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ALBERTO MATTIOLI per la Stampa
Meno cinque. Cinque giorni al 7, la prima della Scala covidata più strana di tutti i tempi: niente pubblico in sala, niente opera, ma un concertone lirico per la tivù (quasi tutto registrato). Titolo: A riveder le stelle, insieme un augurio e una constatazione, dato che le stelle del canto ci sono quasi tutte.
Unica certezza: sul podio, come sempre, il direttore musicale della Casa, Riccardo Chailly. Rimpianti?
«Sinceramente sì. Dovevamo inaugurare con una Lucia di Lammermoor che non abbiamo nemmeno mai potuto annunciare ufficialmente. Avevamo però già fatto due settimane di prove, lo spettacolo iniziava a prendere forma. È un grande dolore, una sofferenza, non vederlo in scena. Era dal '67, dalla famosa edizione Abbado-De Lullo, che la Scala non apriva con Donizetti. Allora c'ero, sarebbe stato bello riportare Lucia alla prima».
Parliamo di questo 7 dicembre. Il programma è lungo e in gran parte sarà registrato prima. Che effetto le fa?
«Intanto bisogna venirne a capo. La gabbia organizzativa è molto complessa, con arrivi e partenze continui di cantanti che raggiungono Milano da tutto il mondo, in un momento in cui viaggiare non è esattamente facile. Mi ricorda il primo disco che incisi per la Decca, più di quarant' anni fa, il Guglielmo Tell di Rossini con Freni, Pavarotti e Milnes che arrivavano a Londra a seconda dei loro impegni».
Qui però non c'è l'opera, ma una specie di antologia...
«L'idea è che non sia soltanto un serie di arie staccate, ma un vero percorso sia dentro i singoli titoli, con più brani di ognuno, sia attraverso un secolo di opera italiana, dal Tell di Rossini a Turandot di Puccini.
Più qualche brano non italiano, come Carmen o il finale del primo atto di Walküre di Wagner. Per l'orchestra si tratta chiaramente di un impegno enorme: non solo per la quantità di musica, circa tre ore, ma anche per le differenze stilistiche che ovviamente non bisogna appiattire. Per chi suona, un viaggio epocale».
La fine è l'inizio: il programma si chiude con l'apoteosi finale del «Tell».
«L'ho voluto in italiano e non nell'originale francese perché si capiscano le parole di Calisto Bassi sulla musica sublime di Rossini: "Tutto cangia, il ciel s' abbella / L'aria è pura, il dì è raggiante".
Un messaggio di speranza che dalla Scala si alzerà verso Milano, l'Italia e il mondo, sperando che questa pandemia non sia soltanto una tragedia ma anche una catarsi purificatrice».
Come sarà, fare musica senza pubblico?
«Sono sincero: non lo so. Non mi è mai capitato. Ma so che senza il calore del pubblico, senza l'applauso finale, sarà diverso, si avvertirà un vuoto. Stiamo facendo un lavoro che non è il nostro, in condizioni che non sono quelle abituali, in una situazione di emergenza dove tutto è inusuale, a cominciare dal fatto che l'orchestra suona in platea, il coro canta nei palchi e io dirigo guardando verso il palco reale.
È un unicum, un'esperienza eccezionale e non ripetibile. La tecnologia ci aiuta, ma è qualcosa di più, un'aggiunta. Il futuro è tornare a far musica come l'abbiamo sempre fatta, ma con una consapevolezza in più: siamo dei privilegiati».
Davide Livermore firma lo spettacolo e la drammaturgia che farà da collante ai quindici titoli d'opera in programma. Alla vostra terza prima di fila, si può dire che sia il suo regista? Anche perché con il «Macbeth» del 7 dicembre '21 saranno quattro...
«Si sa che io ho un rapporto sempre complicato con le regie: per ora con Davide andiamo molto d'accordo. Credo che sia la persona giusta per questa inaugurazione perché conosce benissimo e sa sfruttare le potenzialità tecniche del teatro e del palco. Quanto al Macbeth, non è un titolo annunciato ma gossippato».
Nella prossima stagione quanto e cosa dirigerà?
«Trovo detestabile l'onnipresenza del direttore musicale. Voglio che la Scala ospiti il maggior numero possibile di grandi maestri. Sono due le opere cui ho dovuto rinunciare: Salome e, appunto, Lucia. Se non potrò farlo io, una sarà ripresa da un altro direttore».
Il 7 non dirigerà i balletti.
«È soltanto un problema di sovrapposizione delle prove. Sono molto contento che in una serata così significativa per la Scala ci sia anche il suo Corpo di ballo con Roberto Bolle».
L'11 dicembre riapre il Covent Garden di Londra e il 15 l'Opéra di Parigi. E la Scala?
«L'atteggiamento di Dominique Meyer è quello di un'assoluta cautela, poi ognuno si assume le sue responsabilità. L'importante è che la Scala il 7 dicembre, in un modo o nell'altro, ci sia».
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