
DAGOREPORT – MACRON, DOMANI CHE DECIDERAI: SCIOGLI IL PARLAMENTO O RASSEGNI LE DIMISSIONI…
“CELENTANO? UN AMICO E UN GRANDE ARTISTA CHE NON HA PAURA DELLE BIZZARRIE” – PAOLO CONTE RACCONTA UN ANEDDOTO SUL “MOLLE-AGIATO”: “UNA VOLTA MI INVITÒ NELLA SUA VILLA NEL VERDE TRA COMO E MILANO, DOVE ORMAI RISIEDE STABILMENTE. UN POSTO INCREDIBILE, FANTASIOSO, CON RIPRODUZIONI DI ROVINE. HA ANCHE RIDIPINTO DELLE PIETRE, MA NON A COLORI, LE HA RIDIPINTE DA...PIETRE. FACEMMO CHILOMETRI A PIEDI, ERO STANCHISSIMO, LUI PER NIENTE. ALLA FINE COMINCIAMMO A PARLARE DI RELIGIONE E SE NE USCÌ CON UNA METAFORA CHE NON DIMENTICHERÒ MAI. MI DISSE CHE SECONDO LUI IL PARADISO È…” – "IL CANTAUTORE PIÙ BRAVO ERA JANNACCI. UNA VOLTA SI BUTTÒ A TERRA, MENTRE INCIDEVA "MESSICO E NUVOLE", E LA VOLLE FARE PER INTERO COSÌ, A PANCIA IN SU" - ORNELLA VANONI CHE CARPISCE I SEGRETI DELLA MADRE, LO STUDIO DA AVVOCATO E LA MUSICA IMPARATA DA AUTODIDATTA… - VIDEO
Estratto dell'articolo di Roberta Scorranese per il “Corriere della Sera”
documentario paolo conte alla scala: il maestro e nell’anima 3
Asti. Un pomeriggio color avorio, di fine settembre. Sul campanello in ottone una scritta: «Avv. Paolo Conte». Un corridoio spartano, poi uno studio d’altri tempi, una luce bassa e sedie alte, imbottite. Tutto pare venire da un altrove, o, meglio, da un «ailleurs» come dicono i francesi.
Questo è il suo storico studio legale?
«Sì, lo studio della mia vita precedente, quella di avvocato».
Alcune sue canzoni sono nate qui?
«Difficile dirlo. Qualcuna nasce da una musica improvvisa, qualcun’altra da una rima, altre ancora da uno sguardo alla finestra, quando noti una scena di varia umanità».
Curioso che le canzoni più colorate della musica italiana siano nate in uno studio di Asti, città «con la pioggia che ci bagna».
«No, anzi. Sono nate qui proprio perché noi i colori ce li dovevamo immaginare. Come ci dovevamo immaginare il mare, il sole, le voci allegre e la parlantina sciolta di Genova».
[…] Azzurro, la Topolino amaranto, la verde Milonga. Un musicista dei colori come lei non poteva non essere anche pittore.
«Quando qualcuno mi chiama “artista” o “pittore”, lo sa che faccio? Quello che ho fatto per un’intera vita nelle canzoni: parlo d’altro».
Di macachi e Timbuctù.
«È una forma di pudore, parlare del presente non mi si addice».
Come nascono espressioni come «calma tigrata», «il suo sguardo è una veranda»?
«Dalla poesia. Ho cominciato con la lirica greca: una volta da ragazzo su una rivista femminile dimenticata da mia madre lessi una poesia di Seferis. Poi arrivò Kavafis, quindi mi spostai su Campana, Sbarbaro e Montale. Sono stato e sono un divoratore di versi»
Matite, pennelli, acquerelli. Il Paolo Conte pittore è sfuggente come il cantautore.
«È più comodo, è più elegante. Ma tengo anche agli aforismi che accompagnano le mie mostre, oltre che ai titoli delle opere».
Asti ora gliene dedica una, gigantesca, a Palazzo Mazzetti: «Paolo Conte Original», oltre centoquaranta opere — tutte su carta — che coprono settant’anni d’arte.
«Ci sono anche i primi disegni. Era il 1957, avevo vent’anni e volevo fare il medico».
[…] Primo strumento?
«Un trombone. Ne amavo il ruggito».
E poi?
«Comprai un vibrafono, anzi me lo comprò un amico, fece delle cambiali che io poi rimborsavo. Fu con quello che carpii il primo vero grande applauso. Ricordo bene: un club torinese, gente che se ne intendeva».
I titoli dei disegni: «Sagome di mannequins che ancheggiano», per esempio. «“Ancheggiano, si sporgono e poi sbandano. Come consuetudine. E beatitudine”».
[…]
Paolo Conte Original - mostra a palazzo mazzetti - asti
Ogni nota ha un colore?
«Sì, il do è bianco sporco, il re bemolle è nero, il fa è rosso, il mi bemolle è azzurro, il re naturale è marron».
«Marron» come il tinello di quello che aveva il Mocambo?
«Sì. Nella saga del Mocambo avevo in mente una figura umana ben precisa, l’uomo del secondo Dopoguerra che fa sogni più grandi delle sue possibilità. E che quasi sempre fallisce, nella derisione generale».
Dopo la guerra si sognava in grande?
«Forse troppo. C’era l’euforia del ritorno alla vita, della ricostruzione. Se avessi potuto scegliere un attore per interpretarlo in un film, avrei scelto un felliniano minore, Franco Fabrizi, per esempio. Nella canzone c’è anche il curatore fallimentare che, bonariamente, offre un caffè a quel povero cristo. Nella mia carriera di avvocato mi sono occupato anche di fallimenti: sapesse quanti caffè ho offerto».
Un ricordo della guerra.
«L’odore».
Com’era?
«Bianco sporco».
Le bombe.
«Ricordo di più la fine della guerra. Un mattino mia madre ci svegliò alle sei. Ci fece affacciare alla finestra: sfilavano i soldati in ritirata, mesti e dall’aspetto innocuo. “Bei ragazzi”, disse. E chiuse le imposte».
La guerra torna anche nella sua bellissima «Nottegiorno».
«Fu incredibile. Dopo settimane di oscuramento, dopo intere notti a luci spente, una sera vidi le case illuminate. Fu come se le vedessi per la prima volta».
Sfrecciando sulla Topolino Amaranto, un tipo porta a spasso una bionda tra le macerie di un’Italia ferita dalla guerra.
«Non è un andare “altrove” anche quello? Che non è una fuga, perché c’è sempre un colore di malinconia, ma è l’ailleurs dei francesi. Un’altra dimensione, quella dell’arte».
[…] «Il maestro». A chi è ispirata?
«In generale, mi affascinano le figure dei grandi come Verdi o von Karajan. Ma in quel brano pensavo ad Arturo Benedetti Michelangeli, maestro che per un periodo lasciò l’Italia, credo per polemica contro alcune scelte governative, e quando i discepoli andavano a trovarlo lui spesso ha rifiutato di incontrarli».
Nei suoi dipinti vedremo tante brune. Ma nelle canzoni ci sono le bionde: la spudorata di «Avanti bionda», la donna della Topolino.
«La bionda è la donna delle canzoni dei soldati, quella dei complimenti che un tempo si facevano per strada, la “bionda” è una metafora, forse una condizione dell’anima».
Perché «le donne odiavano il jazz»?
«Perché c’è stato un tempo, ormai per fortuna trascorso, in cui le donne venivano tenute lontane dalla musica jazz e così non lo capivano, anzi, come dice la canzone con un rimando all’enigmistica, “non si capisce il motivo”. Il jazz era come Hemingway e Bartali: un invito a smontare l’involucro per capire i meccanismi nascosti, una cosa da maschi».
[…] Pavese o Fenoglio?
«Ho sempre risposto Pavese, perché quello che ha scritto, e ha scritto tanto, mi piace di più. Anche se Un giorno di fuoco di Fenoglio è un capolavoro. Però negli anni ho affinato una affettuosa critica verso Pavese: una volta diventato “cittadino” e torinese è tornato qui da noi, in provincia, a cercare la sua mitologia. Ma come?, mi viene da dire: la nostra mitologia campestre la conosciamo solo noi».
Hemingway.
enzo jannacci – vengo anch’io 2
«C’è stato un periodo, forse da giovane, in cui ero convinto di ispirarmi a Francis Scott Fitzgerald. Poi no, poi ho capito che quello che mi piaceva davvero era Hemingway. Più terra-terra, meno vanitoso, più scabro».
[…] Forse […] la provincia è una specie di lente d’ingrandimento umana.
«Sì, è qui che risaltano le figure più autentiche, come il curatore fallimentare, la donna di costumi allegri, l’imprenditore che fa sogni troppo grandi. È qui che nasce un linguaggio più largo di una lingua».
È per questo che milioni di francesi cantano le sue canzoni?
«Ma non capiscono mezza parola!».
Cioè?
«Secondo me non capiscono le parole, ma afferrano il senso profondo. Una volta France 2 mi chiese un brano per accompagnare un filmato pieno di dolore e vollero “Come Di”, cioè quella che riprende la parola “comédie”. Io, sbigottito, chiesi perché proprio quella e loro mi risposero centrando in pieno il cuore della canzone: “Perché parla degli addii”».
L’addio più doloroso della sua vita?
«Mia madre. Ma non faccio classifiche».
Forse perché sua madre una volta ha pianto ascoltando le sue canzoni?
«Per motivi miei».
Cinquant’anni fa ha sposato Egle Lazzarino.
«Era la mia segretaria. Un grande amore».
[…] La voce femminile più bella.
«Ne dico tre: Vanoni, Caselli, Pravo».
Mina?
«Anche».
Ornella Vanoni.
«Per anni è venuta in visita a casa nostra, un’amica. Un giorno sparì nel salotto con mia madre. Più tardi scoprii che Ornella era riuscita a carpirle parecchie confidenze».
Patty Pravo.
«Un’artista completa».
Il cantautore italiano più bravo?
«Enzo Jannacci. Un grande amico. Una volta, mentre incideva “Messico e nuvole” in studio, si buttò a terra e la volle fare per intero così, disteso sul pavimento, a pancia in su».
paolo conte con la moglie egle
[…] «Azzurro» è forse la sua canzone che ha viaggiato di più: solo se pensiamo a tutte le volte che l’abbiamo cantata in gita.
«Celentano. Un amico e un grande artista che non ha paura delle bizzarrie».
Aneddoto, aneddoto.
«Una volta mi invitò nella sua villa nel verde tra Como e Milano, dove ormai risiede stabilmente. Un posto incredibile, fantasioso, con riproduzioni di rovine. Ha anche ridipinto delle pietre, ma non a colori, le ha ridipinte da...pietre. Comunque, volle farmi vedere tutto e facemmo chilometri a piedi, ero stanchissimo, lui per niente. Mi distrusse! Alla fine cominciammo a parlare di religione».
adriano celentano a fantastico 1987
Una delle ossessioni di Adriano.
«Era da poco morto mio padre, io ero restio a discutere di massimi sistemi, mi veniva da piangere. Poi però lui se ne uscì con una metafora che non dimenticherò mai. Mi disse che secondo lui il paradiso è “un cavallo bianco che non suda mai”».
Lei sa, vero, qual è la prossima domanda?
«Che cosa è per me il paradiso?»
Sarà quella successiva. Voglio prima chiederle se secondo lei, che ha attraversato quasi novant’anni, oggi diamo per scontati dei concetti come «pace» e «democrazia».
«Domanda difficile».
È rivolta all’artista, non all’uomo.
«Parliamo tanto di pace, ma sappiamo che cosa è la pace? L’abbiamo mai vissuta davvero?»
Ora il paradiso. Come se lo immagina?
«Preferisco dire l’aldilà. Che cosa posso rispondere? A mano a mano che invecchio non so se nell’aldilà davvero avrò voglia di fare chissà che cosa. Speriamo che almeno sia un posto tranquillo».
Che cosa è Dio per lei?
«Qualche volta c’è, qualche volta no».
Che cosa la fa soffrire?
«Il pensiero di perdere la salute».
E che cosa le dà più gioia?
«Una cosa che voglio spiegare bene: ogni tanto assaporo brevi momenti di serenità. Sono leggeri, vanno via presto, ma a volte riesco a prenderli. A riconoscerli. E allora, sì, qualche volta sono felice».
derby club Ernst Thole Diego Abatantuono Enzo Jannacci Mauro Di Francesco Giorgio Porcaro Massimo Boldi e Giorgio Faletti
Paolo Conte Original - mostra a palazzo mazzetti - asti
paolo conte in una scena del film di giorgio verdelli
paolo conte ph rolling stone 2
Paolo Conte Original - mostra a palazzo mazzetti - asti
paolo conte
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