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UN PARTIGIANO COME PROFESSORE – ALDO CAZZULLO E IL NUOVO LIBRO DI ROBERTO COTRONEO IN CUI VIENE RACCONTATA LA STORIA DI ALDO, CHE CON IL NOME DI "POLDO" DIVENTÒ COMANDANTE DI BRIGATA CON I PARTIGIANI DI GIUSTIZIA E LIBERTÀ - “È LA STORIA DI UN UOMO CHE FORMAVA GENERAZIONI DI STUDENTI, E CHE OGNI GIORNO, IN CLASSE, DAVA ALL’INSEGNAMENTO UN VALORE SACRALE, QUASI PATRIOTTICO. PERCHÉ IL VERO PATRIOTTISMO, PER UN ITALIANO, È ANCHE NELLA CAPACITÀ DI FORMARE GENERAZIONI DI GIOVANI ATTRAVERSO LA LETTURA DEI GRANDI POETI E DEI GRANDI SCRITTORI…”
Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera” - Estratti
Forse la cosa più difficile in letteratura è raccontare qualcosa che non sembrerebbe raccontabile. Qualcosa che è rimasto per decenni nella coscienza dell’autore, inconsapevole che possa riguardare tutti. E quando una storia minima, lontana, privata, anche sfuggente per certi versi, diventa una storia che avvolge il lettore, che parla al lettore, allora qualcosa è successo.
Accade con La nebbia e il fuoco, un titolo evocativo. Dove la nebbia è quella della pianura piemontese, che ci accompagna nell’immaginario infantile, che misura lo spazio delle cose, che nella vaghezza dà importanza a quello che abbiamo attorno, perché lo rende impalpabile, lo fa sparire, costringe a fare i conti con la realtà delle cose. E poi il fuoco, che qui è il fuoco delle nostre coscienze, delle nostre passioni, è il sacro fuoco del sapere, ma è anche il fuoco della guerra di liberazione dai nazifascisti.
E in questo spazio dilatato e slavato, in questa intensità che accende tutto si svolge il libro di Roberto Cotroneo (Feltrinelli, in uscita il 15 aprile). Che è tante cose. Un romanzo, perché è scritto con una consapevolezza letteraria e con uno stile che si tributa ai romanzi. Un memoir, perché la storia riguarda l’autore. Una rievocazione storica, perché c’è un rigore e un metodo. Un pastiche. E un libro di ricordi.
roberto cotroneo la nebbia e il fuoco
Tutto comincia quando Cotroneo torna nella sua città d’origine, dove è nato e dove ha vissuto fino ai venticinque anni. La città di Umberto Eco, Alessandria: una città un po’ in disparte, senza clamori. Non famosa per le sue meraviglie artistiche, poco incline alla retorica. L’autore lo fa capire: mai si sarebbe aspettato di raccontare un luogo che ha abbandonato da giovane senza poi quasi più tornarci. E lo ha fatto perché esasperato dalla misura di Alessandria, da quella freddezza che non lo incoraggia, che non lo aiuta. Poi tornando per qualche giorno incontra Gepi, un vecchio amico libraio. Nasce una conversazione qualunque. Gepi porta a mano una bicicletta, in una giornata grigia e anonima.
E gli racconta un episodio della Resistenza. Citando il vecchio professore di inglese dell’autore, Aldo, e svelando che era stato un comandante partigiano, e aveva preso parte a un’azione da gappista quando non aveva ancora vent’anni.
Per il protagonista quel professore era stato un punto di riferimento, un esempio, un intellettuale di straordinaria cultura e intelligenza, che in quegli anni di liceo gli aveva aperto il mondo della grande letteratura e fatto conoscere autori come James Joyce, Virginia Woolf, T. S. Eliot, Carlo Emilio Gadda, ma anche Samuel Beckett ed Eugène Ionesco. Aldo aveva un metodo di insegnamento spiazzante e affascinante, dava del lei agli studenti, eppure non c’era mai distanza, anzi.
Ma perché non aveva mai detto una sola parola sul suo passato di partigiano? Ora, in un romanzo tradizionale, l’autore va a cercare risposte, domandando, chiedendo, cercando di mettere in fila fatti, eventi, ricordi di una città.
Cotroneo fa l’opposto: cerca dentro di sé, dentro la memoria delle cose, dentro le ragioni della storia qualcosa che altrimenti sarebbe introvabile. Aldo è l’antiretorica per eccellenza, un uomo che non ha mai bisogno di dire «io», capace di silenzio, capace di insegnare i valori fondanti senza parlare di sé. È il simbolo, la ragione vera per cui è importante insegnare. E questo libro, questo romanzo, perché si tratta anche di un romanzo, è la storia di un uomo che teneva lontano il proprio ego, che formava generazioni di studenti, e che ogni giorno, in classe, dava all’insegnamento un valore sacrale, quasi patriottico.
roberto cotroneo foto di bacco
Perché il vero patriottismo, per un italiano, è anche nella capacità di formare generazioni di giovani attraverso la lettura dei grandi poeti e dei grandi scrittori.
La nebbia e il fuoco racconta questo. Racconta di Aldo, che con il nome di Poldo diventò comandante di brigata con i partigiani di Giustizia e Libertà, e dei suoi amici, dei molti che non tornarono, e non avevano ancora diciotto anni, dei morti sotto i bombardamenti, delle lettere strazianti. Era in gioco la libertà e la civiltà dell’Europa intera. Cotroneo racconta con la misura che è di quella terra, di quelle colline, di quella gente. Lo fa con una scrittura nitida, sorvegliata, disarmante: che non ammicca, non gioca con il romanzesco, ha quasi pudore di raccontare, ma ci restituisce un’Italia che non c’è più. Non a caso il romanzo si apre con alcune righe dell’autore, come a voler avvertire il lettore: «Questo è un libro sulla missione di insegnare. Parla di Aldo: un professore che ancora oggi mi guida nei pensieri, un capo partigiano che non ha mai sentito il bisogno di raccontare l’eroismo della guerra, perché nessuna guerra è eroica, un uomo che non ha lasciato qualcosa di scritto, perché tutto aveva letto e niente c’era da aggiungere. La nebbia e il fuoco è un libro sulla misura, sul silenzio, sul rigore. È un libro su un tempo che non può tornare».
Un libro su un tempo che non può tornare ma che si deve raccontare, come un dovere etico e anche letterario. Restituendo alla letteratura qualcosa che in parte, negli ultimi anni, si è perso.
(...)
Cotroneo cerca il professore e cerca una città dove ha sempre pensato di non essere mai stato felice. Dichiarandolo nell’incipit: «Qualcuno ha detto che le tue radici sono dove sei stato felice per la prima volta. Ma temo che quel momento, quel bagliore di felicità, mi sia accaduto altrove, non ad Alessandria, dove sono nato e ho trascorso la giovinezza. Eppure nel disegno della mia memoria lì c’è di sicuro qualcosa con cui devo fare i conti. Una forma di felicità meno tenace, più frusta, quasi disincantata».
Tutti ci portiamo dentro il nostro passato, abbiamo vissuto forme di felicità incerte. Ma il prodigio di questo libro è proprio nel trasformare il passato dell’autore nel passato di tutti noi, in una riscrittura delle nostre vite, attraverso la storia di una piccola città che si fa storia di un intero Paese, di una collettività. Aldo è il professore che tutti avremmo voluto avere, l’uomo che dava peso ai silenzi, che conosceva il valore delle parole, della poesia e della scrittura. E che attraverso il silenzio su sé stesso ha trovato una forma dell’identità. Mentre la forza delle sue lezioni ha lasciato un segno a più di mille studenti.
Aldo non scrisse nulla, o almeno l’autore non ha mai trovato qualcosa che abbia scritto. Eppure i libri li conosceva tutti. Come un Roberto Bazlen piemontese, anziché triestino, il professore non scrive perché nel suo mondo non c’era il narcisismo, e neppure l’urgenza di esserci, di raccontare, di mettere su carta la propria vita e la propria storia. Consapevole che le esistenze sfumano, Cotroneo ferma quello che può, attentissimo a non tradire le vite altrui, le riservatezze. Non svela, non rivela, non narra di cose nascoste, ma mette assieme parole che restano nell’anima e nelle coscienze. Le parole di un uomo che ha contribuito a costruire quell’Italia in cui ancora crediamo.
La nebbia e il fuoco è un libro civile e letterario, un libro privato eppure pubblico. Soprattutto oggi. È un continuo lottare contro l’oblio, è una memoria che ha bisogno di riscrivere quello che è stato, di spazzare via la nebbia. È la fiaccola che si passa da atleta ad atleta, da intellettuale a intellettuale, per arrivare ad accendere il fuoco là dove tutto ebbe inizio. E questo si può fare soltanto riscrivendo il passato. Soltanto quando la letteratura riscrive una nuova verità che può fermare il tempo. La nebbia e il fuoco è un libro bellissimo. Che non si riesce davvero a dimenticare.
roberto cotroneo nello studio di alberto moravia
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