VIVA PAOLO GUZZANTI! - "SONO ISLAMOFOBICO: PER I PAESI ARABI MI AUGURO LE DITTATURE PIÙ FEROCI - PERCHÉ É STATO AMMAZZATO FALCONE? LO VOLEVO CHIEDERE A MIA FIGLIA SABINA DOPO AVER VISTO IL SUO FILM - RENZI? PEGGIO DEL CAV" - STASERA DEBUTTO A TEATRO

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Malcom Pagani per il “Fatto Quotidiano”

   

PAOLO GUZZANTIPAOLO GUZZANTI

''A Guzzà, ce lo sai che er direttore tuo te stima? Gli ho detto: ‘Eugè, mica puoi mandà uno stronzo qualunque, qui se tratta de ‘na cosa delicata’”. 27 Febbraio 1980. Paolo Guzzanti intervista per Repubblica di Scalfari, Franco Evangelisti, ministro della Marina Mercantile. “Un uomo piccolo, bruno, con l’aria un po’ da bullo, braccio destro di Andreotti”.

 

Il ministro fece sedere il giornalista e iniziò: “C’è una cosa importante che te devi mette in testa, devi sapè che qui avemo rubato tutti”. E raccontò. Dei rapporti tra partiti e imprenditori. Dell’intero arco costituzionale foraggiato a suon di milioni.

 

Di Gaetano Caltagirone che – secondo Evangelisti – era incline ad andare al sodo senza preamboli eccessivi: “A Frà, che te serve?”. Da quell’antico colloquio, Guzzanti ha tratto uno spettacolo teatrale dai tratti allegri, intimi, eccessivi e platealmente autobiografici. Tra memorie del dopoguerra e incontri al limite del lecito, in conversazione continua con l’Evangelisti di allora: “Ah Guzzà e mò basta, stai ancora qui a rompe i cojoni su ‘sta storia di 250 anni fa, mò falla finita” da oggi al 29 marzo al Brancaccino di Roma, Paolo Guzzanti mette in scena La ballata del prima e del dopo. Ogni riferimento, in questo caso, non è puramente casuale.

   

Perché riesumare Evangelisti, Guzzanti?

   Perché quell’antica intervista è di per sé un pezzo di autentica comicità e perché mi piace immaginare Evangelisti come un Candide. Un uomo linciato non perché aveva dichiarato con tre lustri di anticipo che i partiti prendevano la stecca dagli imprenditori che a loro volta li ricattavano, ma perché per dirla alla Agnelli, si era mostrato volgave. Inopportuno.

   

Quell’intervista non passò inosservata.

Paolo Guzzanti Paolo Guzzanti

   Scalfari mi mandò per fare da pompiere e mettere le cose a tacere, ma io raccolsi questa straordinaria confessione ‘amo rubbato tutti, j’avemo levato i sordi’ e decisi di renderla pubblica. Tornai a casa, c’erano Sabina e Corrado, allora adolescenti. Gli raccontai i dettagli: ‘adesso la scrivi esattamente così’, dissero.

   

E lei ubbidì.

   La portai di contrabbando in tipografia perché nessuno la vedesse. Uscì e scoppiò il casino.

   

Eugenio Scalfari Eugenio Scalfari

Politici alla Evangelisti non esistono più?

   Oggi ti accorgi di colpo che una metà dell’umanità è sparita ed è tornata un’altra metà che non conoscevi. Forse i politici di oggi erano agenti in sonno del Kgb già all’epoca? O, vista l’anagrafe dei tanti quarantenni sulla scena, addirittura neonati del Kgb? (Ride).

 

   Giorgio Dell’Arti sosteneva che solo a Roma, nel ’76, ci fossero 15.000 spie. Giuliano Ferrara ha rivendicato con orgoglio di essere stato tra loro.

   Ma quella è una sbruffonata. Una cosa ridicola. Spia, capirai. Ferrara andava ai giardinetti con uno della Cia e gli passava un suo articolo.

   

Ferrara spiccava tra le sue imitazioni preferite. In buona compagnia tra Sandro Pertini, Flaminio Piccoli e Gianni Minà.

   Una sera a casa di Minoli, prima di chiamare per scherzo ministri e deputati imitando la voce di Pertini, usammo Gianni Minà come cavia. Gianni era il nostro ballon d’essai. ‘Gli telefoniamo, gli diciamo le cazzate più pazzesche e se lui ci casca, proseguiamo’.

   

E Minà ci cascò?

   Chiamammo: ‘Buongiorno, qui è il Quirinale, le passo il presidente’. Minà si emozionò. Al mio Pertini feci dire cose demenziali: ‘Domani parto per l’America Latina e ho bisogno di mappe a colori’. Mappe. Minà si mise a farle e ignaro della beffa, si presentò al Quirinale. Scherzo memorabile.

Ritratto di Paolo Guzzanti da La StampaRitratto di Paolo Guzzanti da La Stampa

   

Pertini lo imitava spesso.

   Anche troppo. Il giorno dopo, Mauro Bene, vicedirettore di Repubblica, mi accolse terreo in redazione: ‘Per caso ieri sera hai telefonato qui imitando Pertini?’. ‘No!’. Fui felice di poter negare. Pertini però, il vero Pertini, in redazione aveva chiamato davvero. Incontrando la furia del caporedattore Franco Magagnini: ‘E nun rompe i coglioni, Guzzanti, vedi d’andà affanculo’.

   

In agosto lei avrà 75 anni.

   Scopri sul calendario la verità, dici porca puttana, e poi, molto più in là con la riflessione non vai.

Eugenio Scalfari Eugenio Scalfari

   

Si è speso molto. Ha lavorato in tante diverse vesti, ha messo al mondo sei figli.

   Ma i figli non fatichi a farli. Con la prole americana intrattengo lunghe conversazioni su Skype, con quella italiana mi frequento a ondate. Non parliamo di loro, sono suscettibili.

   

Ci ha litigato spesso?

   Mai per ragioni serie e mai per la politica. Ai tempi in cui ero berlusconiano, qualcuno regolarmente provocava Sabina: ‘Tu padre sta con Sirvio, tu come risponni?’. Lei era serafica: ‘Non toccate il mio papà’.

   

Per qualcuno lei è pazzo.

   Avevo una madre che era matta con tutte le ruote e regolare non sono neanch’io.

Paolo GuzzantiPaolo Guzzanti

Volevo diventare psichiatra, un indizio di pazzia c’è.

  

 L’ha aiutata a navigare meglio?

   Mi ha portato solo danni, poi uno li affronta, si diverte, li converte in vantaggi. La gente è attaccata ai cliché. Ti deve definire. Vuole sapere se sei di destra o di sinistra. Non ha autonomia mentale. Il tema mi ha profondissimamente rotto i coglioni, una noia che non so dirle.

   

Capita di voler definire un’identità.

   Un mio vecchio caporedattore mi diceva sempre: ‘Io vojo sapè con che maglietta giochi’.

   

Marianna Jensen e Paolo Guzzanti Marianna Jensen e Paolo Guzzanti

Esiste anche la libertà di cambiarla.

   Scalfari lo chiamava libertinismo intellettuale. Era stato monarchico, liberale, radicale, socialista, comunista e democristiano. Un metamorfismo da applausi a scena aperta.

   

Vi conoscete da più di 40 anni.

   Scalfari arrivò in Parlamento grazie al segretario del Psi Mancini. Nonostante lui e Lino Iannuzzi fossero stati condannati per il caso Sifar ai tempi de L’Espresso, Mancini, come si usava all’epoca, aveva deciso di metterli in lista e garantirgli l’immunità. Scalfari fu eletto a Milano e si accodò a Giovanni Mosca, acerrimo nemico di Craxi. A entrare in conflitto con Bettino, Eugenio impiegò un amen. Una guerra così violenta che pur senza prove, sospettai che si trattasse di una questione di donne.

   

Per una galanteria, Scalfari finì nei guai di fronte alla stazione di Milano.

BEPPE GRILLO SANDRO PERTINI ANTONIO RICCI BEPPE GRILLO SANDRO PERTINI ANTONIO RICCI

   Tornava dal mare in calzoncini corti ed era andato a prendere una signora. Arrivò un vigile urbano: ‘Questa macchina qui non può sostare, mi faccia vedere la patente’. Lui la tirò fuori. Era piena di sabbia. Il ghisa si irrigidì: ‘È scaduta, non si legge’. Allora Eugenio si incazzò: ‘È valida, mi dica almeno perché io non posso parcheggiare qui e lei non fa nulla per rimuovere quell’altra vettura in divieto di sosta’.

 

La risposta del pizzardone lombardo: ‘È quella del prefetto’ non migliorò la situazione: ‘Se lui è Prefetto, io sono parlamentare della Repubblica’. Lo portarono in questura. Craxi lo venne a sapere e si fiondò in via Solferino. Il Corriere della Sera uscì con un titolo chiaro: ‘Lei non sa chi sono io’. Scalfari si rovinò.

   

È vero che anni dopo si sdraiò per terra allo scopo di impedirle di migrare al Corriere?

PAOLO GUZZANTI PAOLO GUZZANTI

   Verissimo. Quando Ostellino mi chiamò per assumermi, stavo andando a Varsavia per Repubblica. Gli dissi sì e promisi: ‘Chiudiamo dopo il mio viaggio polacco’. Non volevo rinunciarci. Erano anni stupendi in Polonia, pieni di insidie, di spie e di meravigliose mignotte. Mi ero invaghito di una di loro, la moglie di un viceministro locale. Le feci la corte, il marito si incazzò e poi vennero insieme in camera mia, per far pace, portandomi cibo e bevande.

 

Mi risvegliai drogato e derubato. Tornai faticosamente in Italia non prima di aver ricevuto a Varsavia un telegramma di Scalfari: ‘Sono stato a Milano, non una parola di più’. Al ritorno trovai Scalfari a colloquio con Rocca. Fingeva che non ci fossi: ‘Hai capito? Guzzanti ci vuole lasciare per andare a Milano da quegli stronzi. Glielo impedirò. Dovrà passare sul mio corpo’. Si sdraiò per terra. Al Corriere non andai più.

   

GIANNI MINàGIANNI MINà

Gli italiani del 2015 le piacciono?

   Degli italiani ho una pessima opinione. Ne i Promessi sposi, nel Pinocchio di Collodi e nel Discorso sul carattere degli italiani di Leopardi c’è tutto. Viltà, ingiustizia, servilismo.

   

Cose che detesta?

   Il fazismo. È il trionfo, anzi l’apoteosi della banalità travestita da intelligenza. Tutti quelli che si nutrono di fazismo, poi inevitabilmente pensano di essere molto furbi, arguti e sofisticati. Il capitano di questa via italiana all’ovvietà è Massimo Gramellini. Mai un esperimento, un lampo di coraggio, un gesto dirompente. Lo conosco fin dai tempi de La Stampa. Era diverso. A forza di saziarlo di gratificazioni per aver espresso in serie opinioni mediocri lo hanno trasformato.

   

Ha spesso denunciato l’incapacità di domandare dell’informazione italiana.

   Nessuno ha mai chiesto per quale cazzo di motivo abbiano ammazzato Falcone. È quello che volevo chiedere a Sabina quando ho visto il suo film. Formalmente è bellissimo, però se diciamo che la mafia è soltanto Dell’Utri, Mangano e quattro sgallettati di pentiti, te saluto core. Lì ci sono sottolivelli nascosti di impunità infinitamente più subdoli di quelli emersi.

renzi con la bandana in testa come berlusconirenzi con la bandana in testa come berlusconi

   

Lei crede alla Trattativa Stato-mafia?

   Certo. C’è stata. Questo è un paese mafioso che con la mafia ha sempre trattato. È nato con la mafia e con l’invasione della Sicilia di Cosa Nostra. All’epoca si chiamava la Mano nera e il suo capo, come appresi su un’enciclopedia del crimine consultata a New York, era il celebrato Francesco Saverio Nitti. Mafia e camorra hanno sempre dominato. Il Regno di Napoli fu concesso dalla camorra. I piemontesi erano sbalorditi. Non avevano nessuna intenzione di prendersi il sud di Italia e tantomeno la Roma papalina e si ritrovarono a gestire questo peso gigantesco.

 

Quando gli alleati sbarcarono in Sicilia nel ’43 pensarono – stronzamente perché non ce n’era nessun bisogno – di portarsi dietro gli ergastolani di Sing-Sing, i peggiori gaglioffi della Mafia italo-americana. Messi nei posti chiave, diventarono tutti democristiani e quindi, come vede, eccoci qua. Senza verità. Sulla mafia come su Aldo Moro.

   

Dubita anche dell’inchiesta Moro?

MOROMORO

   Quale inchiesta? Non hanno mai individuato quell’unico terrorista che in via Fani parlava una lingua incomprensibile e uccideva chirurgicamente. Nell’affaire Moro erano certamente coinvolti i Caetani, ma poi tra leggende e depistaggi, la situazione complessiva si dimostrò difficile da decrittare. Pensi che durante il rapimento, dalla cassaforte del ministro della Difesa, sparirono documenti top secret.

 

A Moro ucciso, puntualmente, ricomparvero. Moro era sicurissimo di essere salvato. Non accadde e a Cossiga, che aveva messo in piedi la trattativa per salvarlo, venne la vitiligine. Non perché un caro amico era morto, ma perché lui e Andreotti si erano venduti tutte le possibili promesse e dalle Br erano stati pure inculati.

   

Le Br erano eterodirette dai servizi?

uomo della scorta di aldo moro assassinato roma 16 march 1978 uomo della scorta di aldo moro assassinato roma 16 march 1978

   Senz’altro. Durante l’inchiesta Mitrokhin, andai con la commissione dal procuratore generale ungherese che mi aveva detto: ‘Sulle Br abbiamo tutto’. La delegatjia italiana fu ricevuta alla maniera sovietica: puzza di varichina e tè schifosissimo. Ci mostrarono i faldoni usciti da una valigia di cuoio verde. Schedari a soffietto. Ci dissero cose interessanti.

 

Sul ruolo di Carlos e sui brigatisti. Savasta era organico e come lui, anche tanti altri. Curcio, Franceschini e Mara Cagol avevano un cervello, quelli che vennero dopo erano solo piccoli macellai che parlavano, scrivevano e pensavano male. Questa gente oggi è tutta fuori. Appena data la garanzia che non avrebbero parlato, ce li siamo ritrovati all’Università a tenere conferenze.

   

Ai tempi di Mitrokhin, lei si disse in pericolo.

   Non ho mai ricevuto minacce di morte, però, intorno a me, ammazzarono sei persone. Al mio capo scorta spararono nella schiena. Ora è in sedia a rotelle. Enzo Fragalà, l’ex parlamentare che aveva condotto l’indagine sull’attentato al Papa, è stato ammazzato a bastonate in testa, con il cranio fracassato. Segnali chiarissimi.

henry kissinger giovanni leone aldo moro rome 1975henry kissinger giovanni leone aldo moro rome 1975

   

Molti giornali scrissero che lei e Mario Scaramella, faccendiere e consulente della commissione Mitrokhin indagato più volte e poi arrestato, producevate dossier che avevano il nascosto scopo di colpire Romano Prodi.

RENZI BERLUSCONI MONTEZEMOLO AL TEATRO REGIO DI PARMARENZI BERLUSCONI MONTEZEMOLO AL TEATRO REGIO DI PARMA

   Che Prodi fosse un eroe del Kgb sovietico lo sapevano tutti. Appena fiatava, a Mosca brindavano. Dell’ufficetto partenopeo in cui avrei prodotto documenti falsi, si occuparono in tanti. A partire dal giornale che avevo contribuito a fondare.

   

Che idea si era fatto di Scaramella?

   Aveva un carattere difficile, ma fu una povera vittima che pagò per colpe non sue. Mi diceva: ‘Guarda che Litvinenko sostiene che dall’Ucraina stia arrivando un pulmino con delle armi destinate a un attentato sul suolo italiano’. Io gli rispondevo: ‘Perché lo dici a me? Se hai queste notizie vai dalla polizia e dalla magistratura’.

 

Mi diede retta e per questo motivo fu arrestato e accusato di calunnia nei confronti di un ex capitano del Kgb ucraino di stanza a Napoli. Una cosa grottesca. Mitrokhin mi ha rovinato la famiglia e il matrimonio. Quattro anni sotto scorta. Mia moglie si ruppe le palle e mi lasciò. Il mio corpo reagì alle menzogne e alle pressioni con una depressione terrificante. Chiusi con la tv e con i giornali. Non li ho mai più riaperti, i giornali. Mai più.

   

Perché?

   Quando ti accorgi che nessuno verifica nulla e che in pagina vanno solo le notizie che i magistrati passano agli scoopisti, ti arrendi. Per il vergognoso trattamento ricevuto da Repubblica mandai accidenti tremendi che mi provocarono profondi sensi di colpa a Giuseppe D’Avanzo e mi lamentai con Mauro. Fu evasivo e gelido: ‘Non mi interesso di queste cose’. Replicai con durezza: ‘Che cazzo dici?’. Pensare che io ed Ezio eravamo come fratelli.

SABINA GUZZANTI PER IL NO CAV DAY jpegSABINA GUZZANTI PER IL NO CAV DAY jpeg

   

Il suo spettacolo si intitola la ballata del prima e del dopo. Il prima era meglio?

   C’era un’etica einaudiana. Un rigore in stretta continuità con l’italietta prefascista. Il prima era più onesto. Magari grigio, ma onesto. Oggi si è tutto spappolato in una merda indistinta e la gente ripete a pappagallo la lezioncina precostituita. C’erano giornalisti che stimavo molto come Bocca e Pansa. Erano faziosi, ma un giornalista non ha l’obbligo di essere oggettivo, solo quello di non dire il falso.

   

Come sono i suoi rapporti con Silvio Berlusconi?

   Ottimi. Mi è stato sempre molto simpatico. Al netto delle molte cazzate, ha saputo distruggere il precedente sistema partitico. Ma il berlusconismo finirà solo con la sua dipartita. Ancora oggi, al suo minimo storico, Forza Italia prende nell’urna più del Craxi al suo apogeo. Di Forza Italia vidi i prodromi in anticipo.

   Lo raccontò in un bel documentario di Giovanni Fasanella e Giacomo Durzi.

PAOLO GUZZANTI PAOLO GUZZANTI

   Silvio mi convocò ad Arcore, dopo un mio disastroso programma per Mediaset. Da conduttore fallito, mi preparai al peggio. Invece fu gentile: ‘Ho trovato il nome del partito, Forza Italia, ti piace?’. Mi vennero i brividi, ma tacqui. Mi portò alla finestra: ‘Guardi, i liberali sono tutti con noi’. E come fenicotteri, come trampolieri con un calice in mano, li vidi in giardino. Martino, Urbani e tanti altri che oggi, come molto altro, sono morti.

 RENZI E BERLUSCONI RENZI E BERLUSCONI

   

Renzi somiglia a Berlusconi?

   Non è un suo clone. È peggio. Ha il dna berlusconiano ed è cresciuto con lui, ma ha una vocazione autoritaria che Berlusconi si sognava. Lei pensa che gli avrebbero permesso di mandare a fare in culo la Cgil senza colpo ferire come ha fatto Renzi? Io non credo.

   

Altri leader più o meno eterni. In Israele ha vinto il suo amato Netanyahu.

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   E sono contento. Io sono islamofobico, voglio essere ammanettato per islamofobia. Per il reato di islamofobia reclamo il diritto di andare in galera. Subito. Per i paesi arabi. In ogni caso, mi auguro le dittature più feroci. Le primavere e i loro effetti li abbiamo già visti.

   

Le daranno del reazionario.

   Non mi preoccupo. Vale la vecchia legge inglese: chi non è di sinistra a vent’anni è senza cuore, chi non è di destra dopo i 40 è senza cervello.

Paolo Guzzanti Enrico Mentana Paolo Guzzanti Enrico Mentana SABINA GUZZANTI  SABINA GUZZANTI Patrizia D\'Addario e Paolo guzzantiPatrizia D\'Addario e Paolo guzzanti