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RICORDANDO L’INEGUAGLIABILE BENIAMINO PLACIDO - WALTER VELTRONI: “COLLEGANDO ALTO E BASSO, CULTURA POPOLARE E RICERCA RAFFINATA, HA INVENTATO LA RETE PRIMA CHE INTERNET ESISTESSE - “L’INTELLIGENZA COMPLESSIVA DELLE COSE” CHE GLI CONSENTIVA DI VOLARE DALL’UNIVERSITÀ AI PROGRAMMI TV, DALLA SAGGISTICA AL GIORNALISMO, E PERSINO ATTORE NEI PRIMI FILM DI NANNI MORETTI'' - ALESSANDRO PORTELLI: “PER PLACIDO “BENITO CERENO” E ‘’LA CAPANNA DELLO ZIO TOM’’ ERANO LE CHIAVI PER RAGIONARE SULLA SCHIAVITÙ; ‘’VIA COL VENTO’’, ROMANZO E FILM, PER LA DEPRESSIONE E IL NEW DEAL: SEMPLICEMENTE PERCHÉ NON ESISTE UN RAPPORTO FRA LETTERATURA E SOCIETÀ, MA...” - VIDEO
Walter Veltroni per il “Corriere della Sera”
BENIAMINO PLACIDO CON IL MANICHINO DI GEORGE ORWELL - SERATA ORWELL, 1984
Non c’è un anniversario tondo, né un libro o un convegno, che possa giustificare questo articolo in ricordo di Beniamino Placido.
In effetti lo motiva solo la nostalgia per una delle persone più intelligenti, colte, curiose, divertenti che mi sia capitato di incontrare nella mia vita.
Ho ritrovato la dedica che mi fece su un libro che lui scrisse con Indro Montanelli, ‘’Eppur si muove, sottotitolo: Cambiano gli italiani?’’: «Non mi hai invitato alla tua festa di compleanno? E, allora, per punizione, beccati questo».
Compivo quarant’anni, nel 1995, e non mi ero azzardato a invitare Beniamino. Era una forma di rispetto, non certo di mancanza di affetto.
Ci siamo parlati tanto, in quegli anni. E ricordo che nel 1997, quando ero ministro della Cultura, gli chiesi di aprire un convegno sui rapporti culturali tra Italia e Francia, alla presenza dei due ministri e di eminenti rappresentanti del mondo letterario e artistico dei due Paesi. Beniamino iniziò così: «Diceva Jean Cocteau che i francesi sono degli italiani di cattivo umore…». La battuta, a conferma di Cocteau e di Beniamino, fu presa con un sorriso di circostanza, ma niente di più.
Beniamino Placido, nato a Rionero in Vulture nel 1929 e morto a Roma quindici anni orsono, è stato uno degli intellettuali più vivaci, moderni, liberi che il nostro panorama culturale abbia conosciuto nella parte finale del secolo.
Beniamino Placido ha inventato la rete prima che Internet esistesse. La capacità di persone come lui era infatti quella di mettere in collegamento lo scibile umano intrecciando fili che collegavano discipline, linguaggi e paesaggi della creazione umana.
beniamino placido serena dandini
Capacità rara, molto rara. Umberto Eco riusciva, con pari dignità, a raccontare da romanziere la storia di Guglielmo da Baskerville o ad analizzare da saggista l’influenza di Mike Bongiorno sullo spirito del tempo.
Il cardinal Martini rendeva perfettamente coerenti la sua infinita conoscenza della Bibbia con la invidiabile riflessione sulle ragioni per le quali Alice di Lewis Carrol non riuscisse a uscire dal buco della terra in cui era precipitata. La spiegazione del perché Alice non fosse in grado di mettere nel giusto ordine la sequenza dei gesti da compiere per tornare a vedere la luce era, per Martini, che alla bambina mancava «l’intelligenza complessiva delle cose».
Proprio quello che Beniamino possedeva e che gli consentiva di volare, leggero (che lui mi perdoni per l’uso di questo aggettivo) come una farfalla, tra i programmi televisivi e la letteratura antica, tra la storia d’Italia e lo sport.
Beniamino Placido è stato romanziere, saggista, giornalista, conduttore televisivo e persino attore nei primissimi film di Nanni Moretti. E come molte persone colte — molte, non tutte - era grandemente spiritoso, con un senso dell’umorismo raffinato e lieve, come un sorriso disegnato sulle parole che scriveva o pronunciava.
Diceva Fernando Savater che, degli altri, non riusciva a invidiare i soldi, il successo, il numero di proprietà, ma solo le parole.
ROSELLINA BALBI, GOLINO, PLACIDO E VILLARI
Ecco, io credo che di Beniamino si debba, non si dovesse, invidiare il magnifico eclettismo, ma tutto in profondità, con il quale stendeva i fili che, nella sua mente, costruivano un magnifico labirinto che collegava alto e basso, cultura popolare e ricerca raffinata.
Non ha mai avuto lo spirto da «parrocchietta», Beniamino Placido. Il suo modo di raccontare e di spiegare era sempre indirizzato a un pubblico grande che tenesse insieme la mitica «casalinga di Voghera» con i palati più sopraffini.
Ha detto Alessandro Portelli che, per Placido, «Benito Cereno e La capanna dello zio Tom erano le chiavi per ragionare sulla schiavitù, Via col vento, romanzo e film, per la Depressione e il New Deal: semplicemente perché (e fu lui a farmelo capire partendo da Benjamin) non esiste un rapporto fra letteratura e società, ma esistono una cultura, un tempo, un mondo in cui la letteratura agisce come vi agiscono con le proprie forme e modi la politica, il cinema, l’economia».
Beniamino Placido Barbato Augias
Memorabile un suo scritto che collega la decisione del tennista Jim Courier di interrompere un match perché sugli spalti squillavano troppi telefoni cellulari e un libro di Thomas Bernard di cui la traduzione dal tedesco aveva alterato un giudizio sul rapporto tra gli italiani e l’arte.
Cosa c’entra, direte voi? Viaggiate con Beniamino e tutto sarà chiaro, tutto sarà connesso. E, in questo tempo di frammenti e coriandoli, la capacità di unire i puntini, di dare un senso, profondo, a cose molto distanti, appare non un gioco intellettuale, ma un modo di intendere il pensiero come potenza, come tessitore di fili e di voglia di contaminazione, figlia di curiosità e persino umiltà, tipica dei cercatori.
La televisione ha sempre affascinato Beniamino e lo ha portato, prima, a tenere una indimenticabile rubrica su «Repubblica» durata molti anni e poi a «farla» in prima persona, conducendo programmi memorabili come 16 e 35 sul cinema, le serate monografiche dedicate a Garibaldi, Marx, Mussolini, Orwell, Manzoni, Freud, e il magnifico programma con Indro Montanelli sugli italiani che si intitolava ‘’Eppur si muove’’, proprio come il libro che mi aveva dedicato.
Ragionando sul vizio nazionale di parlare male del proprio Paese o di coltivare «quella cultura dell’alibi denunciata da Julio Velasco», Placido scrive che noi siamo abituati a «dare la colpa (di tutto) agli altri. Italiani, difatti, sono gli altri. Noi? Noi no, per carità non c’entriamo. Noi siamo buoni virtuosi perfetti inappuntabili. È che gli italiani… Intendendo sempre: gli altri italiani. Gli altri».
Beniamino Placido Indro Montanelli
La vita, tutta intera, senza recinti. La vita libera, la mente aperta e affamata di conoscere, l’umiltà di accompagnare il lettore e lo spettatore lungo sentieri apparentemente impervi essendo capaci di rassicurare, de te fabula narratur, chiunque abbia avuto la gentilezza di mettersi in viaggio nel bosco o nella biblioteca di Babele insieme a te.
Ho nostalgia, crescente, di quel modo di ragionare, di quella allegria intellettuale, di quel linguaggio perfetto e perciò popolare.
Per questo ho voluto ricordare, a freddo, Beniamino Placido. Sperando non arrivi al «Corriere» un fax come quello che apre il primo capitolo del saggio di Placido su Pinocchio pubblicato in un libro che si intitola, non casualmente, Tre divertimenti .
«Io sottoscritto Pinocchio, burattino, chiedo a codesta spettabile Gazzetta Letteraria per quale ragione ha affidato a tal Beniamino Placido, suo gazzettiere, l’incarico di occuparsi di me…».
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