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Annalisa Grandi per Corriere.it
Harvey Weinstein è uno dei nomi eccellenti di Hollywood. Uno dei produttori più potenti del mondo del cinema: lui, insieme al fratello ha fondato la Miramax (poi ceduta a Disney) la casa cinematografica dietro «La vita è bella», «Will Hunting- Genio Ribelle».
E ancora c’è lui dietro «Shakespeare in Love», sei Oscar tra cui quello per il miglior film, e «Pulp Fiction», giusto per citarne alcuni. Da sempre sul suo nome le voci si rincorrono, sulle molestie alle attrici, sulle richieste di prestazioni sessuali in cambio di una parte nei film.
HARVEY WEINSTEIN E TRUMP CON SIGNORE
Il «New York Times» ha messo insieme carte e testimonianze e aperto il vaso di Pandora: trent’anni di abusi, trent’anni di denunce (rimaste sotto silenzio), di donne che hanno raccontato di aver subito avances o di essere state costrette a rapporti sessuali con lui.
Di lui, ha parlato anche il presidente americano Donald Trump, che accanto a Weinstein fu immortalato nel 2009, con Melania e la moglie del produttore: «Lo conosco da molto tempo - ha detto il capo di Stato Usa ai reporter - Non sono affatto sorpreso». Imbarazzo fra i democratici: Weinstein è da sempre fervente sostenitore di cause e candidati del partito.
Trent’anni di molestie Weinstein, dopo aver sguinzagliato i suoi legali, ha querelato il quotidiano ma anche pubblicato una sorta di lettera di scuse: «Sono cresciuto in un’epoca diversa», ha detto, spiegando di volersi sottoporre a un percorso terapeutico «Sono consapevole che il modo con cui mi sono comportato con alcune colleghe in passato ha causato molto dolore e chiedo scusa».
Il produttore ha deciso di lasciare la società che ha co-fondato e che porta il suo nome «a tempo indefinito». Con lui altri tre membri del board. Sono almeno otto le donne, scrive il «New York Times», con cui Weinstein, sposato dal 2007 con una stilista e padre di due figli, avrebbe raggiunto accordi extragiudiziali per «mettere a tacere le accuse».
Tra loro «una giovane assistente a New York nel 1990, un’attrice nel 1997, un’assistente a Londra nel 1998, una modella italiana nel 2015». Ad accusarlo però ci sono anche nomi di spicco del panorama cinematografico: Rose McGowan e Ashley Judd, il produttore l’avrebbe invitata all’hotel Peninsula di Beverly Hills per un «incontro di lavoro».
harvey weinstein con la moglie
Ma all’arrivo dell’attrice, l’avrebbe fatta salire in camera e chiesto di fargli un massaggio o guardarlo mentre si faceva la doccia. Ancora, anni dopo, nel 2014, all’attrice Emily Nelson avrebbe promesso un aiuto nella carriera se avesse accettato le sue proposte sessuali.
Il silenzio delle altre attrici Un’inchiesta, quella del «New York Times», che ha fatto esplodere quello che pare a Hollywood in molti sapessero e da tempo. «La sapete la storia della rana e dello scorpione - ha detto tempo fa Matt Damon parlando di Weinstein - Lo scorpione promette alla rana che non le farà del male, ma alla fine se la mangia. La rana gli chiede perché e lui risponde perché sono fatto così, sono uno scorpione.
Ecco, Harvey è lo scorpione». E mentre il dossier rimbalza su tutti i media, le attrici tacciono. Pochissime hanno espresso pubblicamente la solidarietà alle vittime delle molestie. Tacciono Meryl Streep , Nicole Kidman e Gwyneth Paltrow, tutte e tre sempre schierate a favore delle donne vittime di abusi, ma tutte e tre vincitrici di Oscar per aver interpretato film prodotti dalla Weinstein Company.
L’imbarazzo di Obama e dei democratici Alcuni politici, democratici, hanno invece deciso, dopo la diffusione delle carte, di donare a associazioni che si occupano di donne abusate i soldi ricevuti da Weinstein a supporto delle loro campagne elettorali.
Ma le accuse nei confronti del produttore creano non poco imbarazzo, secondo il «New York Times», anche all’ex presidente Barack Obama e ai coniugi Clinton. Weinstein è da sempre infatti un grande donatore dei democratici: dal 1990 risultano superare il milione e 400mila euro le donazioni a favore dei candidati dem.
Non solo: molto vicino alla famiglia Obama, in particolare a Michelle, il produttore venne definito dall’ex first lady «Un essere umano meraviglioso e un buon amico». E Malia, la primogenita degli Obama, ha lavorato per un periodo presso la sede di New York della casa di produzione. Imbarazzo anche per i Clinton, lo scorso anno Weinstein aveva organizzato nella sua casa di Manhattan una cena per raccogliere fondi a favore della campagna elettorale di Hillary.
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