
DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È…
Quirino Conti per Dagospia
Le premesse c’erano tutte: un progetto tra il pretenzioso e il patetico; un regista d’epoca (veltroniana); foto di scena preoccupanti quanto a costumi; l’entusiasmo preventivo del giornalismo militante; l’inevitabile passaggio – per il “timbro ufficiale” – a Che tempo che fa (con relativa estasi del veggente Fazio-Bernadette Soubirous);
addirittura un pellegrinaggio a Recanati del gotha del progressismo italiano – Natalia Aspesi – per una festa di popolo in costume; il prosciugamento di ogni riserva aurea marchigiana (regione notoriamente tiratissima) per i molti finanziamenti pubblici e privati all’Opera; alcune improvvide dichiarazioni del regista;
elio germanO giacomo leopardi UN GIOVANE FAVOLOSO
quindi, in una sala risicato di quelle che poi è del tutto inutile chiedersi perché non si vada più volentieri al cinema, un gruppuscolo di pensionati a prezzo ridotto raggrumati come per una tristissima riunione di ex compagni di classe alla ricerca del tempo perduto. O per un funerale.
Nella fila di fronte, una ottantenne con sneakers fucsia e jeans délavé: bionda e boccoluta davanti, dietro praticamente niente. E accanto a lei un coetaneo che parlava a voce alta come fossero in strada.
E poi, invece, il film. E che film! Persino bello e con immagini a tratti sfolgoranti (seppure certi improvvisi giovanilismi musicali e qualche didascalismo creativo qua e là facciano storcere il naso).
Ma soprattutto lui, Leopardi-Germano. Lui, tale e quale. Come si sarebbe potuto rintracciare nel cuore di chiunque. Tanto vero e potente da cancellare qualsiasi dubbio, qualora se ne fossero avuti, su un altro ancora più vero e convincente. E dunque, a motivo di quell’attore, un’incontenibile commozione dall’inizio alla fine.
IL GIOVANE FAVOLOSO - Il giovane Favoloso, regia di Mario Martone, 2014
Per gli occhi, lo sguardo, l’espressività; ma soprattutto per quel corpo che a poco a poco finiva per trasformarsi piegandosi e quasi accartocciandosi. Tanto vero da essere il suo. E non perché da qualche parte ce ne fosse una prova oggettiva, un modello originale incontestabile. Solo perché quello era lui: e non poteva che essere così.
IL GIOVANE FAVOLOSO - Il giovane Favoloso, regia di Mario Martone, 2014
Tanto che persino il temuto ridicolo di versi immortali in bocca a un simil-poeta in maschera crollava di fronte a quanto si vedeva e si udiva. Come se tra le sue labbra, dopo essere state suono, le parole si mutassero in materia. Su lineamenti letteralmente rimodellati dalle sillabe appena pronunciate.
E così, mentre la furia e l’irritazione iniziali erano come sparite, lui, quel Giacomo Leopardi tanto vero, aveva finito per espandersi molto oltre la piccola sala dove si era: obbligando tutti, quando le luci si sono riaccese, a un silenzio incantato. Per così tanta bellezza e verità.
Ecco perché questo film, pur con qualche limite, è un film da vedere: per un interprete che giganteggia.
A questo punto, però, una domanda sorge spontanea: e a Venezia? Cosa è successo a Venezia? Cosa è accaduto perché non ci si accorgesse di un simile miracolo? Evidentemente, le immancabili Sorelle Orvietane hanno rubato la scena a chiunque. Loro sì, un autentico miracolo. Ma soprattutto un mistero.
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