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SIAMO UN PAESE DI PIPPE - ITALIA SENZA TALENTI: BATTUTI ANCHE DAL COSTARICA! - MISTER ADECCO: “ANCORA TROPPA BUROCRAZIA. IL POSTO FISSO? NEGLI USA IL 30% DEI GIOVANI NON VUOLE PIÙ AVERE UN LEGAME A VITA CON UN'AZIENDA"

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ALAIN DEHAZE ADECCO TALENTIALAIN DEHAZE ADECCO TALENTI

Beniamino Pagliaro per “la Stampa”

 

Il più grande datore di lavoro del mondo dice che l' Italia ha fatto qualche passo avanti, ma serve molto di più per attrarre talenti e non arretrare. Alain Dehaze, belga, 52 anni, è da settembre alla guida di Adecco, la più grande azienda di risorse umane del pianeta, che connette oltre 700 mila lavoratori a migliaia di aziende.

 

Sulla strada per Davos, Adecco pubblica un indice globale della competitività dei talenti, e l' Italia è zavorrata al quarantunesimo posto, dopo il Costa Rica, lontana da Germania (14) e Francia (22) e anche dietro Spagna (36) e Polonia (38).

È stato un inizio d' anno complicato e negativo per i mercati: l' economia globale ha riscoperto le preoccupazioni. Vedete questi timori?
«È vero, c' è la Cina, il petrolio, ma dall' altro lato ci sono Paesi e in particolare l' Eurozona che si sta riprendendo, e questo controbilancerà le difficoltà di grandi Paesi come Cina, Brasile o Russia».

Non serve andare nel panico per la situazione di questi giorni?
«Esatto».

 

Il problema maggiore resta però il lavoro. L' Italia non è più in recessione ma il tasso di disoccupazione è oltre l' 11%. Come rispondere?

TALENTI IN FUGATALENTI IN FUGA

«Nel Global Talent Competitiveness Index (Gtci) l' Italia si è classificata al quarantunesimo posto e va confrontata per esempio con la Spagna o la Francia. L' Italia è un ottimo posto per far crescere i talenti, ha un buon sistema educativo, una buona professionalità dei lavoratori, è famosa per la creatività, l' innovazione e la qualità.
 

Tutto questo è percepito, ma ci sono anche delle barriere, per esempio la burocrazia, che possono frenare gli investimenti, anche stranieri, e la competitività. L' Italia deve continuare a riformare il Paese e ha bisogno di stabilità politica».
 

Come giudica la riforma del lavoro?

«Sono certo che il Jobs Act rappresenti un ottimo punto d' inizio, ma si deve continuare. Oltre all' educazione, la mobilità è davvero importante per essere attrattivi. Se guardiamo alle università, la gran parte degli atenei insegna soltanto in italiano, e allora è davvero difficile attrarre i talenti internazionali. Se l' Italia vuole ridurre la disoccupazione e in particolar modo la disoccupazione giovanile, deve lavorare su questi parametri».

Negli ultimi giorni in Italia si è parlato molto del mitico "posto fisso", anche grazie a un film molto popolare. Dal suo punto di osservazione i giovani italiani desiderano davvero il posto fisso o no?
«Oggi negli Stati Uniti il 30% dei giovani sono "free lance", persone che non vogliono più avere un legame impegnativo a vita con un' azienda, vogliono fare più esperienze. Questo trend sta arrivando anche in Europa: non è ancora al livello degli Stati Uniti ma sta crescendo ogni giorno, e anche in Italia vale lo stesso.

 

È quindi importante per i governi mettere subito in campo un quadro legislativo che garantisca la flessibilità e anche la sicurezza che noi chiamiamo flexicurity.

ZALONE QUO VADO TALENTIZALONE QUO VADO TALENTI

 

I contratti che abbiamo sviluppato in Italia fanno proprio questo: abbiamo già settemila lavoratori con contratto a tempo indeterminato in Staff Leasing. Questo dà sicurezza ai lavoratori e allo stesso tempo una flessibilità alle aziende, i nostri clienti, perché per esempio i lavoratori si possono spostare da un' azienda a un' altra. Ora stiamo facendo lo stesso in Francia».

In un mondo digitale e orizzontale, quanto pesa ancora la geografia? Quanto conta essere nati in un Paese o in un altro?
«Il gap tra Paese e Paese si sta riducendo a causa della digitalizzazione. Trenta o quarant' anni fa le persone emigravano per cercare il lavoro. Negli ultimi dieci o vent' anni, è cambiato tutto: il lavoro si spostava dove erano i talenti, abbiamo visto industrie e aziende che si spostavano. Oggi, invece, grazie all' economia digitale, le persone possono lavorare ovunque. La domanda di lavoro può essere soddisfatta anche da un' altra parte del mondo, quindi la geografia è sempre meno rilevante».

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