DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Giusti per Dagospia
kim ki duk leone d'oro a venezia 2012 4
Kim Ki-duk, geniale e controverso regista sud-coreano, autore di una trentina di film come “Pietà”, “Ferro-3”, L’isola”, “Arirang”, forti, controcorrente, anche sgradevoli ma premiatissimi a ogni festival da Venezia a Berlino a Cannes, ci lascia oggi in un ospedale di Litva, in Lettonia, fulminato dal Covid, a soli 59 anni.
Sembra che fosse arrivato in Lettonia per comprarsi una casa sul mare a Jurmala, vicino a Riga, dove intendeva vivere in tranquillità. Sfortunatamente non è andata così.
lee jung jin, jo min soo pieta'
Lo ricordiamo bene quando si presentò sul palco in ciabatte, vestito da cacciatore sul palco del Festival di Venezia nel 2012, dove era stato premiato con il Leone d’Oro il suo notevole e durissimo “Pietà”, a discapito di “The Master” di Paul Thomas Anderson, cantare a una esterrefatta platea “Ariran”.
Tendeva sempre a stupire Kim Ki-duk, fin dall’inizio, sia con “Ag-o” nel 1996 che nel 2000 con “L’isola”, altro film difficile, ma a suo modo anche divertente, che aveva molto colpito Alberto Barbera che lo volle in concorso a Venezia già nel 2000. Ci furono poi “Shiljie Sanghwang”, girato tutto in 200 minuto, “Indirizzo sconosciuto” del 2001, “Spring, Summer, Autumn, Winter... and Spring”, 2003, “La samaritana”, che vinse l’Orso d’Argento a Berlino nel 2004, “Ferro-3”, che molto piacque al pubblico italiano più snob.
Ricordo come reagirono i poveri critici al Lido di Venezia nel 2012 di fronte al suo “Pietà”, che andava avanti a martellate e coltellate su gambe e piedi, che già dal titolo e dal bellissimo manifesto cerca di rimandarci al capolavoro di Michelangelo.
La pietà a cui rimandava il film era quella che avrebbe dovuto mostrare Dio nei confronti di una società e di una umanità distrutta dal capitalismo e dall’inutile sogno di poter rimediare a tutto solo col denaro. Una umanità che sembrava non avere altro futuro che la morte e la distruzione.
Violentissimo, impiccagioni, amputazioni, stupri, al punto che dopo mezzora molti scappavano dalla sala. Il tutto ambientato in uno dei quartieri più degradati di Seoul, l’impronunciabile Cheonggyecheon, che era poi il quartiere dove era cresciuto il regista, che stava per essere assorbito dai ricchi centri commerciali della città.
Non ci faceva sconti Kim ki-duk. Rispetto a altri celebri registi della Corea del Sud, come Park Chan-wook o Bong Joon-ho, non si riteneva in grado di poter adattarsi al cinema più popolare e di cassetta.
“Penso di essere un elemento diverso da quei registi. Se loro sono più legno o metallo, io sono suolo. Loro potrebbero essere trasformati in qualcos'altro, ma io non posso. Non ho la capacità di trovare una via di mezzo con il mio pubblico, e lo so troppo bene.
spring, summer, autumn, winter... and spring
Ho girato 18 film e nessuno di loro aveva una via di mezzo. Penso che ciò sia dovuto principalmente al fatto che non ho studiato regia e non ne so molto di come si fa un film come loro. Non so altro a parte girare. Quindi il pubblico può scegliere se seguirmi o non seguirmi, e non li biasimo se scelgono di non guardare”.
Nato a Bonghwa in Corea del Sud nel 1960 aveva studiato Belle Arti a Parigi nei primi anni ’90 e era arrivato al cinema, quindi, non in maniera tradizionale. Pronto a colpire lo spettatore, per arrivare al cuore della sua ricerca, ebbe problemi su un film quando venne accusato da un'attrice di aver esagerato con le scene di sesso che la riguardavano ben oltre quello che era stato stabilito in sceneggiatura.
La grande platea dei cinefili di tutto il mondo si divise, ma in molti seguitarono però a vederlo come un maestro. Presentando “Moebius” nel 2013 era già chiaro che stava facendo un cinema violento e sessualmente forte. “Noi non siamo mai liberi dal desiderio fisico per tutta la nostra vita. E a causa di ciò, ci auto-torturiamo, maltrattiamo o diventiamo maltrattati. E nel mezzo di tutto questo si trovano i nostri genitali”.
In anni di femminismo e di #metoo il suo approccio alla sessualità creò non poco imbarazzo. Ma quello che realmente gli interessava era l’umanità, in tutte le sue distorsioni, che seguitò a essere il tema anche dei suoi film successivi, come “Il prigioniero coreano”, sui rapporti tra il sud e il nord della Corea o il recentissimo “Din” del 2019.
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