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MAURIZIO MOLINARI E MARIO CALABRESI
Stefano Zurlo per “il Giornale”
La battuta più perfida l' hanno confezionata i giornalisti di Repubblica: «Avevamo un direttore che sembrava un nano ed era un gigante, ora abbiamo un altro direttore che sembrava un gigante ed è un nano». Dove il paragone, giocato sull' aspetto fisico, con l' ormai ex Ezio Mauro diventa una stilettata per Mario Calabresi.
Certo, a 46 anni non ancora compiuti, Calabresi può vantare un curriculum spaziale: sei anni e mezzo di direzione alla Stampa e oggi il timone del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Inevitabile chiedersi quale sia la marcia in più di questo ragazzo con la faccia in bianco e nero, transitato con passo felpato sulle poltrone più importanti dei quotidiani italiani. Talento. Relazioni ad alto livello. Scelte azzeccate.
Un piccolo grande rebus, ancora più intrigante perché il personaggio è un impasto inedito nella storia patria: l' albero genealogico che risale nel tempo alla tragedia del padre Luigi, il commissario assassinato da Lc. Un simbolo, anzi un martire, per la parte più conservatrice del Paese; ma poi la frequentazione del milieu più progressista, degli intellettuali e delle redazioni che stavano dall' altra parte.
mario calabresi eugenio scalfari
Insomma, un cognome di destra autosdoganatosi a sinistra. Fabrizio Rondolino, che con lui ha sempre avuto un pessimo rapporto, lo spiega così: «Non si riesce a capire la carriera di Calabresi se non per un senso di colpa che deve aver attanagliato parte dell' intellighenzia rossa e che lui ha sfruttato sapientemente».
Così, nel valzer di poltrone conquistate precocemente, si registra il passaggio sulla casella di caporedattore centrale a Repubblica nell' epoca in cui la prima pagina ospitava spesso commenti di Adriano Sofri, condannato per l' omicidio del padre.
francesco merlo mario calabresi
«Calabresi - aggiunge durissimo Rondolino, brillante polemista, volto televisivo e tante altre cose - ha sempre avuto familiarità con quei mondi che in qualche modo erano vicini ai mandanti morali degli assassini del papà.
In compenso - è la conclusione senza sconti - posso dire nel mio piccolo che per un anno non ha risposto, quando collaboravo alla Stampa da lui diretta, alle mie chiamate, agli sms, ai messaggi. Poi un giorno mi ha convocato e mi ha chiuso le porte in faccia: Sai, le cose cambiano, La Stampa cambia, anche il collega che segue il Toro non ha ancora avuto un contratto. E così per me è finita quella stagione».
Opportunista. Cerchiobottista. Paraculo. Le definizioni si sprecano, ma anche le chiavi esistenziali possono essere molteplici. «Quando fu chiamato a Repubblica - ha confidato anni fa a chi scrive la madre Gemma, donna straordinaria - Mario mi ha chiesto che cosa fare e io gli ho risposto: Hanno già scelto per te da bambino, ora decidi tu». E lui ha proseguito la sua corsa inarrestabile: l' Ansa, La Stampa, inviato nell' America dell' 11 settembre, poi la Repubblica, quindi nel 2009 il ritorno trionfale a Torino come monarca e oggi la consacrazione sulla cattedra che fu di Scalfari.
Il tutto scivolando come un acrobata fra gli opposti e conciliando, o almeno tenendo insieme, l' inconciliabile. In buoni rapporti con il Cavaliere, ma collocato sull' altro versante, senza però l' acrimonia e il giacobinismo di tanti primi violini; a Repubblica ma senza avere addosso il marchio del giornale-partito; e poi, intendiamoci, con ottime entrature al Quirinale, prima con Cossiga e successivamente con Napolitano che stravedeva per lui. E ancora, come è ovvio, di casa ai piani alti del Lingotto. Lettiano con Letta e renziano con Renzi.
emma winter andrea agnelli mario calabresi
Anzi, si potrebbe dire che sia più renziano di Renzi, con quella patina di ottimismo spalmato sui disastri italiani, lo zucchero a velo della retorica negli editoriali, il culto per l' America, trasmessogli forse dal suo maestro Gianni Riotta, obamiano fin nella camicia bianca con le maniche arrotolate. E poi la venerazione per i social network, fino alla follia, sottolineata con un corsivo ustionante dal direttore dell' Eco di Bergamo Giorgio Gandola, di attribuire, naturalmente in dotta compagnia, il premio «È giornalismo» a Google che ha cannibalizzato e quasi ucciso la carta stampata.
MARIO CALABRESI ICE BUCKET CHALLENGE
Compresa La Stampa, con quel segno meno davanti, anche col lifting a stelle e strisce impostato dal direttore. Nuova sede, nuove tecnologie, architettura redazionale in stile New York Times: la direzione al centro, gli altri intorno. «Sarà pure un modello all' avanguardia - nota un navigato cronista - ma a molti ricorda San Vittore, con la rotonda e i raggi facilmente controllabili da chi è in mezzo».
MARIO CALABRESI E GIORGIO NAPOLITANO PRIMA PAGINA CELEBRAZIONI 150 ITALIA
Ora, sei anni e mezzo dopo e dopo il meritorio acquisto e salvataggio del boccheggiante Secolo XIX, il superliquido e post-ideologico Calabresi svolta ancora. Dalla Stampa a Repubblica con una capriola che strabilierebbe pure Yuri Chechi.
Dal giornale più filo governativo e renziano alla corazzata della sinistra italiana. Giovanni Valentini, padre fondatore secondo solo a Scalfari, per lunghi anni direttore dell' Espresso e poi vicedirettore di Repubblica, parte da lontano: «Scalfari e il principe Caracciolo hanno sempre cercato un tratto di eleganza e l' eleganza, una certa leggerezza, è sempre stata la cifra distintiva dentro il gruppo. Calabresi ha un altro modo di porsi. Ricordo che una volta, era caporedattore, mi chiamò alle dieci di sera a casa: Alza il culo dalla sedia che devi scrivere. Un tono da caporale di giornata davvero sgradevole».
MONTEZEMOLO MARIO CALABRESI JOHN ELKANN ANDREA AGNELLI
Ma questa è, se si vuole, l' estetica. Poi c' è la polpa: «Non ho nulla contro Calabresi che considero un giornalista solido ma non mi è piaciuta per niente l' operazione con cui è arrivato alla testa di Repubblica. L' editore Carlo De Benedetti non ha non dico interpellato ma neppure informato Scalfari, è passato sopra la sua testa e in questo modo ha marcato una profonda discontinuità con la storia di questa testata».
Perché questa rottura con una tradizione quarantennale e con un capitolo glorioso della storia dell' informazione? I maligni ipotizzano una sorta di scambio: governo e banche hanno tappato in qualche modo il gigantesco buco di Sorgenia, 1,9 miliardi di euro, che pesava come passatoia di cannone nella pancia del gruppo De Benedetti; in cambio, come a onorare una cambiale, l' Ingegnere avrebbe consegnato al super renziano Calabresi la bacchetta di direttore.
Congetture. «Io stesso - prosegue Valentini - nel mio ultimo libro La scossa - uscito ad ottobre da Longanesi - faccio autocritica e dico che dobbiamo finirla con la cultura del nemico e dunque posso anche condividere l' editoriale con cui Calabresi si è presentato, puntando il dito contro il manicheismo che divide il mondo in buoni e cattivi.
Va bene, ma il rischio è quello di omologare Repubblica, di allinearla alla vulgata renziana, di smarrire la nostra identità. Un patrimonio che per inciso segna anche la mia vita. E questo potrebbe provocare contraccolpi molto forti nella community dei lettori che ha una sua storia molto precisa».
E non intende certo chiudere le tante partite aperte e dimenticare le battaglie combattute in nome di una sorta di pacificazione nazionale. Si vedrà. E allora si capirà se Mario Calabresi riuscirà ad abbattere un muro che non vuol cadere. In bilico fra fine della guerra civile e normalizzazione.
JOHN ELKANN E MARIO CALABRESI marcello sorgi e fabrizio rondolinorondolino sull uscita di calabresi dalla stampa
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