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Marco Giusti per Dagospia
Povero George Clooney! Per essere candidato agli Oscar, è obbligato a interpretare perdenti, tagliatori di teste, come in "Tra le nuvole", o sfigati e cornuti cittadini hawaiiani perennemente in mutande, come in questo "Paradiso amaro" (titolo orrendo che traduce l'originale "The Descendants") di Alexander Payne. O prendersi un sacco di botte, come in "Syriana", dove almeno era riuscito a portare a casa l'Oscar per la migliore interpretazione da non protagonista.
In "Paradiso amaro", un film che ha ottenuto ben cinque nomination (miglior regia, film, interpretazione maschile, sceneggiatura e montaggio), Clooney, avvocato e ricchissimo possidente hawaiiano che ha educato la sua famiglia a un assurdo rigore montiano, scopre che sua moglie, in coma irreversibile a causa di un incidente di sci nautico, lo ha tradito con un penoso immobiliarista locale, un sotto-sotto Ricucci sposato con figli, e lei pensava pure di lasciarlo.
Mal digerita la notizia, recuperate le due figlie, sia quella problematica e teenager, l'inedita Shaileene Woodley, sia quella piccola, Amara Miller, e un buffo amico gaffeur della prima, Nick Krause, papà Clooney inizia il suo viaggio per le Hawaii alla ricerca del bellimbusto.
Pensa, da gentiluomo, che sia giusto avvertire l'amante dell'accaduto. In modo che lui la veda prima che, seguendo il testamento biologico della donna (certo, mica siamo in Italia!), i medici le stacchino la spina. Ma Clooney vuole anche, meno signorilmente, capire con chi e perché sua moglie lo abbia tradito.
Mentre si compie questo viaggio, che vedrà i personaggi ricostruire una sana e naturale dimensione di famiglia proprio grazie alla sofferenza, Clooney deve affrontare, da socio di maggioranza tra un'infinità di cugini e parenti, il serio problema della vendita di un grande lotto di terra incontaminato. A quale speculatore dei tanti vendere? E che fine farà questa terra avuta dai suoi progenitori grazie al matrimonio con una bella principessa locale?
Come i migliori film di Payne, "Sideways" e "A proposito di Schmidt", c'è uno o più personaggi in crisi alla ricerca di un loro equilibrio, degli incontri stravaganti e cinefili e, ovviamente, un buffo viaggio dove tragedia e commedia non possono che intrecciarsi. E c'è una trovata particolare, in questo caso le Hawaii, presentate non come il paradiso che abbiamo sempre visto nel cinema di Hollywood, ma un assurdo posto ai confini dell'America dove gli abitanti non sembrano divertirsi troppo, incastrati tra tradizione e manie consumistiche.
Clooney è bravissimo sia a interpretare questo padre e marito un po' ottuso che inizia a aprire gli occhi sulla realtà anche grazie alla vicinanze delle figlie e del loro assurdo amico, sia a confrontarsi con una famiglia assatanata di soldi e abbastanza orrenda, ma anche con una piccola borghesia hawaiiana per nulla simpatica.
Il film ha la sua grazia, anche se i suoi interpreti non portano benissimo short e ciavatte e neppure queste camicie hawaiiane donano proprio a tutti. Grandi apparizioni di attori scomparsi da un po', come Beau Bridges, il fratello di Jeff, nei panni di un cugino di Clooney, o come Robert Forster, già protagonista di "Jackie Brown", che fa qui il suocero che non perdona al ricco genero di non avere concesso alla figlia una vita meno spartana, di non averla fatta, insomma, divertire come lei avrebbe voluto. Ma, attenti alle apparenze, quello di Payne non è un piccolo film d'autore, è una ben oliata macchina da Oscar. In sala dal 17 febbraio.
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