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Marco Giusti per Dagospia
“Arrivai al Marc’Aurelio che ero un ragazzetto, avevo sì e no quindici anni”, scrive Ettore Scola in quello che penso sia il suo ultimo articolo pubblicato, “Il passaporto per il cinema”, inserito in un interessante ma modesto “Agenda Marchesi” dedicato al grande umorista Marcello Marchesi che, assieme a Vittorio Metz, dette i primi lavori al giovanissimo Scola, che si firma qua “Ettore Scola (negro)” alludendo alla sua professione di sceneggiatore e gagman ombra per film firmati da altri autori.
Metz e Marchesi, scrive Scola, “lavoravano per Totò, Macario, Walter Chiari, Croccolo, Billi e Riva: tutti i film comici di quel periodo li scrivevano loro. (..) La prima battuta che piacque molto a Marcello era per Totò Tarzan: c’era una spedizione che andava nel fitto della giungla, la scienziata del gruppo era naturalmente un pezzo di fica, interpretata da Tamara Lees che era una Miss Italia, e Totò incontrandola la prima cosa che diceva era: ‘Io Tarzan, lei Cita, tu bona!’. Ecco questa piacque molto a Marcello e quello fu il mio passaporto per il cinema”.
In questi ultimi anni Scola è ritornato più volte agli anni del Marc’Aurelio e agli anni dei primi film comici scritti per i nostri grandi comici del dopoguerra. Come se da lì fosse nato tutto. Magari è proprio così. “Steno”, scrive ancora Scola a sostegno della tesi, “ha scritto una volta che nel Marc’Aurelio ci sono le radici sia del neorealismo, sia della commedia all’italiana. Sono d’accordo con lui: ci sono anche le radici di Fellini per esempio, tutto l’immaginario sulla donna viene in parte da Barbara ma molto di più da Attalo.
NAPOLITANO BARATTA ED ETTORE SCOLA A VENEZIA
In Roma di Fellini la pensione dove approda lui da giovane, Federico la fece costruire a Danilo Donati, scenografo del film, proprio sui disegni di Attalo. Quindi ci sono questi legami. Poi tutti siamo rimasti piuttosto legati al Marc’Aurelio. Anche nel mio film La famiglia c’è molto Marc’Aurelio. In generale credo che ci sia un senso del grottesco nei miei film e questo deriva dalla farsa comica di Metz e Marchesi che appresi durante gli anni della mia negritudine”.
In questi ultimi anni se Scola è riandato con la mente agli anni del Marc’Aurelio, io mi sono riaccostato ai suoi film, quando è capitato, proprio per risistemarlo nel grande scaffale della commedia all’italiana, in maniera credo storicamente più giusta. Mi è sempre sembrato, insomma, che lo Scola adorato da tutta una generazione di cineasti, da Virzì a Muccino a Sorrentino per C’eravamo tanto amati e Una giornata particolare, considerati da tutti come i suoi capolavori, non fosse mai stato visto dalla giusta angolazione.
VELTRONI INTERVISTA ETTORE SCOLA
Anche perché Scola arriva a quei film dopo una lunghissima gavetta di gagman per i grandi comici italiani, poi di sceneggiatore, in coppia con Ruggero Maccari, per i primi capolavori della commedia all’italiana, per Il sorpasso, I mostri, per i film meravigliosi di Antonio Pietrangeli, Adua e le compagne, La visita, Io la conoscevo bene. Il suo ruolo nella costruzione di questi film è, ovviamente, fondamentale.
Scola era un grandissimo sceneggiatore. I suoi primi film, però, non ci sembrarono riusciti come quelli di Monicelli, di Risi e di Pietrangeli. Se permettete parliamo di donne, La congiuntura, L’Arcidiavolo, non erano del tutto riusciti. Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? però, con la coppia Alberto Sordi – Bernard Blier e un ritrovato Nino Manfredi, era già un grande film, dove Scola ritrovava proprio quella verve da grande film comico e da vignetta del Marc’Aurelio.
Né Dino Risi né Mario Monicelli avrebbero potuto fare un film del genere, proprio per diversa formazione artistica. E perfino il grottesco alla Scola di Dramma della gelosia e, soprattutto, di Brutti, sporchi e cattivi, il suo grande film stracult, fanno parte di quel mondo sospeso fra Metz e Marchesi e le tavole di Attalo.
Ma il grande successo per la nostra critica, Scola lo ottiene quando cerca di fare i film politici o comunque a tentare l’innesto, riuscito, certamente, tra cinema di partito, il PCI, e la commedia all’italiana. Per questo i critici che avevano storto il naso di fronte alla nostra commedia più pura, penso a Lino Miccichè e a tutti quelli che stroncarono Il sorpasso, salutarono C’eravamo tanto amati e Una giornata particolare come dei capolavori.
Personalmente, ero troppo snob e troppo risiano per poter amare allora questi film. In fondo vedevo Scola come una sorta di Guttuso del cinema. Anche se non sono mai riuscito a farmi piacere questi due film, ero davvero troppo distante da loro e forse troppo prevenuto, come magari lo sono oggi nei confronti de La grande bellezza, ho amato Scola nelle sue cose considerate minori, i film a episodi con Risi e Monicelli, I nuovi mostri, ad esempio, l’incredibile finale con il funerale del comico interpretato da Alberto Sordi.
Questo è un vero capolavoro, nella più pura chiave da Marc’Aurelio. O certi episodi di Signori e signore buonanotte. O Brutti, sporchi e cattivi, che è davvero il suo capolavoro comico. Ma non mi erano granchè piaciuti i suoi film con Mastroianni e Troisi, Splendor e Che ora è?, non mi erano piaciuto né l’ambizioso Le bal né Maccheroni, solo in parte La terrazza e La famiglia, ma erano troppo retorici per me e per tutta una parte di critica. Negli anni della decadenza di Risi e Monicelli, la fortuna critica di Scola cresceva, ma forse andrebbe organizzata una rilettura sia dei film di Risi e Monicelli considerati minori (penso a un capolavoro come Mordi e fuggi), sia di quelli di Scola considerati maggiori.
ETTORE SCOLA LIVIA AZZARITI MIMMA NOCELLA
Ma, alla fine, aveva ragione Scola a considerare la chiave del Marc’Aurelio, quella da cui neorealismo, commedia e Fellini nascevano, come la chiave giusta per capire anche i suoi film. Che non era, allora, la chiave della commedia maggiore, ma proprio quella della commedia minore, non esplicitamente politica, ma più bozzettistica e più di pancia. Scola, insomma, è un regista e un autore che andrebbe ristudiato e rivisto proprio al di fuori delle polemiche sulla commedia e sul cinema politico.
E ristudiato a partire dalle sue origini di gagman, umorista e sceneggiatore. Come indicava lui stesso nei suoi ultimi film, penso a Concorrenza sleale piuttosto che al curioso Come è strano chiamarsi Federico, dove si torna proprio al Marc’Aurelio.
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