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1. BENTORNATO AL DON DRAPER CHE Ã IN NOI
Paolo Martini per âSette-Corriere della Sera'
Di buoni motivi per criticare la Rai, purtroppo, se ne possono sempre trovare. Anche quando si parte con l'intenzione opposta. Volevamo infatti elogiare Rai4 (o, meglio, il suo "pensionato" direttore-fondatore Carlo Freccero) perché ha riproposto finalmente in Italia la serie Mad Men, ripartendo dalla quinta stagione inedita. Ma già dopo il quarto episodio, a metà dicembre, qualche malaccorto funzionario del palinsesto ha spostato, dalla domenica sera al mercoledì notte, la premiatissima serie firmata da Matthew Wiener.
à un brutto vizio la programmazione a singhiozzo, che colpisce oltretutto la stagione considerata migliore e di più facile impatto della saga di Don Draper, baciata dalla fortuna fin dal prologo, con il celebre balletto sexy sulle note di Zou bisou bisou, diventato subito un cult su Youtube. Una stagione, per dire, che negli Stati Uniti ha fatto segnare proprio i record d'ascolto di Mad Men sbloccando un difficile stallo che si era creato (vedi l'articolo a pagina 106) tra la casa di produzione, lo showrunner e la Amc, la rete a pagamento che si è imposta con questo titolo e la successiva infilata di Breaking Bad e The Walking Dead.
In Italia già Sky aveva rinunciato a Mad Men, dopo averlo proposto in un'imbarazzante girandola di collocazioni: «è una serie che piace tantissimo ma solo a pochissimi...», si era giustificato un dirigente. Eppure anche solo in Gran Bretagna la stessa Sky aveva costruito sul lancio di questa quinta stagione di Don Draper anche una curiosa operazione di marketing coerente, facendo inserire a pochi fortunati clienti pubblicitari gli spot originali degli anni Sessanta.
à questo sapore di nostalgia degli anni che hanno davvero cambiato la nostra vita, del resto,
una delle chiavi di fondo del successo della serie stessa. Ma aldilà dell'ambientazione, pur così accurata da far strappare elogi persino esagerati, Mad Men è una scommessa difficile: in tutto e per tutto è decisamente un telefilm "fuori tempo". Non si vedono pezzi di cadaveri e nemmeno criminali da brivido, non ci sono agenti segreti e psicopatici, non c'è mai la facile tensione narrativa, men che meno si sprecano gli effettacci.
In fondo, Mad Men è solo il racconto della vita di un gruppo di persone viste dallo spaccato di un mondo del lavoro. Certo, non sono persone qualunque, Joe Damm e le sue donne sono dei sex-symbol, e tutti sono protagonisti della stagione della pubblicità e del boom economico. Ma la forza del racconto, l'impasto narrativo proprio del creatore Matthew Wiener, va decisamente più in profondo, attiene in qualche modo a una visione della vita cinica e spietata, tanto quanto l'attribuiamo comunemente al mondo della pubblicità . Siamo tutti bugiardi e insaziabili come lo può essere sempre, puntualmente, Don Draper. E alla fine, ogni tanto, ci permettiamo anche d'essere buoni.
2. WEINER E L'IDENTITÃ RUBATA DI DON DRAPER
Arnalda Canali per âSette-Corriere della Sera'
Nell'ottobre del 2011 The Atlantic, prestigioso mensile culturale americano, inserì Matthew Weiner nel suo elenco di pensatori coraggiosi per via del suo braccio di ferro con l'emittente Amc a proposito di cambiamenti nella quinta stagione di Mad Men (su Rai4 il mercoledì in seconda serata). Il creatore della più glamour tra le serie aveva appena vinto la sua battaglia in nome dell'autonomia artistica e anche il quarto Emmy consecutivo per la Miglior Serie Drammatica.
Quello splendido affresco dell'epoca di massimo stravolgimento culturale dell'era contemporanea avrebbe continuato a incantare milioni di fans, ma alla sua maniera soltanto. Si potrebbe pensare che il prode Matthew avesse affinato il proprio ingegno negli anni trascorsi a lavorare come sceneggiatore e produttore esecutivo de I Soprano, ma David Chase, creatore di quella che è e rimarrà la miglior serie di sempre, gli aveva offerto il posto dopo aver letto il pilot di Mad Men.
Dunque si tratta di talento vero e proprio, sorretto da una buona dose di cocciutaggine. Pensati nel secolo scorso (il pilot originale è del '99), ma trasmessi perlopiù durante la crisi, i pubblicitari dei favolosi Sixties non hanno mai abdicato al loro ruolo di specchio dei tempi, secondo la lucida visione del loro autore. Opportunisti e manipolatori per professione, erano razzisti, sessisti, fedifraghi impenitenti, bevitori e fumatori incalliti, ma qualcosa di più grande di loro alla fine li ha cambiati, o superati, o vinti.
Di colpo si sono trovati ad affrontare una società del tutto nuova, dalla quale poi saremmo sbucati noi, e così osservandoli possiamo cercare di intravvedere un po' delle radici del nostro essere attuale, forse persino capire meglio chi siamo. L'identità è di certo il cruccio principale di questa magnifica serie, ma anche il nostro tormento quotidiano, dunque il gioco è presto fatto, eccoci tutti occultamente persuasi.
Però adesso non statevi a chiedere quanto di Weiner ci sia nel personaggio di Don Draper, o viceversa: quello è a tal punto un maniaco del controllo da aver creato un personaggio dall'identità rubata.
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