RIUSCIRÀ MATTEO SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE…
Dall’account facebook di Alberto Mattioli
Aggiornamento statistico. Ieri sera la mia recita d’opera numero 1.893: “I Puritani” all’Opera di Roma - L’ultimo titolo di Bellini è l’opera impossibile: dal punto di vista musicale, perché le parti sono difficilissime e due, quelle del tenore e del sedicente “baritono”, che poi sarebbe un basso cantante, concepite per essere eseguite con una tecnica che è scomparsa; dal punto di vista scenico, perché la drammaturgia di Bellini è del tutto particolare (il che non significa però che drammaturgia musicale non sia).
Il risultato è che quasi mai la ciambella dei Puritani esce con un buco perfetto; all’Opera di Roma, almeno, ieri non era un buco senza ciambella come pure accade spesso. Il merito è dell’esemplare direzione di Roberto Abbado, la migliore di cui io abbia memoria insieme a quella di Michele Mariotti a Bologna.
Integrale, per iniziare, con tutti i suoi bravi daccapo variati pure con gusto (il libretto riporta però anche i tre pezzi tagliati da Bellini stesso). Poi Abbado non solo accompagna alla perfezione i cantanti, ma riesce anche a dare alle melodie “lunghe, lunghe, lunghe” di Bellini (il copyright è di Verdi) la giusta elasticità ritmica, una pulsazione continua che accompagna il loro ipnotico montare verso un climax perfettamente costruito. Aggiungo che nei Puritani, scritti per Parigi, Bellini cura molto di più del consueto il contorno, chiamiamolo così, del piatto forte melodico. Abbado realizza molto bene sia le descrizioni ambientali (l’alba del primo atto, il temporale del terzo) sia l’aspetto protorisorgimentale dei cori marziali e delle cabalette con la tromba. Direzione eccellente.
Rispetto a quando era l’idolo della minoranza rumorosa dei postcellettiani scemi, Jessica Pratt ha guadagnato e perso qualcosa. Guadagnato in espressività, diventando un’interprete; perso, la facilità insolente dei sopracuti. Ieri ha iniziato sottotono: nel duetto con il basso quasi non si sentiva. Ha cominciato a riprendersi con la polacca e preso quota nel finale primo. I costumi non la aiutano (e sono in generale orrendi), però nella pazzia ha dimostrato di non essere più soltanto un soprano coccodè: e molto bene anche il terzo atto, dove nel duetto ha doverosamente coperto il tenore in difficoltà.
Eh già: incredibile a dirsi per uno che li ha sempre avuti “in tasca”, ieri a John Osborn gli acuti non “giravano”. Il do diesis della sortita era stiracchiato e infatti sono i primi Puritani della mia vita dove non scatta l’applauso dopo “A te, o cara”. Nel terzo atto, non pervenuta la puntatura alla fine del duetto e un po’ abborracciato “Ella è tremante, ella è spirante”. Non fa il fa. In generale, mi sembra strano l’uso di un’emissione che non è né di petto né di testa: però che Osborn sia un artista, sia pure in serata no, l’ha dimostrato la raffinata eleganza della romanza.
Franco Vassallo non ha esattamente la vocalità di Riccardo, anche perché oggi l’ha nessuno. Il timbro non è seducente e Vassallo pasticcia un po’ le agilità: però ha capito che Riccardo non è il solito vilain ma “un rivale dai sentimenti sublimi”, Bellini dixit, e riesce a darne un’idea attendibile. Migliore in campo Nicola Ulivieri, in grande forma, Giorgio morbido, elegante, caloroso. Assai buoni i comprimari: Roberto Lorenzi, Irene Savignano e Rodrigo Ortiz nei pertichini della cavatina di Riccardo, dove entra ed esce di scena senza una ragione apparente.
Tipico dello spettacolo confuso di Andrea De Rosa. Elvira abbandonata si trafigge gli occhi modello Edipo e poi passa il resto dell’opera e mettersi e togliersi una benda: fare impacchettare la Pratt nel suo abito nuziale come un salame bianco non è decisamente una buona idea. L’ultimo atto però funziona, con una specie di doppia pedana illuminata che isola i due amanti dal puritaname circostante e, in sintesi, i danni sono limitati. Resta il fatto che Bellini in generale e questo in particolare è difficilissimo da mettere in scena. Dei miei Puritani live, non più di una ventina, gli unici davvero convincenti furono quelli di Vick alla Fenice, verso la fine del secolo scorso: mai più ripresi, infatti. Successo cordiale ma senza entusiasmo e sempre divertenti le prime romane: ciao bello, che fai? Te trovo bbbene!
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