FLASH – COME MAI IL PRIMO MINISTRO UNGHERESE VIKTOR ORBAN, PUR INVITATO, NON È VOLATO A WASHINGTON…
Foto di Luciano di Bacco
Arianna Finos per “la Repubblica - Roma”
ylenia pastorelli e claudio santamaria
«Un americano a Roma incontra Batman ». Claudio Santamaria sintetizza con ironia il suo supereroe nato ai bordi di periferia. Il film Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, in sala da ieri, è destinato a diventare un culto non solo nella Capitale. Presentato alla scorsa Festa di Roma, racconta di Enzo Ceccotti, scalcinato delinquente che consuma le giornate nell’appartamento spoglio di Tor Bella Monaca, divorando budini alla vaniglia e videocassette porno. Mentre fugge dalla polizia finisce nel Tevere, entra in contatto con bidoni radioattivi che gli regalano capacità sovrumane.
Insieme ai poteri entrano in scena una vicina di casa innocente e disturbata (l’incantevole Ilenia Pastorelli) fissata con la serie giapponese Jeeg Robot e un villain perfetto, lo Zingaro, brutale e narcisista capo di una gang, Luca Marinelli con gli occhi bistrati e la passione per Anna Oxa. Violenza e cultura pop, risate e commozione, realismo e la rilettura di un genere, quello dei supereroi, appannaggio delle major americane.
Tra i personaggi del film c’è Roma. Dice Mainetti: «Ne racconto le diverse facce, la periferia, il centro elitario e il mondo sportivo. All’inizio il protagonista in fuga si perde nel dedalo di vicoli intorno a piazza Venezia, lo sentiamo ansimare. Il suo “viaggio dell’eroe” lo porterà in alto, fino a stagliarsi sulla città dal Colosseo, per poi rituffarsi ad abbracciarla. In quella scena c’è tutto l’amore per questa Roma disastrata e abbandonata a se stessa. Sporcizia, buche, mezzi pubblici: non serve un supereroe ».
Una metropoli che Mainetti aveva raccontato anche nei due corti precedenti, uno dei quali, Tiger Boy, entrato nella shortlist degli Oscar. «Conosco bene Tor Bella Monaca, mio padre ci ha lavorato. Nicola Guaglianoni, uno degli sceneggiatori con Menotti, ci ha fatto il servizio civile. Abbiamo girato a via dell’Archeologia, Santa Rita da Cascia. Questa periferia i borghesi la raccontano come uno spazio terribile che si giudica o compatisce. Il film racconta un viaggio alla scoperta della propria identità: con l’idea che ti puoi ribellare alla legge della strada anche se non hai una famiglia che tiprotegge».
L’idea di Lo chiamavano Jeeg Robot è del 2009. «Claudio Santamaria ha detto subito di sì. Non è duro e fermo come immaginavo il personaggio e così intorno alla sua fragilità ho costruito una corazza: gli ho fatto mettere su 20 chili di muscoli e ciccia».
Dopo aver cercato invano tra i produttori italiani, Mainetti ha dovuto finanziarsi da solo: 1 milione 800 mila euro e un risultato che convince anche per effetti speciali e combattimenti. Perché non manca lo scontro tra bene e male, tra l’eroe coatto e il cattivo dalla risata sghemba. «E quale arena migliore se non quel Colosseo vivo che è lo stadio?», dice il regista, che ha scelto a sfondo le riprese di un derby tra Roma e Lazio del 2014.
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