DAGOREPORT - MA QUALE TIMORE DI INCROCIARE DANIELA SANTANCHÈ: GIORGIA MELONI NON SI È PRESENTATA…
Scott Timberg per “Salon”
I fanatici della musica non gradiscono quando le loro canzoni preferite finiscono in uno spot commerciale, specialmente se il testo parla di ribellione. Ma la cosa è andata ben oltre e le stesse canzoni e video sono diventati pubblicità. Con tutto quello che sta accadendo nel mercato, tra accordi nascosti fra le major e i servizi di streaming che spesso lasciano fuori gli artisti, i rapporti finanziari sono molto opachi.
Sappiamo ad esempio che “Forever” di Chris Brown includeva il riferimento alle gomme alla menta ”Orbit”, e infatti l’anno dopo è apparso nello spot. Sappiamo che Lady Gaga ha avuto gli sponsor da “Miracle Whip”, “Polaroid”, “Virgin Mobile”, dal sito di incontri “Plenty of Fish” e dalla “Hewlett Packard”, per il suo video “Telephone”. Sappiamo che Busta Rhymes ha preso lo sponsor da “Courvoisier”, dopo l’uscita del brano “Pass the Courvoisier”. Non ce ne accorgiamo ma siamo bombardati dalla pubblicità di “Beats Electronics” (le cuffie di Dr. Dre per “Apple”), che appaiono in almeno 17 video, da Ariana Grande a Britney Spears, da Nicki Minaj ad Azealia Banks.
Inoltre la “Universal” ha iniziato il suo programma di “inserimento di pubblicità retroattiva”, cioè piazza i marchi nei video già esistenti, senza che questa fosse l’intenzione originale degli artisti. I casi citati sono noti, ma che ne è di quelli che ci sfuggono?
L’Università del Colorado ha analizzato la top 30 di “Billboard” dal 1960 al 2013 e ha scoperto che oltre la metà delle 1544 menzioni dei marchi, sono apparse nei testi fra il 2000 e il 2010. Nel 2006 si è scoperto che due canzoni su tre includono almeno un riferimento a un “brand”. Il pop e il rock sono strettamente connessi al capitalismo e sono oggetti di consumo. E’ successo anche coi Clash, pubblicati da un’etichetta e venduti in un negozio, o coi Beatles. Le icone rock, punk e indie sono strettamente legate al consumismo, e un tempo c’era chi le criticava per questo (vedi Public Enemy).
Diciamo che nel mondo anglo-americano la cultura è intimamente legata al mercato, oggi più che mai. E’ diventato normale parlare di vendite e monetizzazione. Il crollo delle vendite dei dischi ha fatto sì che gli artisti trovassero altri modi per guadagnare. Devono fare tour infiniti e, per le piccole band, dare la licenza per una canzone in tv è un modo per sopravvivere. Di soldi però ne guadagnano più le corporazioni e i pubblicitari che gli artisti. Gli accordi sono a 360°, l’etichetta non controlla solo la carriera degli artisti, ma il marketing, la promozione, il tour, gli sponsor. In pratica spesso i brani nascono come pubblicità e diventano canzoni.
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