luisa miller mariotti michieletto

PAZZO D’OPERA - ALBERTO MATTIOLI VA IN UN BRODO DI GIUGGIOLE PER “LUISA MILLER” DI DAMIANO MICHIELETTO: “L’OPERA È BELLISSIMA E IN PARTICOLARE IL TERZ’ATTO UN CAPOLAVORO, MARIOTTI SI È SUPERATO. UN VERDI SGRASSATO DI CLANGORI E RIDONDANZE, TUTTO NERVI E NIENTE ADIPE, ENNESIMA DIMOSTRAZIONE CHE UN MORMORIO PUÒ ESSERE PIÙ SINISTRO DI UN URLO - CHE MERAVIGLIA QUESTE PRIME ROMANE DOVE CI SI CONOSCE TUTTI E CHI NON SI CONOSCE GIÀ SI CONOSCE SUBITO, AHO’, CIAO BELLO, TE TROVO BBBENE, E CHE SARÀ MAI ‘STA MILLER…”

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luisa miller

Aggiornamento statistico. Ieri sera la mia recita d’opera numero 1.872: “Luisa Miller” all’Opera di Roma - Secondo Elvio Giudici, la vera opera portasfiga di Verdi non è l’Innominabile di San Pietroburgo ma “Luisa Miller”. La fatwa vale però soltanto per la Scala (chiedere conferma a Katia Ricciarelli ancora Baudova che, appunto nella “Miller”, aggiunse alla sua parte un grazioso “Che Dio vi maledica” rivolto ai loggionisti che la fischiavano…).

 

Altrove la “Miller” è immune dalla maledizione. Per esempio, all’Opera di Roma che ieri ci ha lungamente applaudito il debutto del nuovo direttore musicale, Michele Mariotti. Chi scrive è un mariottiano, mariottofilo e mariottologo della prima ora, quindi dopo i “Foscari” e i “Masnadieri” alla Scala non avevo dubbi che nel Verdi di galera nuotasse come un paperotto nello stagno.

 

damiano michieletto 1

Nella “Miller”, forse perché è un Verdi che dalla galera è quasi evaso e insomma l’opera è bellissima e in particolare il terz’atto un capolavoro, Mariotti si è superato. Dunque, un Verdi sgrassato di clangori e ridondanze ma morbido e scattante insieme, tutto nervi e niente adipe, con accompagnamenti calibratissimi, rubati millimetrici ma che sembrano improvvisati e una Sinfonia che nasce come un sussurro nel buio, ennesima dimostrazione che un mormorio può essere più sinistro di un urlo.

 

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Si chiama fare di necessità virtù: trasformare un guaio, l’orchestra distanziata e ridotta (nove primi) in un’opportunità. Se la buona Opera si vede dal mattino, credo che arricchirò ulteriormente Trenitalia sulla tratta Milano-Roma.

 

Notevole la compagnia. Roberta Mantegna non è più una grande promessa ma una grande realtà: il fatto che ogni volta risulti più convincente della precedente (la “Miller” meglio del già notevolissimo “Pirata”, il “Pirata” dei “Vêpres”) conferma che si tratta di un’artista vera.

 

luisa miller 8

Chiaro che per una voce così imponente la cavatina, dove Verdi rifà “La sonnambula”, sia un po’ pericolosa e la faccia giocare di rimessa (ma uscendone comunque bene): ma il tour de force del secondo e del terzo atto è formidabile, il do acuto una folgore, i pianissimi ad alta quota idem.

 

Bellissime, in particolare, le lunghe frasi legate del Finale primo. Antonio Poli manca un po’ di squillo, arriva stanco alla fine e dovrebbe imparare a recitare, ma la voce è bella, l’interprete non banale e “Quando le sere al placido” raffinatissima.

 

michele mariotti

Amartivshin Enkhbat ha il volume baritonale più impressionante di oggi, una voce che sale e scende senza il minimo “scalino”, e il fatto che arrivi dalla Mongolia dimostra che non tutta la globalizzazione vien per nuocere: di opera in opera, dà l’impressione di capire sempre di più il significato delle parole, mentre la pronuncia è sempre stata perfetta.

 

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I due bassi sono notevoli. Michele Pertusi è in carriera ormai da quarant’anni, ma continua a cantare splendidamente come ha sempre fatto. Pertusello Dio ce l’ha dato per ricordarci che esiste il canto, e guai a chi ce lo tocca. Marco Spotti è meno impeccabile, ma il suo Wurm sinistro e deforme, come un Riccardo III infoiato, è semplicemente memorabile.

 

Michele Mariotti

Quanto a Daniela Barcellona, si sa che la Duchessa non risolve “Luisa Miller”, ma può rovinarla: grazie a lei, è una delle rare occasioni in cui non succede. A conferma dello stato di grazia dell’Opera di Roma, segnalo poi Irene Savignano che fa Laura: comprimaria (per ora), ma che voce!

 

Lo spettacolo di Damiano Michieletto l’avevo visto a Zurigo una vita fa. È stato benissimo ripreso da Andrea Bernard e anche un po’ “asciugato”, guadagnando ulteriormente in efficacia. La scena è la solita genialata di Paolo Fantin: due mondi speculari che si riflettono uno nell’altro, sopra i nobili e sotto la plebe, ma con le tragedie familiari scatenate da padri padroni uguali e contrari che si svolgono sugli stessi mobili feticcio, letti e tavoli da pranzo.

giuseppe verdi

 

E tuttavia lo Schiller cammaranizzato (benissimo, peraltro: che bel libretto!) è Kabale ma anche Liebe: e dunque Luisa e Rodolfo sono doppiati da due bambini bravissimi che l’amore possono viverlo nell’innocenza. Quando nel Finale primo continuano a palleggiarsi serenamente un palloncino bianco mentre la Kabale imperversa, lo ammetto, mi sono anche un po’ commosso (e dire che uno dei miei soprannomi, e di certo quello cui tengo di più, è Erode).

 

Infine, che meraviglia queste prime romane dove c’è di tutto e di più, ci si conosce tutti e chi non si conosce già si conosce subito, aho’, ciao bello, te trovo bbbene, e che sarà mai ‘sta Miller, però senza venire prevenuti o rompere subito le palle per preservare Verdi da sé stesso come alla Scala, ma applaudendo a lungo, conquistati e grati, questo spettacolo meraviglioso.

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