca una reazione di chiusura ermetica. Il grande intervistatore sa creare un clima rilassato e complice, al culmine del quale infilerà la zampata in grado di rivelare un mondo. L' intervista che si legge di un fiato, e che continua a funzionare anche a distanza di anni, non contiene quasi mai notizie di stretta attualità, ma aneddoti esistenziali. E non si basa sulla polemica, ma sul racconto.
Rispetto all' intervistatore televisivo, quello della carta stampata ha un problema in più, che però contiene un vantaggio. Il problema è che l' assenza fisica del protagonista addossa sulla sua penna tutto l' onere della messa in scena. Il vantaggio è che, così facendo, egli ha la possibilità di rimodellare la materia sulla base esclusiva del suo estro. Un maestro dell' intervista televisiva come Zavoli poteva solo lavorare con il montaggio, tagliando e ricucendo. L' intervistatore su carta può dare all' intervistato una voce. Gli intervistati di Cazzullo parlano tutti come lui, in un italiano moderno e sincopato, fatto di continui cambi di prospettiva, aggettivazione ridotta all' osso, abbondanza di immagini che escono dalla loro bocca con una facilità dietro cui non traspare mai lo sforzo compiuto dal vero artefice. Perché la spontaneità apparente con cui Vasco Rossi racconta la sua vita spericolata e Sandro Mazzola la sua da orfano di Superga non è frutto di un moto dell' animo, ma del lavoro certosino dell' intervistatore.
L' intervista è un dramma in tre atti.
renato zero photo andrea arriga
Prima c' è l' incontro, le schermaglie iniziali per rompere il ghiaccio, quel reciproco annusarsi che spesso non porta da nessuna parte, ma talvolta sì. Poi c' è il momento della rilettura degli appunti e del loro scompaginamento. Una frase sfuggita di bocca alla fine del colloquio illumina qualcosa detto all' inizio. E allora si tratta di spostarla, riassumerla, rimodularla, senza però tradire il pensiero dell' interlocutore. Una operazione di alta sartoria, di cui il lettore ha poca contezza, né deve averla.
Infine, il terzo atto: la scrittura vera e propria. Decisiva è la scelta di fondo.
Ricorrere allo schema classico di domande e risposte, che invoglia alla lettura perché dà la sensazione di un testo più digeribile. Oppure optare per il flusso di coscienza, con l' intervistato che parla da solo in prima persona, come in un monologo di Shakespeare.
cazzullo legge il libro di roncone
Cazzullo maneggia bene entrambe le tecniche, anche se si capisce che predilige la seconda, dove proprio perché non appare è molto più presente.
Per questa raccolta ha selezionato settanta interviste. L' ha sottotitolata: «I settanta italiani che resteranno» e questo gli provocherà immancabilmente la reazione piccata di tutti gli esclusi, convinti anche loro di meritare l' immortalità. Ma è una gelosia che si tramuterà in gratitudine, appena leggeranno le interviste e vi si ritroveranno.
Perché il vero talento del grande intervistatore consiste nel trasformare ogni intervistato in un simbolo universale.
Siamo tutti J-Ax, Pippo Baudo, Bebe Vio, Levi Montalcini e pure Ruini. Chi l' avrebbe mai detto? Cazzullo, ovviamente, e non si è limitato a dirlo. Lo ha scritto. Piuttosto bene.
Quei ricordi di Roma fra disastro e meraviglia
Paolo Conti per il Corriere della Sera - Roma
Il racconto è di Renzo Arbore, riguarda i primi anni Sessanta. Domanda di Aldo Cazzullo: «A Roma lei abitava in una casa di artisti...». Risposta: «Nel sottoscala c' erano i Primitives. Al secondo piano il proprietario del Titan Club, concorrente del Piper, che ospitava un' attrice francese di straordinaria bellezza: Edwige Fenech.
Sullo stesso pianerottolo abitava una donna ancora più bella, con Virna Lisi la più bella che abbia mai visto: Laura Antonelli. Un angelo disceso dal cielo.
Fidanzata con Mario Marenco». Non è finita qui: «Terzo piano, Shel Shapiro che girava in Rolls Royce bianca mentre io avevo la 500 targata Foggiaquarto piano: Franco Califano, bellissimo e invidiatissimo; allora viveva con Mita Medici». Più che un condominio, un palinsesto televisivo. Anzi, un grande show del sabato sera della migliore Rai.
La presentazione romana del nuovo libro di Aldo Cazzullo «L' intervista/ I 70 italiani che resteranno», edito da Mondadori (l' appuntamento è per domani alle 18.30 al Piccolo Eliseo, interviene l' autore con Marcello Sorgi, coordina Annalisa Bruchi) fa ritrovare il filo rosso che, nella fittissima galleria di ritratti e di confronti (artisti, cardinali, protagonisti dell' industria, politici, attrici) porta alla Capitale, perennemente in bilico tra meraviglia e disastro, tra mito e degrado.
Dice a Cazzullo per esempio Paolo Sorrentino, l' autore de «La Grande Bellezza», un premio Oscar per il miglior film straniero e insieme uno slogan ormai planetario: «Io non ce l' ho con Roma. Ammiro la sua meravigliosa capacità di sopravvivenza. E sono avvilito dalla sua gestione così claudicante. Abito in un quartiere vivace, piazza Vittorio. Quando la degenerazione arriva, si percepisce subito. La sporcizia, la criminalità. La identica sensazione che avvertono migliaia di romani ogni giorno, in ogni zona della città». Claudio Baglioni descrive una scena da film, lui e Francesco De Gregori ragazzi che, insieme, si improvvisano artisti di strada al Pantheon:
francesco de gregori claudio baglioni
«Andammo a suonare Dylan e i Beatles , era sabato pomeriggio. Non si fermò nessuno. Decidemmo di passare al nostro repertorio, avevamo già un paio di dischi di successo a testa, ma ci notò solo un giapponese che lasciò cadere una moneta nella custodia della chitarra. Un autentico scuorno . Ci soffrimmo entrambi, per motivi diversi: io ero più pop, ma Francesco era più vanitoso». Cesare Romiti ricostruisce la fame conosciuta durante la guerra e quella corsa da san Giovanni alla Tiburtina, dopo aver saputo di un treno carico di farina abbandonato, «quella che portai a casa fu accolta come una manna».
Paolo Poli andava spesso a tenere compagnia d' estate ad Alberto Moravia, nella casa dello scrittore a lungotevere della Vittoria: «Passavamo ore sul terrazzo a guardare le prostitute e i clienti. "Ma come fanno ad andare con uomini così brutti?", mi chiedeva Moravia. "Tu Paolo quello lì lo vorresti?" Io lo facevo ridere».
Ennio Morricone tira fuori un pezzo di storia durante l' occupazione nazista a Roma: «Un giorno in piazza Colonna incontrai un prete partigiano, don Paolo Pecoraro che mi disse: tra poco ne sentiremo delle belle. Seguì un botto. Era la bomba di via Rasella». Renato Zero ricorda la via Ripetta in cui nacque, dove «calzolari, ombrellari, bottari e carbonari» stavano accanto «alle grandi famiglie papaline, gli Odescalchi, i Torlonia, i Del Drago». Sono tante fotografie, tutte uniche. Il libro di Cazzullo contiene moltissimo altro materiale, ovviamente. Ma l' ottica romana è una chiave di lettura che fa scoprire angoli, ricordi, volti di questa nostra città.
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