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IL MINISTRO GIULIVO - LA PREFAZIONE DI ANDREA CARANDINI AL NUOVO LIBRO DI GIULI E’ UN TIRO MANCINO DELL’ARCHEOLOGO PER ROMPERE CON LA SUA CRITICA LE UOVA NEL PANIERE DELL’AUTORE? - LA RISPOSTA DI FRANCESCO MERLO AL QUESITO DI MIRELLA SERRI: "TRA LE MILLE POSSIBILI FORME CHE PUÒ PRENDERE UNA PREFAZIONE, QUESTA DI CARANDINI A GIULI È SOLO A PRIMA VISTA DEL NOBILE GENERE 'PADRINATO'. QUANDO ARRIVA SOTTO GLI OCCHI DEL MAESTRO L’IDEA-PATACCA CHE HA LA DESTRA DELLA ROMANITÀ E DELL’ANTICHITÀ CLASSICA IL PADRINO PRENDE LE DISTANZE DAL FIGLIOCCIO E LO CORREGGE. ALLA FINE, IN DIECI PAGINE CHE SI ACCAPIGLIANO TRA LORO, STRONCA GIULI ALLA CARANDINI E LO PROMUOVE CON UNA PROSA QUA E LÀ ALLA GIULI”
Dalla rubrica delle lettere di “Repubblica”
Caro Merlo, il professor Andrea Carandini ha scritto una singolare prefazione al nuovo libro di Alessandro Giuli, “Antico presente. Viaggio nel sacro vivente”. Il celebre archeologo precisa di non condividere l’impostazione del ministro che “estende all’oggi la sacralità antica” come accadeva nel periodo fascista quando si “subordinava la ricerca alla politica”. Ha accettato “per precisare, riguardo al presente libro, il mio orientamento culturale e politico”. È un tiro mancino del grande studioso per rompere con la sua critica le uova nel paniere dell’autore?
Mirella Serri
Risposta di Francesco Merlo per la Repubblica
Tra le mille possibili forme che può prendere una prefazione, questa di Carandini a Giuli è, solo a prima vista, del nobile genere “padrinato”.
Accettando infatti di accompagnarlo e di proteggerlo, come appunto il padrino della cresima, l’archeologo più famoso d’Italia per competenze e per canuta saggezza trasferisce sul figlioccio la sua autorità carismatica.
Non ci sarebbe molto da aggiungere se, come vuole la tradizione, Carandini gli dedicasse poche e generose parole piene di pensiero, che in fondo il Giuli scrittore meriterebbe pure. Ma qui tutto si aggroviglia perché il buon figlioccio è il ministro di un governicchio; il carro del vincitore è un carretto; l’identità politica è, a torto o a ragione, malfamata; e arriva sotto gli occhi del maestro l’idea-patacca che ha la destra della romanità e dell’antichità classica. E, allora, per liberarsi dal groviglio di Giuli, Carandini si aggroviglia in Giuli, proprio lui che è sempre così chiaro.
Ecco, dunque, l’anomalia: il padrino prende le distanze dal figlioccio e lo corregge: “da magister vorrei…”. Gli rimprovera la “stirpe etrusco-romana” e lo boccia sull’origine degli etruschi. “Genio italico” gli pare “una formula magica”. Irride gli studiosi che Giuli eleva a maestri di “saggezza italica”, Musmeci, Leonardi, Caporali e Tonelli: “Per me dei carneadi, ma colmerò la lacuna”. Però poi, quasi volesse allontanarsi dal contagio che ovviamente è inimmaginabile, purifica Giuli nella Montagna incantata , si rifugia in Isaiah Berlin, Eco, Thomas Mann… e lo invita a “superare il conservatorismo tradizionalista avvicinandosi a un conservatorismo liberale”, cioè a lui, a Carandini. E cita il suo prossimo libro Seneca e Faust “sull’archeologia e la catastrofe della morale”. Alla fine, in dieci pagine che si accapigliano tra loro, stronca Giuli alla Carandini e lo promuove con una prosa qua e là alla Giuli.
Andrea Carandini
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